I “Latin Kings” nascono a Chicago nel 1940. Il gruppo originario era costituito da portoricani che aiutavano i connazionali sbarcati negli Usa in cerca di lavoro. Il fondatore dell’organizzazione si fa chiamare “Lord Gino” e viene considerato "il Sole della Nazione Latina”. Col tempo i membri della fratellanza diventarono messicani, dominicani, cubani, sudamericani, ma anche afroamericani asiatici e mediorientali. La missione caritatevole scomparve e furono coinvolti in attività criminali che spaziavano dall’assassinio allo spaccio di droga.
L’ideologo della “Nazione” è stato Luis Felipe, conosciuto come “King Blood”. Nel suo manifesto Almighty Latin Kings and Queens Nation (ALKQN), uscito negli anni Settanta, Felipe fissa le tavole dei fuorilegge – dai “colori” allo stile di vita. Oggi si contano almeno 7.000 affiliati all’ALKQN in 15 città americane. Nel 1996, a 34 anni, Felipe finisce davanti alla corte federale di New York che lo accusa di aver orchestrato una campagna di omicidi contro i suoi rivali. Tre morti e diversi feriti, uno particolarmente agghiacciante: William Cartegena, detto “Lil Man”, un membro anziano dell’ALKQN che non aveva obbedito al grande capo. Lo trovano in una casa abbandonata del Bronx, decapitato e con i tatuaggi strappati.
Quando Felipe entra in tribunale, i supporter lo acclamano all’unisono gridando “Amor de rey! Amor de rey!” e alzano le mani al cielo formando una corona, il simbolo sacro della gang. Gli avvocati difensori definiscono Felipe un “nazionalista ispanico”, un poeta che ha cercato di tirare fuori dalla miseria la sua gente. Ma la giuria annuncia il verdetto di condanna in 15 minuti. Non c’è scampo per i capibanda nella New York del sindaco Giuliani.
Durante il processo spunta tra la folla anche il successore di Felipe, Antonio Fernandez, che sale al trono col nome di “King Tone”. Il nuovo Re vuole riportare la pace tra le bande e annuncia che “gli elmetti (la polizia) non dovranno più usare il nostro passato contro di noi”. Dopo aver ricompattato la struttura gerarchica dell’organizzazione in modo verticistico, inizia una lunga campagna mediatica per ottenere un riconoscimento sociale dei Re Latini. Vuole tornare alle radici patriottiche del movimento. Uno dei risultati di questa strategia è il documentario girato da DCTVNY e disponibile su YouTube, un mix di propaganda nativista, rottweiler bulli e pupe. Fernandez viene arrestato ma i suoi fan lo tirano fuori pagando una cauzione di 300.000 dollari.
Oggi i Latin Kings sono un fenomeno alla moda. Ragazzi dai 12 ai 30 anni che vestono e ascoltano hip hop, si riempiono di anelli, piercing e collanine (“bling bling”), segnano il territorio con i murales giallo e nero. Sono i colori del movimento: giallo come la solare e radiosa civiltà latino-americana e nero come il buio portato dai colonizzatori bianchi. L’antimperialismo si manifesta anche nello sconfinato amore per Cuba dove gli affiliati si dirigono in pellegrinaggio per costruire ospedali e festeggiare le revolucion.
Il rappresentante del nuovo corso si fa chiamare “King Mission”. Dall’età di 13 anni ha fatto carriera nelle gang newyorkesi anche se attualmente vive a Phoenix in Arizona. I genitori di Mission militavano nelle “Pantere Nere” e lui è cresciuto nella galassia dell’antagonismo (anti)americano – una miriade di sigle dove l’associazionismo e le organizzazioni caritatevoli si mescolano all’attivismo militante e sedicente pacifista. A Cuba, il futuro Re viene iniziato alla “Santeria”, una pratica religiosa sincretica in cui l’effigie del Che si fonde con quelle dei santi cristianeggianti yoruba (un paganesimo che affonda le sue origini nell’epoca dello schiavismo). E’ il sostrato mistico su cui Mission può innestare il suo patriottismo populista, aggiornando il mito della latinidad con una verniciata di hip hop.
Il Re chiede ai suoi vassalli di smetterla di spacciare, drogarsi e ubriacarsi, ma nello stesso tempo spinge questi ragazzi a fuggire di casa se i loro genitori non approvano la scelta di entrare nella Nazione. Questi gruppi cercano di sfuggire all’ordinamento legislativo del Paese in cui vivono andando alla ricerca di una facile e tutto sommato illusoria legittimazione sociale. Il perdonismo della sinistra occidentale e il sociologismo ultragarantista dei nostri dipartimenti universitari facilita operazioni culturali del genere: “poveretti, non sono criminali, è la società che li ha resi tali”. Come mai il sistema scolastico “deve” aiutare i Kings a essere incorporati nelle scuole? Perché hanno diritto a crediti agevolati rispetto agli altri studenti? Sono forse individui diversi dagli altri?
In Italia si concentrano tra Genova e Milano. La Polizia ne ha arrestati parecchi per spaccio, omicidio, violenza sulle donne. Ma le associazioni e alcuni ricercatori universitari del Nord Italia stanno cercando di trasformare il branco in una “organizzazione di strada” ispirata al vangelo di sua maestà Mission il Giusto. Li invitano a parlare all’università; sarebbe bello sentire anche la voce dei genitori del minorenne ecuadoregno ucciso a coltellate davanti alla discoteca “Matisse” di Milano, forse per un’occhiata di troppo lanciata a una ragazza del clan rivale. E invece niente repressione, solo tanta pace e comprensione.
Tollerando il fondamentalismo identitario di questi gruppi lo Stato democratico cede quote preziose del suo monopolio di ordine e sicurezza. King Mission in persona è venuto dagli Usa a Milano per sottoscrivere un “patto di legalità” con i network dell’associazionismo locale. Prima dell’Italia il Re aveva già visitato Barcellona; la Spagna è stata la prima nazione europea a scendere a compromessi con i piccoli gangster.
Durante una retata milanese finiscono in manette almeno una ventina di affiliati. Si scopre che una ragazza è stata picchiata senza pietà. Era incinta e ha perso il suo bambino. Nella struttura clanica della Fratellanza, la donna viene apparentemente riverita ( “Queen Love”) ma poi finisce in ospedale. Presa a calci per fare un dispetto al capoclan rivale. Le donne del Re sono un premio da conquistare con la forza, dunque. Testimonianze come quella di “Amor De Reina” sul sito della ALKQN: “Sono nata a Porto Rico nel 1990… come potete vedere ho solo 18 anni… mi sono trasferita negli Usa con la mia famiglia… entrare nella Nazione Latina ha cambiato il mio stile di vita… l’organizzazione mi insegnato che non tutto è facile come uno pensa di solito… grazie a Dio mia madre sa che cos’è la Nazione e mi capisce… lei approva mentre mio padre non sa niente”.
E’ una vita al limite della violenza, molte di queste ragazze sono costrette a fuggire di casa, a vivere per strada e a prostituirsi. Le incontri sui treni che da Milano vanno Genova, dove un altro giovane sudamericano è morto accoltellato. Ti accorgi che il “patto di legalità” siglato da Mission è una solo una fregatura per le “regine” del clan. Paz y Amor.