Hamas non è debole perché l’Egitto è sempre più dalla sua parte
22 Aprile 2011
Tra le tante situazioni apertesi in Medio Oriente in seguito alle recenti proteste contro i regimi al potere, quella riguardante la striscia di Gaza è sicuramente una delle più delicate e complesse. I suoi equilibri interni rivestono un’importanza fondamentale per la sicurezza dell’intero quadro mediorientale ed i recenti avvenimenti aprono tutta una serie di interrogativi su quali potranno essere i futuri sviluppi politici nella regione. Il primo riguarda la forza dei gruppi fondamentalisti islamici e quali rapporti si stanno delineando tra questi ed il "governo" di Hamas, due questioni che l’uccisione del pacifista italiano Vittorio Arrigoni e la ripresa degli attacchi contro Israele hanno portato alla ribalta. Da tempo gli osservatori segnalano una presenza sempre più attiva di gruppi islamici radicali legati agli ambienti salafiti e collegati con la rete terroristica di Al-Qaeda.
Presenti nella striscia di Gaza fin degli anni Settanta e portatori di una visione dell’islam puritana e conservatrice, questi gruppi hanno guadagnato visibilità poco prima del ritiro israeliano entrando subito in contrasto con la dirigenza di Hamas. Se nella maggior parte dei casi si è trattato di piccole formazioni dissoltesi in breve tempo, due di loro invece, il “Jaysh al-Islam” ed il “Jund Ansar Allah” sono rimaste operative compiendo la prima nel 2006 il sequestro del caporale israeliano Gilad Shalit e la seconda sfidando nell’estate 2009 le forze di sicurezza di Hamas all’interno della moschea di Ibn Taymiyya di Rafah dopo che il loro leader spirituale Abdel Latif Moussa aveva proclamato la nascita di un Emirato islamico nella parte meridionale della striscia di Gaza.
Da allora i rapporti tra l’esecutivo del premier Ismail Haniyeh e gli ambienti fondamentalisti sono divenuti sempre più critici, tanto da spingere diversi membri del governo israeliano a dubitare che Hamas sia ancora in grado di controllare il territorio di Gaza. Ma l’incapacità dell’esecutivo non sarebbe dettata però solo dal deterioramento dei rapporti con i movimenti più radicali ma anche da ragioni economiche, dato che rinsaldare il governo sul territorio richiederebbe una disponibilità di risorse finanziarie che Haniyeh attualmente non dispone. Come poi sottolineano diversi analisti, la difficoltà dimostrata da Hamas nel trovare una sintesi tra la sua originaria natura rivoluzionaria di gruppo armato di resistenza e la nuova veste di forza governativa sta facendo emergere, soprattutto tra le frange palestinesi più radicali che si considerano le sole capaci di opporsi ad Israele, un sempre più diffuso malcontento verso il movimento che, di conseguenza, ha favorito il rafforzamento dei gruppi ad esso ostili i quali sono arrivati addirittura a rimproverare all’esecutivo di aver adottato nelle ultime settimane misure repressive nei loro confronti per evitare una escalation militare con Gerusalemme.
Il deterioramento delle condizioni di vita nella striscia di Gaza ha poi contribuito a consolidare ulteriormente le forze più estremiste anche, se è opinione degli osservatori, nessuna di loro appare in grado di sfidare apertamente Hamas la cui forza rimane tuttora considerevole. Ed è in questo scenario che va inquadrata non solo l’uccisione di Arrigoni, del cui assassinio sono stati ritenuti responsbili alcuni esponenti di un gruppo vicino ad Al-Qaeda successivamente uccisi dalle forze di sicurezza governative, ma anche la ripresa dei lanci di razzi contro Israele – che Gerusalemme ritiene essere stati effettuati proprio da gruppi d’ispirazione jihadista – nonché l’attentato compiuto lo scorso 7 aprile ad uno scuolabus israeliano diretto ad un villaggio prossimo alla striscia di Gaza.
Proprio le divisioni all’interno di Hamas sarebbero alla base di quest’ultima azione terroristica. Secondo quanto riferito da un alto ufficiale delle forze armate di Gerusalemme al quotidiano “Haaretz”, il Premier Haniyeh avrebbe perso il controllo sull’ala militare del movimento, tanto che l’attacco sarebbe stato pianificato e compiuto dal capo della stessa Ahmed Jabari allo scopo di convincere Israele a non innalzare il livello dello scontro a Gaza e senza che il capo dell’esecutivo ne fosse stato nemmeno informato. Tuttavia, nonostante l’instabilità della situazione ed i segnali di crisi apparsi al suo interno, Hamas continua ancora a costituire una minaccia significativa per la sicurezza di Israele.
Secondo quanto riportato da fonti militari e d’intelligence di Gerusalemme, dall’operazione “Piombo Fuso” le capacità militari del movimento sarebbero notevolmente migliorate, tanto che questo oggi disporrebbe non solo di missili in grado di raggiungere direttamente Tel Aviv e di razzi anti-carro, ma starebbe progettando anche la creazione di un proprio sistema telefonico di comunicazione indipendente da quello di Gaza sul modello di quanto già realizzato in Libano da Hezbollah con l’assistenza dei servizi segreti iraniani.
Il secondo riguarda invece il legame che si va delineando tra Hamas e la giunta militare egiziana. Se il regime di Mubarak non aveva mancato di esprimere le sue critiche al governo israeliano per la gestione dei rapporti con la dirigenza palestinese, tra Il Cairo e Gerusalemme esisteva comunque un rapporto di collaborazione per contrastare l’azione di Hamas e dei gruppi fondamentalisti attivi a Gaza, una cooperazione facilitata anche dalla presenza a capo dei servizi segreti egiziani del generale Suleyman, la cui avversione nei confronti degli integralisti islamici era nota agli esponenti dell’intelligence israeliana. Con l’avvento della giunta militare seguita alla caduta di Mubarak, la situazione si è fatta invece assai più incerta. Stando a quanto riferiscono fonti israeliane, il nuovo governo de Il Cairo avrebbe sospeso la costruzione della barriera sotterranea tra Gaza e la frontiera egiziana eretta per impedire che ad Hamas venissero contrabbandate armi ed equipaggiamenti militari, un gesto questo che per Gerusalemme significa come i rapporti tra Hamas e l’Egitto stiano entrando in una nuova fase.
Il governo israeliano ritiene infatti che un eventuale successo dei Fratelli Musulmani alle elezioni legislative porterebbe molto probabilmente ad un rafforzamento dei legami tra Il Cairo ed Hamas e parallelamente al congelamento di ogni rapporto di collaborazione tra Egitto ed Israele in materia di sicurezza e lotta al terrorismo. Ed anche se una denuncia del trattato di pace di Camp David viene considerata estremamente improbabile dagli analisti, è chiaro che un nuovo governo la cui forza poggerebbe principalmente sui Fratelli Musulmani provocherebbe un deterioramento delle relazioni con Israele e l’ingresso in una fase di “pace fredda” in cui i rapporti tra i due Paesi verrebbero ridotti al minimo. Uno scenario incerto dunque, che getta non poche ombre sul nuovo Medio Oriente uscito dalle rivolte popolari.