I colori di Mark Rothko incantano Roma

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I colori di Mark Rothko incantano Roma

I colori di Mark Rothko incantano Roma

28 Ottobre 2007

A quasi 40 anni dall’ultima retrospettiva tornano in Italia
gli intensi dipinti di Mark Rothko, uno dei più noti e quotati artisti
internazionali, nato in Russia nel 1903,
vissuto in America e morto suicida a New York nel 1970.

L’attesa rassegna romana, curata da Oliver Wick e allestita
dal 6 ottobre al 6 gennaio, inaugura la riapertura del Palazzo delle
Esposizioni e offre l’occasione di ammirare 70 opere di uno dei principali
esponenti dell’espressionismo americano.

Un artista formidabile e misterioso, capace di attirare un pubblico così
poco da museo e di stregarti l’occhio appena ne intravedi un’opera. Un uomo
caratterizzato da una forte spiritualità, vittima di quei tormenti e di quelle
paure che lo hanno condotto ad una tragica fine.

Il primo approccio all’arte fu piuttosto farraginoso, con tentativi e
surrealismi. Ma se Mark Rothko fosse rimasto quello di una ventina di opere
della mostra, non saremmo certo qui a parlar di lui.

Nel 1947, abbandonando il surrealismo e scegliendo l’astrazione, le sue
tele cominciano a spopolarsi di figure e si animano di colori abbaglianti.
Negli anni ’50 prende corpo la sua più celebre cifra stilistica, caratterizzata
da macchie ipnotiche, bande monocromatiche sovrapposte, rettangoli colorati dai
bordi indefiniti. Sono dipinti evocativi che assorbono ed emettono luce, e
rappresentano un “ritorno alla vera pittura e insieme un approdo all’assoluta
astrazione”, come li ha definiti Gillo Dorfles.

Difficile dire cosa cercasse nei suoi quadri quello strano personaggio,
riservato, timido, chiuso dietro le lenti spesse dei suoi occhiali da miope. Era
sicuramente alla ricerca di qualcosa di grande e fuori dall’ordinario; qualcosa
che resta ancora oggi impercettibile e difficile da codificare in un’immagine. Il suo dramma, quello che lo ha avvicinato sempre di più
alla disperazione, è stata la sensazione di non esserci riuscito, di non aver
saputo afferrare l’essenziale, di aver mancato l’incontro con l’assoluto. Ad
ogni modo, sebbene non sia riuscito a compiere quella “rivelazione” che credeva
essenziale per l’arte e per gli artisti, è difficile restare indifferenti
davanti alla bellezza e alla forza delle sue opere. Osservandole sembra quasi che sprigionino
la vibrazione di una luce vivente, come se sulle tele non fossero sparsi colori
ma organismi: invisibili e inesauste molecole che continuano a modificare e
modificarsi.

L’imperfezione dei rettangoli, la fragilità dei bordi e i colori che si
fondono fra loro, mutando al variare della luce, non forniscono certezze né
riescono ad avvicinarsi ad una entità superiore, ma esprimono le debolezze e le
insicurezze degli uomini, rendendo l’artista molto vicino al suo pubblico.

L’esposizione si conclude con gli ultimi drammatici lavori degli anni
’60. E’ la serie dei Black forms e dei Black on grey: tele che rappresentano il culmine
di un’arte sempre più austera e 
spirituale, per alcuni assolutamente religiosa,  in cui la tavolozza di Rothko si fonde in un
unico e intenso colore, il nero.

Il suo sperimentalismo, i dubbi e le sofferenze spirituali che lo hanno
accompagnato durante tutta la vita fino a portarlo ad un misterioso suicidio,
lo hanno allo stesso tempo consacrato come il genio dell’espressionismo
astratto, definizione che Rothko ha fra l’altro sovente smentito, e hanno reso
le sue tele sempre più quotate sul mercato internazionale. Emblematica, in
questo senso, la vendita il 15 maggio scorso, di un suo dipinto, White
Center (Yellow, Pink and Lavender on
Rose), appartenente
in precedenza al potentissimo banchiere David Rockefeller acquistato all’asta, da Sotheby’s, da un anonimo
privato per la “modica” cifra di 72.840.000 dollari, (circa 53,5 milioni di
euro), uno dei prezzi più alti mai raggiunti da un autore contemporaneo. Merito
della bellezza dell’opera, sicuramente, ma anche della sua provenienza.

La mostra è un occasione per avvicinarsi alla sensibilità di
quest’artista che con i suoi quadri ha cercato di soddisfare un disperato
desiderio di infinito, di superare quel silenzio e quella solitudine che
rendono drammatica l’esistenza dell’uomo e ne sottolineano la caducità. Averci provato così
tanto e non esserci riuscito, gli è stato fatale.