Herman Cain è il simbolo della volontà di difendere i “princìpi non negoziabili”

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Herman Cain è il simbolo della volontà di difendere i “princìpi non negoziabili”

21 Ottobre 2011

La new entry Herman Cain vola in cima al gradimento dei Repubblicani e dei conservatori, e si attrezza per fare nero Barack Hussein Obama. Fantastico, e per tre motivi.

Il primo è che Cain corre per il Paese gridando a voce alta la difesa dei “princìpi non negoziabili”, quelli che l’Amministrazione in carica sta facendo da tempo di tutto per eliminare dalla public square statunitense. Sì, è vero, qualcuno dice che forse Cain non è credibile fino in fondo, che si è scoperto “pio” tardi, che dovrebbe chiarire alcune sue posizioni: fa nulla (ci) bastano i numeri che sfoggia, il suo 9-9-9…

Il secondo è che corre con una piattaforma economica che propone a tutti la libertà vera contro lo Stato servile, in linea sostanziale con quanto aggrada al vittorioso popolo dei “Tea Party”.

Il terzo è che il primo e il secondo elemento testé citati non solo non sono in contraddizione l’uno con l’altro, e anzi vanno addirittura d’accordo, ma che l’uno è la conseguenza dell’altro e l’altro contiene l’uno.

Cain sta insomma infiammando i cuori degli americani dicendo che quella dignità sacrosanta che attiene all’uomo fatto e definito da una natura oggettiva, da cui derivano diritti inalienabili, la quale da nessuna manipolazione può essere alterata, va difesa innanzitutto e che essa innanzitutto si difende con strumenti ben temperati quali la libertà economica capace di rendere le persone padrone e sovrane della propria umanità.

Un folle isolato che finirà per lasciare il tempo che trova? Non sembra proprio.

Il 13 ottobre la Camera federale di Washington ha approvato con 248 voti a 173 il cosiddetto Protect Life Act (ufficialmente protocollato H.R. 358), ovvero un emendamento alla legge sulla Sanità pubblica che protegge i cittadini americani dal vedere impiegati i denari prelevati loro dallo Stato attraverso le tasse per finanziare l’aborto. Una vittoria importantissima, indicativa di un clima politico e di una determinazione non comune nell’attuale Camera di Washington.

Il voto si è del resto svolto grosso modo seguendo gli schieramenti di partito, Repubblicani a favore e Democratici contro. Non a caso, il boss dei Democratici, Obama in persona, stizzito e indispettito del risultato dell’aula tanto quanto determinato a non farla passare liscia all’assise dei deputati né a cedere su una questione di principio a cui tiene come poche cose, ha minacciato di sfoderare il veto presidenziale. Ripeto: la Camera vota democraticamente per impedire che l’aborto, se proprio uno lo vuole praticare e subire, debba essere pagato con i soldi di chi non lo vuole e il presidente del Paese democratico più importante, ricco e potente del mondo si mette di traverso per far sì che chi vuole l’aborto se lo faccia pagare da chi non lo vuole. Ovvio che poi uno si butti a destra.

Del resto, il presidente della Camera federale John Boehner lo aveva detto esplicitamente e pubblicamente appena prima di quell’importante voto, ovvero il 7 ottobre a Washington durante quell’importantissima due-giorni organizzata dal Family Research Insitute che è stata l’edizione 2011 del Values Voters Summit (VVS), il raduno della crème e dei vertici del mondo conservatore e Repubblicano (che comunque son sempre due cose in parte diverse): «Faremo qualsiasi cosa per far sì che mai e poi mai l’Obamacare funzioni a pieno regime».

Ebbene, proprio quel raduno di tutti i leader della Destra statunitense, dietro i quali si stagliano milioni di cittadini elettori statunitensi, ha scelto – come sempre fanno gli americani in kermesse così, anche per evidenti ragioni di marketing e di pubblicità – il proprio beniamino del momento, ovvero il candidato politico hic et nunc più convincente. Chi è stato il reginetto del ballo? Ron Paul, il “liberista” più estremista che ci sia che ha battuto persino il paladino Cain; quello che vorrebbe abolire la Federal Reserve adesso; quello che non solo vorrebbe tornare al gold standard, ma persino sostituire il denaro con pepite d’oro; il fuoriclasse della pirotecnia politica; il più originale e stigmatizzato deputato federale statunitense; uno che sulla guerra al terrorismo ha pure proferito parole che non stonerebbero in bocca a un Giulietto Chiesa; insomma il “Marco Pannella d’Oltreoceano”, il libertarian maverick (come lo chiama normalmente la stampa statunitense, laddove maverick, “individualista estremista”, è pure il nome di un missile tattico aria-superficie, progettato per il supporto aereo ravvicinato, l’interdizione e le missioni di soppressione delle difese aeree nemiche).

Sì, proprio Ron Paul. Perché proprio Ron Paul? Perché Ron Paul è un Silvio Berlusconi della scena statunitense: cioè un professionista esterno alla politica che, ricco (di ideali) da sé e non bisognoso delle prebende di Stato, è sceso (anni fa) in campo seguendo personalissimi itinerari che lo hanno portato ad attraversare diverse formazioni partitiche per puro spirito di servizio e per fermare “gli altri”, che sono sempre peggio anche dei vizietti suoi. Come infatti il Cav. faceva beato e pacifico l’imprenditore, Paul faceva il ginecologo. Entrambi hanno però visto lo sfascio ed entrambi sono intervenuti.

Ha detto Paul “il libertario” al pubblico del VVS che oggi si sta assistendo a un colossale e frontale attacco contro la famiglia naturale e i valori di cui essa è portatrice, e che l’aborto è una cosa inconcepibile. E Paul “il Radicale” ha aggiunto che occorre difendere la vita umana dal concepimento alla morte naturale onde poter difendere quella libertà economica che a propria volta permette concretamente di difendere la vita, applausi scroscianti del pubblico. Vedere del resto il suo più recente spot elettorale per credere.

Il colorito e variegato fronte anti-Obama ha capito, insomma, che non c’è soluzione di continuità fra i “princìpi non negoziabili” e certe altrettanto poco discutibili misure politiche concrete che sono il modo in cui detti princìpi si declinano nel politico, nel sociale e persino nel mondo del lavoro. E organizzare per questo “Pannella americano” un viaggio-premio con destinazione Todi?

Marco Respinti è presidente del Columbia Institute, direttore del Centro Studi Russell Kirk e autore di L’ora dei “Tea Party”. Diario di una rivolta americana.