“Ho scelto il Pdl perché è un partito aperto al confronto tra culture diverse”

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“Ho scelto il Pdl perché è un partito aperto al confronto tra culture diverse”

08 Maggio 2009

Erminia Mazzoni non è una che ci gira intorno. Grinta quanto basta per difendere a spada tratta le proprie idee, un lunga militanza politica come bagaglio, forte ancoraggio ai valori cristiani del cattolicesimo e una scelta di campo che l’ha portata a rompere con la via terzo-polista di Casini (fino all’anno scorso era vicesegretario nazionale dell’Udc): dimissioni rassegnate tre mesi fa e successivamente l’adesione al Pdl. Una scelta considerata da più parti come una delle novità che seguono la nascita del partito unico dei moderati che oggi punta anche su di lei per Strasburgo. Si definisce “orgogliosamente donna del sud” e mostra idee chiare sulla politica al femminile e la selezione della classe dirigente. Rivendica come tratto distintivo del suo agire “una passione innata per la politica da cui deriva il mio impegno per un obiettivo da perseguire. Certo, poi posso anche fallire ma ci metto comunque tutta me stessa. Altrimenti, non vedo la ragione per la quale dovrei stare seduta da qualche parte e fregiarmi di un titolo che non mi sono conquistata dimostrando le mie capacità”. 

Onorevole Mazzoni perché ha scelto il Pdl?

Ne condivido il progetto politico e la visione innovativa che si sviluppa nell’ambito di un sistema bipartitico. Sono sempre stata coerente rispetto alla mia collocazione politica nel centrodestra, da quando nel ’94 ho fatto una chiara scelta di campo. Ritengo sia il luogo di elaborazione politica più adatto nel quale cercare di affermare quei valori di cui mi sento portatrice, un grande partito plurale nel quale possono esprimersi liberamente culture e storie diverse.

C’è stata una ragione in particolare che l’ha spinta a lasciare l’Udc?

E’ una decisione maturata nel tempo. Ho comunque portato a termine il mio impegno nell’Udc, compresa la campagna elettorale per le politiche 2008 oltretutto accettando la candidatura al Senato che molti miei colleghi rifiutavano perché quel seggio non era ritenuto sicuro, come poi è stato. Diciamo che prima ho saldato tutti i conti politici con il mio ex partito per poi sentirmi libera di continuare il mio percorso lungo la strada che ritenevo più consona alla mia formazione culturale e politica. Non ho condiviso la scelta terzo-polista di Casini, dunque ne ho tratto le conseguenze. Successivamente, c’è stata un’accelerazione che ha coinciso con la fase di definizione delle liste elettorali per le europee. Mi è stata proposta la candidatura che non era nei miei piani, ma considerando anche il riconoscimento politico ricevuto dal Pdl ho ritenuto la candidatura un elemento complementare al progetto politico, perché per me stare e lavorare in un partito non può prescindere anche da un’offerta di disponibilità ad una sfida elettorale.

Quando si parla di Europa si ha ancora la percezione di un’entità lontana dalla gente. Lei cosa propone per invertire questo senso comune?

Farò la mia parte fino in fondo. Mi definisco un’europeista ma non un’europeista esasperata. Non ho mai inteso l’Europa come mera propaganda, bensì come luogo di amplificazione della sfera dei diritti degli italiani. Il cammino per costruire un dialogo diretto tra cittadini ed Europa è ancora lungo ma è questo uno degli obiettivi che mi assegno. Nelle regioni del Sud in particolare l’Europa viene percepita come erogatrice di provvidenze non come soggetto capace di potenziare il valore del nostro impegno nazionale.

Cosa propone in merito?

C’è la necessità di una comunicazione diversa e di una focalizzazione dei vantaggi di una sana politica europea praticata sul nostro territorio. C’è poi da recuperare un rapporto che restituisca maggiore dignità allo Stato italiano rispetto all’Europa.

Cosa intende per maggiore dignità?

C’è stato un lungo periodo negli anni di governo della sinistra in cui l’Italia ha vissuto un rapporto di subalternità nei confronti dell’Europa e questo ha portato anche a scelte inopportune. Invece, come anche richiamato nella nostra Costituzione, gli Stati non perdono mai la loro sovranità ma gestiscono in maniera collegiale interessi peculiari che hanno un effetto più incisivo nelle realtà locali.

Tuttavia c’è un’Europa economica ma non esiste ancora quella politica.

E’ necessario uno spazio di elaborazione politica comune, anche se credo che negli anni ci sia stata un pò di confusione su questo e il risultato è stato privilegiare un’idea di politicizzazione nel senso di schematizzazione partitica delle presenze europee. Secondo me, invece, occorre lavorare alla costruzione di un’Europa all’interno della quale i singoli paesi possano portare il proprio progetto politico e condividerlo con quello di altri Stati individuando da un lato le parti di competenza della politica sovranazionale, dall’altro la costruzione di un progetto europeo che soddisfi le progettualità dei singoli partner. Per me l’Europa politica non è quella dei partiti, ma l’Europa delle idee.

In questo turno elettorale il Ppe aspira a diventare il primo partito a Stasburgo. E’ un obiettivo realistico secondo lei?    

Per adesso è il mio auspicio così come mi auguro che all’interno di questo grande partito l’espressione italiana possa essere quella più significativa. Una maggiore presenza dell’area dei popolari europei per me rappresenta la speranza di ricostruire quel progetto di Europa che fu concepito inizialmente dai padri della Costituente, ovvero un’Europa che promuova e amplifichi le potenzialità dei soggetti aderenti senza comprimere i valori di ciascuna realtà territoriale, come invece accaduto negli anni.

Quando parla di valori si riferisce anche al tema delle radici cristiane dell’Europa?

Sicuramente e mi batterò per questo perche è un elemento importante del progetto politico nel quale mi riconosco. Certo, l’allargamento dell’Europa ad altri paesi ha portato alla compressione di alcuni punti fondamentali del cammino iniziale. Tuttavia sono convinta che il processo di ampliamento dei confini europei debba avvenire in una logica fatta di mediazione, non di cancellazione come accaduto ad esempio su alcuni principi fondamentali come quello delle radici cristiane.

Referendum elettorale. Casini pensa al grande centro rivendicando spazi che definisce ancora aperti. Qual è la sua opinione?

Sono convinta che nel nostro sistema non ci sia alcuno spazio per un’ipotetica terza via ma che la strada giusta, peraltro già indicata dagli elettori alle politiche 2008, sia quella di uno schema bipartitico che garantisce stabilità ai governi e superamento della frammentazione partitica. Quanto al referendum non sono convinta della bontà di una riforma elettorale che passi attraverso un referendum e ciò perché in questi anni i governi di centrosinistra e centrodestra non hanno avuto la capacità di cambiare il sistema elettorale in maniera adeguata. Ritengo inoltre che il problema vero non sia tanto quello di una legge in sé.

E qual è il problema?

Credo che il primo punto sul quale si dovrebbe concentrare la politica del futuro riguardi la riforma dell’organizzazione dei partiti. Sono a favore di un sistema bipartitico ma con partiti che siano dotati di vera democrazia interna.

Pensa alla selezione della classe dirigente?

Occorre restituire ai partiti il ruolo di soggetti di intermediazione tra l’elettorato e l’istituzione e in questo ruolo è compresa la pratica di costruzione della classe dirigente che si deve sviluppare nel tempo attraverso una partecipazione attiva nei luoghi di confronto e che attinga dalla base del partito. Qualche tempo fa, quando il dibattito sui sistemi di selezione non era così forte come oggi, mi permisi di proporre un intervento su un articolo della Costituzione che legittima l’esistenza dei partiti e li definisce come associazioni organizzate democraticamente. L’obiettivo era proporre una legge che fatta salva l’autonomia dei partiti fissa e dettaglia una serie di regole, che sono regole di democrazia interna.

Credo che questo non possa essere considerato come una sorta di inopportuna ingerenza nelle vicende interne alle forze politiche, bensì come strumento di sana regolamentazione dei processi che appartengono certamente ai singoli partiti, ma che nella produzione del risultato appartengono a tutti.

Come vede il ruolo delle donne in politica?

L’aspetto più negativo è che si tratta di un sistema ancora troppo maschile e l’errore che a mio avviso molte donne commettono è accettare la maschilizzazione della politica. Io l’ho sempre rifiutata, tirandomi per questo addosso le ire della dirigenza nazionale del mio ex partito. Continuo a sostenere la donna in politica non a tutti i costi, bensì come espressione di qualità e come valore aggiunto per catalizzare nuovi consensi: insomma una presenza qualificata che per i partiti rappresenti una forma di apertura dei loro confini e un’opportunità di crescita.

Quali sono le priorità per il sud che intende portare in Europa?

Per la mia terra non posso che pensare che la prima necessità sia rafforzare un’area territoriale importante e vasta del nostro paese che da troppi anni non riesce a ingranare la marcia. La prospettiva a mio avviso, è un grande progetto di riequilibrio tra nord e sud al quale tutti dobbiamo lavorare. Nell’immediato e guardando all’Europa, considero importante rivedere i meccanismi di relazione tra i singoli territori e la Comunità europea specie nella definizione dei progetti di piano e degli obiettivi strategici delle singole aree. Per non ripetere gli errori del passato.