“Ho vinto nel feudo rosso strappando al Pd i voti della gente delusa”
15 Aprile 2010
Mantova la rossa, Mantova la bella addormentata, Mantova che ora si sveglia e volta pagina. Dopo sessantacinque anni di giunte monocolore, l’ultimo fortino post-comunista manda in soffitta il Pd e scommette sul centrodestra. Cosa è successo? “Il finimondo, una magia”, la mette giù così Nicola Sodano (forzista della prima ora e dal ’94 in consiglio provinciale) che da tre giorni indossa la fascia tricolore e coi suoi sta preparando la festa della vittoria, “rigorosamente in piazza, tra la gente”.
Già, perché questo signore di 52 anni, architetto di professione e “politico per passione” ha voluto una campagna elettorale “on the road”, da un capo all’altro dei quattordici quartieri cittadini, puntando sul popolo delle periferie e tenendo a distanza i big nazionali del suo partito e di quello di Bossi nelle due settimane clou prima del ballottaggio. Risultato: dal 35,74 per cento del primo turno contro il 40,72 per cento della sindaca uscente e ricandidata Brioni, è passato al 52,18 per cento lasciando la sua avversaria al 47,81.
Qui la Lega ha fatto la sua parte ma non ha strabordato come in altre piazze del Nord (dal 6 del 2005 è salita al 10 per cento), eppure a sentire Giovanni Fava che del Carroccio locale è responsabile enti locali, deputato e compagno di banco di Sodano in consiglio provinciale, ha vinto “la nostra linea: ci siamo battuti per un candidato politico e così è stato. La debacle della sinistra dimostra l’implosione di un sistema. Si è rotto un patto sociale: in Lombardia Mantova è la città delle cooperative, degli enti no-profit, di tutto un mondo che da sempre gravita nell’ambito delle forze storiche della sinistra locale, ma ora l’incantesimo si è rotto”. A sentire il primo cittadino, invece, il merito è stato di tutti ma il valore aggiunto è tutto suo, “questione di feeling”.
Sindaco Sodano come spiega la vittoria?
E’ successo il finimondo, una magia. Con la mia persona e il mio programma sono riuscito a interpretare l’ansia e la volontà di cambiamento che la città covava ma che non era riuscita ad esprimere.
Sì, ma quale è stata la chiave vincente?
Impostare fin dall’inizio una campagna elettorale che non faceva riferimento allo schieramento ideologico e partitico.
In che senso?
Ho proposto un programma che parlava alla città e quindi sono riuscito ad avere il consenso della gente che tradizionalmente vota a sinistra e ho fatto cinquanta giorni di campagna elettorale solo ed esclusivamente nelle periferie, incontrando gli operai delle fabbriche, chi abita nelle case popolari, chi vive in condizioni precarie. Ogni giorno ho girato i quattordici quartieri con tre-quattro gazebi dove distribuivamo risotto, pane e salame e il mio programma elettorale fatto di proposte concrete. Ho trascurato il centro storico perché notoriamente serbatoio di voti per il centrodestra, puntando molto a intercettare il disagio degli elettori di sinistra.
E come c’è riuscito? Faccia un esempio.
Ho proposto l’istituto della “dote casa” per integrare il canone di affitto a quelle persone che non riescono a pagarlo in maniera completa. E quando i cittadini hanno sentito queste cose, hanno compreso la differenza tra noi e la sinistra.
Insomma una campagna dal taglio “leghista”?
Se la vuole chiamare così. Io sono nato nella capitale della Magna Grecia: Crotone. A Mantova la Lega ha preso il 10 per cento, non le percentuali dell’alto Nord. Io vengo da Forza Italia e ho cominciato a fare politica nel ’94; da tre legislature sono in consiglio provinciale e sempre all’opposizione perché qui dal dopoguerra ha governato ininterrottamente la sinistra. Anche con l’avvento del Pd la città è sempre stata amministrata dagli ex Pci, mentre la provincia è stata “affidata” alla componente margheritina.
Dunque una doppia vittoria.
Doppia, tripla, quadrupla…
Non si allarghi troppo sindaco. Anche perché adesso deve dimostrare come cambierà Mantova. Della serie: dalle promesse ai fatti.
Le rispondo così: è stato eletto sindaco l’architetto Sodano, non mago Merlino o mago Zurlì. Io non sono di quelli che annunciano ‘tra un mese ribalterò tutto’. No, io non ho nessuna bacchetta magica, le cose da fare sono tante e voglio essere giudicato per quello che realizzerò nei prossimi cinque anni.
Lei ha personalizzato molto la campagna elettorale lasciando in secondo piano i partiti che la sostengono, compreso il suo. Perché?
Credo che anche per i livelli elettivi amministrativi debba prevalere l’aspetto programmatico. Il ruolo dei partiti che sostengono il programma rappresenta un’ulteriore garanzia ma non l’alibi per presentare chiunque. E’ l’errore che in tutti questi ani ha fatto la sinistra. Qui il Pd era abituato a vincere sempre e comunque, quindi il candidato sindaco è sempre stato scelto dall’establishment del partito, ma questa cosa finalmente è caduta. Io ho detto: cari cittadini, mettete sul piatto della bilancia Brioni e Sodano. Da un lato c’è una proposta che rappresenta la continuità; dall’altro c’è un’offerta di cambiamento. Ho ripetuto questo concetto per cinquanta giorni; alla fine la gente si è stufata e mi ha votato …(scherza).
I big nazionali di Pdl e Lega sono venuti a Mantova?
Certo che sì. Soprattutto in vista del primo turno anche perché c’era la contemporaneità con la campagna per le regionali. Sono venuti Formigoni, Bondi al quale mi lega una grande amicizia, La Russa, Ronchi, Calderoli e il mio amico sottosegretario Mantovani. Finita la competizione per le regionali, sono rimasto nudo davanti all’elettorato e mentre la sinistra ha caratterizzato la campagna elettorale ideologicamente, facendo arrivare a Mantova D’Alema, Fassino e Bersani per dire che ‘bisogna sostenere la Brioni per salvare la Costituzione’, io in quel momento ho capito che potevo vincere e non ho fatto venire nessuno dei big nazionali a sostenermi. Ho scelto di presentarmi alla città con la mia faccia e la gente lo ha capito.
Effetto domino a sinistra: dalla Puglia alla Lombardia. Su Mantova il Pd nazionale aveva concentrato l’attenzione anche come possibile laboratorio politico con l’Udc che al ballottaggio ha deciso l’apparentamento con la candidata della sinistra. Cosa ne pensa?
L’Udc ha fatto un grave errore politico. Una scelta sbagliata dei vertici romani che hanno imposto a quelli locali l’apparentamento con la sinistra dopochè al primo turno si era presentato con un proprio candidato. Tanto è vero che il segretario provinciale dei centristi non ha condiviso e alla vigilia del voto si è dimesso. Una scelta sbagliata perché da noi l’elettorato centrista è naturalmente vocato a guardare al centrodestra. Alla fine però il risultato di questa scelta è stato ininfluente.
Perché?
Sa quanti voti in termini assoluti ha preso l’Udc a Mantova?
Dica lei.
Cinquecentocinquanta.
Lei invece ne ha conquistati mille in più rispetto al primo turno. Li ha portati via alla Lega o alla sinistra?
Al primo turno avevo novemila voti, al secondo ne ho avuti undicimilacinquecento. Va aggiunto che prima i candidati sindaci erano sette, quindi c’è stata una forte frammentazione del voto. Resta il fatto che la mia avversaria al ballottaggio si è ripresa più o meno i suoi voti, io invece ne ho presi duemilacinquecento in più. Sono stato un grande tessitore e gli elettori di sinistra hanno creduto nel mio programma.
E il rapporto con il partito di Bossi come va?
Fuoco e fiamme fino a poco prima della scelta della candidatura.
Perché ?
C’è una situazione conflittuale tra Lega e Pdl per questioni locali ma io sono riuscito a mettere d’accordo “capra e cavoli”.
Modesto, sindaco.
A parte le battute, sono riuscito a concretizzare sulla mia persona la fiducia dei partiti e delle liste che mi hanno sostenuto.
Da consigliere provinciale d’opposizione a sindaco della città. Come ci si sente?
Ho ricevuto due giorni fa la fascia tricolore e sto cominciando a razionalizzare ora quanto è accaduto. Un effetto insolito. Penso che sarà un’esperienza meravigliosa. Sapevo fin dall’inizio che la battaglia mi interessava perché nessuno scommetteva una foglia di tabacco sulla mia elezione. Prevaleva la logica del voto di appartenenza e tutti dicevano ‘qui non si vince’. Io abito in città, lavoro in città e conoscevo la voglia di cambiamento della gente e la delusione nei confronti dei leader locali del Pd. Mi sono detto: qui stavolta ce la giochiamo. E l’ho fatto andando fino in fondo.