Hillary attacca FBI ma forse Comey protegge Obama

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Hillary attacca FBI ma forse Comey protegge Obama

30 Ottobre 2016

 A nove giorni dal voto per decidere il presidente degli Stati Uniti, la campagna elettorale americana è sconvolta dalla nuova indagine aperta dalla FBI sulle email della candidata democratica Hillary Clinton. Ovviamente la cintura mediatica che protegge la Clinton parla già di ‘inchiesta ad orologeria’, spiegando che il capo dell’Fbi, James Comey, sarebbe un repubblicano pronto a favorire Trump: peccato che a sceglierlo fu il presidente Barack Obama.

Comey è intervenuto a gamba tesa nonostante il parere contrario del ministro della Giustizia, la democratica Loretta Lynch. Il candidato repubblicano, Donald Trump, attacca: “E’ il piu’ grande scandalo politico dai tempi del Watergate. Hillary non deve dare la colpa ad alcuno se non a se stessa”. Clinton definisce la decisione dell’Fbi “senza precedenti e molto preoccupante. E’ molto strano mettere qualcuno in queste condizioni proprio prima delle elezioni”.

Dunque Comey, a pochi giorni dal voto dell’8 novembre, riapre un’inchiesta sulla candidata democratica  che rischia di azzoppare irrimediabilmente la corsa di Lady Clinton. Nonostante i dubbi della signora, Comey è sempre stato un funzionario meritevole, integro e indipendente, da quando lavorava al dipartimento di Giustizia: sotto l’amministrazione di George W.Bush era arrivato a diventare il ‘numero 2’ del dipartimento della giustizia, poi la nomina all’FBI di Obama. 

La lettera al Congresso americano con cui il direttore dell’Fbi, James Comey, ha annunciato la nuova inchiesta sulla candidata democratica è comunque uno schiaffo a una prassi consolidata nella politica americana. Secondo il New Yorker, l’intervento di Comey sarebbe avvenuto contro il parere del ministro della Giustizia, l’afroamericana democratica Loretta Lynch

Ai primi di luglio, Comey aveva scagionato la Clinton sullo scandalo emailgate: le oltre 60.000 e-mail inviate e ricevute nei suoi 4 anni alla guida del dipartimento di Stato (2009-2013) esclusivamente da un server di posta privato e non da quello governativo. Per il direttore dell’Fbi la candidata democratica non era incriminabile di alcun reato ma il capo della FBI aveva definito “estremamente incauta” la gestione della sua posta elettronica. 

La ministra Lynch gli aveva detto di attenersi alla consolidata abitudine del ministero di non intraprendere un’azione giudiziaria che, a ridosso del voto, potesse influenzare il risultato elettorale, ma lui ha deciso di fare diversamente sentendo in qualche modo il dovere di informare il popolo americano. Questa almeno la spiegazione ufficiale che circola nelle agenzie di stampa e sui giornaloni.

Ma per capirci qualcosa di più vale la pena ripartire da un tweet lanciato da un ex hacker divenuto poi imprenditore milionario del web, Kim Dotcom. Costui, dalla Nuova Zelanda, nei giorni scorsi è intervenuto per dire: “So dove sono le email distrutte della Clinton e come ottenerle legalmente”. Le email distrutte, il nocciolo duro dell’emailgate, quelle che Hillary ha detto di aver cancellato. Per Dotcom, sarebbero su un cloud della NSA, l’agenzia per la sicurezza USA.

Se tutto questo fosse anche lontanamente vero, forse allora la spiegazione dell’intervento a gamba di tesa di Comey sarebbe un’altra: non tanto l’uomo integro che decide di informare gli americani, ma il funzionario che cerca di auto tutelarsi, e probabilmente di tutelare il suo capo, Obama, se le mail cancellate alla fine dovessero saltare fuori prima del voto, affondando definitivamene Hillary.