I Balcani non sono lontani per i Jihadisti al lavoro in Italia

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I Balcani non sono lontani per i Jihadisti al lavoro in Italia

03 Aprile 2009

La torbida scia del terrorismo internazionale lascia tracce anche in Italia. Sappiamo che alcuni kamikaze che si sono fatti esplodere in Iraq e in Afghanistan vivevano da anni in Italia. Islamisti “italiani” sono stati detenuti a Guantanamo dopo la cattura da parte delle truppe americane. Dalla Lombardia è scattato l’accredito per le schede telefoniche Western Union usate dal gruppo di fuoco di Mumbai. A Kurmal, in Iraq, sono stati trovati documenti d’identità italiani in grandi quantità. L’indottrinamento avviene via Internet ma passa anche all’interno delle moschee e delle carceri. L’obiettivo è di reclutare nuove leve, magari tra gli immigrati di seconda e terza generazione.

L’ antiterrorismo dell’ Ucigos (l’Ufficio centrale per le investigazioni generali e le operazioni speciali), la scorsa estate, ha lanciato un allarme ben preciso: “come già riscontrato a Londra, dove gli attentatori del luglio del 2005 erano immigrati di seconda generazione, anche in Italia sta avvenendo lo stesso fenomeno”

L’Ucigos aveva appena arrestato Khalil Jarraya, a capo di una cellula terroristica che operava nell’hinterland bolognese. 39 anni, tunisino, sposato con una bosniaca, Jarraya è una vecchia conoscenza dell’antiterrorismo italiano. E’ considerato vicino ad “Al Qaeda per il Maghreb”, una costola del “Gruppo salafita per la predicazione ed il combattimento”, che opera tra Nord Africa e Medio Oriente. Le indagini condotte dal magistrato Rita Zaccariello chiariscono il ruolo del tunisino, che ha avuto relazioni epistolari con detenuti nelle carceri italiane, è stato attivo nelle moschee di Imola e Faenza , ha fornito supporto logistico ai "fratelli" legati ad ambienti fondamentalisti che soggiornavano per brevi periodi tra le provincie di Bologna e Ravenna.

Jarraya è anche accusato di aver usato e smerciato documenti falsi, di aver raccolte denaro tramite la pratica della zakat, la carità islamica, e di aver sovvenzionato gruppi integralisti che operano all’estero. Se c’era da truffare, Jarraya truffava, giustificando il tradimento del precetto islamico con la causa più alta del Jihad. Navigava su Internet scaricando documenti audiovisivi dai siti arabi, con modalità di accesso riservate; il materiale, proclami e incitamento al Jihad, foto e filmati di azioni violente registrate in Iraq e Afghanistan, veniva registrato su altri supporti per essere diffuso con scopi propagandistici.

Le intercettazioni ambientali e telefoniche hanno aiutato l’antiterrorismo a scovare la cellula bolognese. Jarraya usava Skype, un sistema telefonico che vieta l’intercettazione. In questo modo faceva proselitismo fra i magrebini della sua zona. “Arruolatore di martiri”, come si legge nell’ ordinanza del gip bolognese, “pronti a immolarsi in azioni suicide”. Jarraya li selezionava in base alla loro “aspirazione incondizionata al sacrificio per la causa di Allah”, addestrandoli “all’ idea della morte attraverso un’accecante esaltazione religiosa”. Il premio lo conosciamo, la conquista del paradiso.

Da dove è spuntato Jarraya? Conviene scavare nel suo passato di mujahiddin in Bosnia per capire chi è. Durante le guerre balcaniche lo chiamavano “il colonnello”. Ha combattuto con il Settimo battaglione mujaheddin, le milizie islamiche di Bosnia che si opponevano ai serbi all’inizio degli anni ’90. Le guerre balcaniche hanno scatenato un revival fondamentalista islamico in Bosnia dove, prima del conflitto, molte moschee erano state trasformate in musei (come a Mostar). L’intera società musulmano-bosniaca fu reislamizzata, fino alla creazione dell’Armata della Bosnia Erzegovina, la "Armija BiH". In questo esercito confluirono le brigate dell’internazionale Mujaheedin orfana della guerra in Afghanistan, sotto lo sguardo complice del presidente bosniaco Iztebegovic. Tra questi combattenti c’era anche Jarraya. I Balcani non sono lontani per i jihadisti che vogliono sbarcare in Italia, meglio non dimenticarlo.