
I buonisti sono allarmati per il “virus populista”, ma sbagliano bersaglio

06 Aprile 2020
di F.B.
La pandemia sembra essere anche in grado di produrre ragionamenti quantomeno curiosi. Tra questi, c’è quello secondo cui i virus da cui difendersi sarebbero non uno, bensì due. A terrorizzare il mondo, infatti, non sarebbe soltanto il Covid-19. No, per qualche finissimo commentatore l’epidemia sembra poter scatenare degli effetti anche sul piano politologico. Tanto che il populismo, in una disamina firmata due giorni fa sul Corriere della Sera, è divenuto il “secondo virus nel mondo”. Orban e Trump sono tra coloro che vengono attaccati con più costanza. Il primo avrebbe avuto l’ardire di assegnarsi “pieni poteri”, mentre il secondo, mediante la sua “presidenza”, starebbe “creando precedenti” che potrebbero essere sfruttati in futuro dai suoi successori per “appellarsi” al fine di “indebolire” i “check and balance”. Ad essere onesti, facciamo fatica a comprendere la ratio della riflessione. E vi spieghiamo perché.
Tralasciando per ora alcune delle considerazioni politologiche che potrebbero essere avanzate, viene naturale porre ai commentatori che stanno analizzando la questione in questi termini una domanda: ma il tanto vituperato populismo, esattamente, cosa ha a che fare con uno stato pandemico e con l’eccezionalità con cui il globo terrestre tutto si sta confrontando? Con ogni probabilità, la replica suonerà più o meno così: i leader populisti stanno sfruttando il “momentum” per mettere in crisi l’assetto delle democrazie liberali. Premesso che se “democrazia liberale” significa lasciare che la competizione e le istituzioni siano riservate esclusivamente ai liberal non ci siamo, si può segnalare come il cattivone Trump abbia, tra i vari interventi predisposti in queste settimane abbia, garantito tutti gli americani, anche coloro che si trovano al di fuori del sistema delle assicurazioni sanitarie, per le cure inerenti al Covid-19. La Clinton, la democraticissima Clinton, avrebbe optato per la medesima mossa? Non lo sappiamo, ma più di qualche fattore evidenzia come gli asinelli ed i loro fautori potrebbero prendere in considerazione l’ipotesi di non distribuire troppe certezze.
Poi c’è Orban. Orban ha chiesto e domandato che il Parlamento, per mezzo degli strumenti giuridici che la Costituzione ungherese prevede, estendesse il raggio d’azione del primo ministro, consentendo anche una certa velocità legislativa. Questo è populismo? Sì? Pazienza. Ripetiamolo però, prima che la questione passi in secondo piano rispetto al fulcro della riflessione: è proprio il focus sul populismo che non torna. Il dramma che stiamo vivendo ha delle categorie nuove con cui fare i conti. C’è il piano del “fare”, che è prioritario, e poi c’è quello della “competenza”, che è altrettanto ordinario.
Poi c’è il livello della disamina fine a se stessa, che contribuisce a poco e che, con la motivazione di voler difendere il sistema democratico, potrebbe in realtà avere l’intenzione di sfruttare a sua volta il “momentum” per disegnare il recinto entro cui devono risiedere i partecipanti politici del futuro. Ognuno, allora, avrebbe il diritto di ventilare la sussistenza di un secondo virus. Ognuno potrebbe definire il genoma del patogeno a modo suo. Qualcuno potrebbe gridare al “populismo” virale. Altri, invece, potrebbero eccepire come l’ultra-progressista Svezia stia procedendo verso misure che poco hanno a che fare con la civiltà occidentale, e con il concetto di humanitas. L’Olanda, dal canto suo, potrebbe rappresentare un batterio economicamente ostruzionista per il Sud europa? L’immunologia e la epidemiologia politica, come vedete, si prestano a ben più di una interpretazione.
Il punto è che perdersi in chiacchiere non serve. Trump ed Orban sembrano averlo capito. Altri no.