I Berliner Philarmoniker e il nazismo: da Misha Aster nulla di nuovo

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I Berliner Philarmoniker e il nazismo: da Misha Aster nulla di nuovo

18 Settembre 2011

All’apertura della stagione concertistica 2007-2008 i Berliner Philarmoniker vollero festeggiare i 125 anni di vita ponendo al centro dell’attenzione pubblica il ruolo fino ad allora piuttosto trascurato della prestigiosa orchestra negli anni del nazismo. Fu così che senza particolari timori vennero proposte una mostra fotografica dedicata agli anni 1933-1945, nel foyer della Philarmonie, e la presentazione del libro di Misha Aster, Das Reichsorchester (ora pubblicato in Italia col titolo L’Orchestra del Reich, trad. di Nicola Cattò, Zecchini Editore, Varese 2011, p. 325, € 25,00).

Dunque allora non ci fu alcuna particolare paura ad affrontare il tema. La sovrintendente dei Berliner di allora, Pamela Rosenberg, in un’intervista a “radio.de” ebbe modo di esprimere così il desiderio di gettare una luce definitivamente chiarificatrice sul passato: “Credo che in nessuna famiglia si ritenga buona cosa il fatto che esista una stanza nella quale si celi un segreto”. Il libro del giovane storico canadese Aster, che è anche regista d’opera, venne annunciato con molta enfasi, con l’obiettivo dichiarato di creare una forte attesa. In realtà, tra gli eventi pensati nel 2007 per i 125 anni di fondazione dei Berliner, a deludere più di altri fu proprio il libro di Aster sull’”orchestra imperiale”, come volle chiamarla Hitler dopo la sua statalizzazione, il 1° novembre 1933.

Del resto lo stesso Wolfgang Lepenies, il sociologo che ha scritto l’introduzione all’edizione tedesca, ammise che, per quanto rappresenti un “eccitante” pezzo di storia, il rapporto tra i Berliner ed il nazionalsocialismo racconta un comportamento, quello della grande orchestra, “non diverso da quello di tanti uomini di cultura tedeschi dell’epoca”. “Non c’è stata contrapposizione al regime”, aggiungeva Lepenies, “ma neanche entusiasmo per il partito e per chi lo guidava”. Al di là della ricchezza dei documenti consultati e riprodotti, dunque nulla di sostanzialmente nuovo: il lavoro del canadese si fonda infatti su conoscenze e interpretazioni già note da tempo.

Lo confermava anche Helge Grünewald, allora portavoce dei Berliner: “Ciò che emerge dalla storia di quegli anni è che, nel caos sociale di quel tempo, neppure l’operato di una filarmonica poteva procedere senza esserne coinvolto. Certo molti hanno fatto come se fosse tutto normale. In realtà c’era terrore, c’era la dittatura. L’orchestra ha suonato in quegli anni per i compleanni di Hitler, si esibì in occasione dell’apertura dei giochi olimpici, in molti territori occupati, a Parigi, a Belgrado, suonando Beethoven e accettando di ricevere proteste insieme ad applausi: i musicisti di allora sapevano bene che oltre alla grande musica tedesca rappresentavano anche un regime di terrore”.

L’intera vicenda la si potrebbe dunque sintetizzare così, con una parola: opportunismo. Entrambe le parti, il regime da un lato e l’orchestra dall’altro, avevano precise necessità e su quelle convennero. Da un lato Hitler e Goebbels avevano bisogno di un fiore all’occhiello per la propaganda culturale all’estero, dall’altro i Berliner, fino al 1933 istituzione privata e in costante apprensione per la propria sopravvivenza, avevano necessità di un sostentamento pubblico che rendesse tranquilla e programmabile la vita dell’orchestra. Il libro di Aster conferma semplicemente questo. Del resto i modelli strutturali di finanziamento e management dei Berliner, come scrive lo stesso storico nell’Introduzione, “vennero creati durante il Terzo Reich, e molti elementi permangono immutati, a tutt’oggi, nell’organizzazione dell’orchestra”.