Hezbollah soffre la concorrenza della Turchia nella “resistenza” a Israele
10 Luglio 2010
La visita del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a Washington è servita sicuramente a fare il punto della situazione sulla situazione mediorientale. Ma tra gli argomenti trattati, almeno a leggere le cronache che arrivano dagli Stati Uniti, sembrerebbe mancarne uno fondamentale: la questione libanese. Sottovalutare o, peggio ancora, non considerare il paese dei cedri all’interno dello scenario mediorientale sarebbe un po’ come giocare a scacchi senza avere presente il ruolo del cavallo. Tanto più in un momento in cui vi è grande fermento a Beirut e dintorni, come dimostrano i gravi incidenti verificati nel sud del paese durante un’esercitazione delle forze UNIFIL. Ma sono molti gli indicatori che testimoniano quanto sia alto il grado di nervosismo tra le fila di Hezbollah.
Il caso della flottiglia pseudo-pacifista battente bandiera turca che ha tentato di rompere il blocco navale israeliano nei confronti della Striscia di Gaza, infatti, potrebbe rappresentare una seria minaccia potenziale per il Partito di Allah, quella cioè di essere scavalcato dalla Turchia come difensore della "causa" palestinese. Mentre in Occidente, infatti, si tende a mettere in evidenza semplicemente lo scontro tra Ankara e Gerusalemme, dalle parti di Beirut la questione viene vista da una prospettiva diversa, come una lotta per il predominio regionale tra Turchia ed Iran, o addirittura tra sciiti e sunniti. Negli ultimi anni, i terroristi di Hamas (sunniti) hanno accettato di buon grado l’aiuto che arrivava dall’Iran (sciita) in base al vecchio principio realista secondo cui “il nemico del mio nemico è mio amico”. Per molto tempo le differenze, per quanto profonde, tra le forze in campo (Hamas, Hezbollah, Guardiani della Rivoluzione iraniani) sono state messe da parte, offuscate da un collante ben più forte: l’odio anti-israeliano. Ora però lo scenario potrebbe cambiare dato che, per la prima volta da quando il ruolo dell’Egitto di Mubarak si è iniziato ad appannare, un importante paese sunnita, la Turchia, potrebbe lentamente andare a prendere nel cuore dei palestinesi il posto ricoperto da Iran ed Hezbollah.
E’ logico, quindi, il fatto che i miliziani sciiti libanesi non possano guardare con favore a una simile prospettiva, e siano costretti a loro volta ad un rincorsa pericolosa. La frustrazione è tanta anche perché agli occhi dei palestinesi “per Gaza ha fatto di più la Turchia con un flottiglia di attivisti, che non 10.000 razzi”, secondo quanto diachiarato da Aziz Dweik, uno dei leader di Hamas nella West Bank. Come ha rilevato Michael Young sull’importante quotidiano libanese The Daily Star, “questo significa, in pratica, che i Turchi avranno molto da dire in materia di guerra e pace nella regione, e che d’ora in poi la Turchia esaminerà con attenzione le conseguenze che le azioni di Iran, Siria e Libano potrebbero avere sugli interessi nazionali, il che potrebbe limitare non poco l’autonomia di Hezbollah, riducendone il ruolo che finora ha avuto di deterrente nei confronti di Israele”.
D’altronde non è certo passato inosservato al segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, l’entusiasmo esploso a Beirut per gli eventi della flottiglia, e l’endorsement alla causa turca venuto niente meno che dal Primo Ministro Saad Hariri e da Walid Jumblatt, per i quali rafforzare l’intesa con Ankara significa indebolire il ruolo di Teheran e dei suoi rappresentanti in Libano. La mossa turca, pertanto, ha indebolito il Partito di Allah non solo all’esterno, nei confronti dei palestinesi, ma anche all’interno dove rischia di perdere lo “scettro” della resistenza. Per questo subito dopo le vicende della Peace Flottilla Hezbollah ha annunciato l’invio di una nuova spedizione, che, salpata proprio dai porti libanesi, è ora in rotta verso Gaza, e per questo l’esercitazione di UNIFIL è stata presa di mira dai militaziani sciiti. La Turchia ha tutt’ora un contingente all’interno delle forze ONU di stanza in Libano, quindi per Nasrallah screditare UNIFIL significa screditare anche il ruolo che il governo di Ankara può svolgere nella regione.
E’ presto per dire se siamo realmente all’inizio di un terremoto che porterà ad un deciso riequilibrio delle forze in Medio Oriente, ma i segnali che arrivano spingono in questa direzione. Resta da vedere se per l’Occidente ed Israele questo equivarrà a cadere dalla padella alla brace, o se effettivamente la Turchia saprà recuperare un ruolo più moderato ed incline al dialogo rispetto a quello di Iran, Siria ed Hezbollah.