Hollywood racconta la resistenza tedesca (a modo suo)

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Hollywood racconta la resistenza tedesca (a modo suo)

29 Gennaio 2009

Il 30 gennaio esce finalmente nelle sale cinematografiche italiane “Operazione Valchiria”, il film diretto da Bryan Singer che vede Tom Cruise nel ruolo del colonnello Claus Schenk von Stauffenberg, ideatore ed esecutore materiale del tentativo di assassinio di Adolf Hitler, il 20 luglio 1944. Lunghe e variamente motivate le polemiche che hanno accompagnato le riprese girate in Germania, nel 2007: l’appartenenza di Cruise a “Scientology” e la cattiva fedeltà alla reale vicenda storica su tutte.

Diciamo pure che il timore maggiore, in particolare tra i più meticolosi storici tedeschi, era che la drammatica vicenda del gruppo di ufficiali della Wehrmacht decisisi finalmente nell’opposizione al regime hitleriano si trasformasse in un prodotto d’intrattenimento in puro stile hollywoodiano. E così è stato: la pellicola è stata pensata e confezionata col marchio degli studios californiani, dunque con i pregi e i difetti che, si sa, possono derivarne. Più pregi che difetti, in realtà, se è vero che quello che era fino a ieri un episodio di resistenza al nazismo rimasto a lungo ignoto ai più, in appena un mese è entrato di prepotenza nel patrimonio di memoria e di cultura di milioni di uomini in tutto il mondo.

Negli Usa, dove è uscito il 26 dicembre, così come nella Corea del Sud e perfino in Gran Bretagna, è sempre prevalsa la tesi cara a Churchill, secondo la quale quel tentativo di colpo di stato non fu altro che l’esito di uno scontro di potere interno al regime. Le cronache americane dicono in particolare di una diffusa attenzione tra i giovani: si racconta infatti di come nelle scuole, al rientro dalla vacanze natalizie, siano stati numerosi i casi di richiesta di approfondimento del tema. Che cosa chiedere di più a un film, soprattutto quando non ha la pretesa di essere pura ricostruzione di eventi? E non è forse questo ciò in cui Hollywood riesce meglio: rendere nota al mondo una storia altrimenti sconosciuta?

Del resto anche Philipp von Beoselager, uno degli ultimi sopravvissuti di quel 20 luglio, deceduto appena nel maggio scorso, sperava che la pellicola fosse un utile strumento, affinché ovunque si sapesse che quell’attentato a Hitler è stato un fatto, dunque qualcosa di cui poter raccontare. Anche in Germania, dove è in programmazione da appena una settimana, l’accoglienza tra gli spettatori è stata piuttosto calda, tanto che Frank Schirmacher, sull’autorevole “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, ha definito “impropri” i cavillosi dibattiti tra storici “sull’autenticità storica di alcuni particolari”.

Lo stesso Peter Hoffmann, uno di quelli che meglio conosce la vicenda, ha definito il film “sostanzialmente del tutto veritiero”. Pari giudizio emerge anche negli ambienti culturali tedeschi più conservatori, anti-nazisti eppure fieramente patriottici. “Finalmente”, ha scritto Thorsten Hinz sul settimanale “Junge Freiheit”, “una produzione hollywodiana nella quale militari e civili vissuti al tempo del Terzo Reich non vengono rappresentati come autocommiserevoli mostri o come esseri stupidamente brutali”.

Curioso come le critiche più aspre, non solo in Germania (così “Der Tagesspiegel”, ma anche Gherardo Ugolini su “L’Unità” di alcuni giorni fa), siano provenute da quella sinistra che pure per decenni ha costruito la propria ragione d’esistere sul mito della “resistenza” al nazi-fascismo. Forse, più che essere un dato stravagante, l’insofferenza nei confronti di questo “Operazione Valchiria” è la semplice conferma che quel mito, a sinistra, aveva ragione d’esistere solo perché funzionale alla costruzione del progetto comunista.

Un progetto lontano, lontanissimo dal desiderio espresso dal conte von Stauffenberg in una lettera alla moglie già nel marzo 1943: "Sento il dovere di fare qualcosa per salvare la Germania. Noi tutti, ufficiali dello Stato Maggiore, dobbiamo assumere la nostra parte di responsabilità". Un senso del dovere che poco dopo sarebbe divenuto ancor più chiaro: “La cosa importante è dimostrare davanti al mondo e davanti alla storia che il movimento di resistenza tedesco è esistito e che ha osato passare all’azione, a prezzo della vita". Così è stato e così rivive, pur con tutti i limiti di un film, nella pellicola di Singer.