I Comandamenti di Napoli

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I Comandamenti di Napoli

21 Dicembre 2008

Il crisma letterario è arrivato con la pubblicazione nel 2007, per i tipi di Adelphi, di “Dieci”. Dieci racconti come i Comandamenti da cui prendono i titoli, scritti in una lingua scarna che ricalca la sintassi del dialetto napoletano, con misurate inserzioni, nei dialoghi, di vernacolo. E’ stato un successo. Ma Andrej Longo aveva alle spalle già due libri. Un romanzo spezzato in tante storie (“Più o meno alle tre”, pubblicato nel 2002 da Meridiano Zero) e “Adelante”, una narrazione di respiro più ampio, uscita presso Rizzoli. Al centro, la metropoli partenopea.

Si assiste a un diluvio di titoli di narrativa napoletana, riconoscibilmente napoletana. E’ ancora possibile scrivere di Napoli senza scaldare nel microonde qualcosa di già scritto?

Penso di sì. Sono tre i punti di vista quando si parla di narrativa napoletana. Uno è la lingua, che è una lingua vera, e consente una forma sua propria. Due: Napoli e quella provincia vivono una situazione differente dalle altre città sia per tradizione sia per il momento storico. E quindi esiste una fucina di storie che vengono lette volentieri. Terzo, si può usare anche la propria terra, la Campania, per parlare di mondi più grandi, con una metafora.

Lei è di Ischia. Ma vive a Roma.

Vivo tra Roma, Ischia e Napoli.

Che differenza c’è tra essere napoletani e ischitani.

Ischia non ha nulla a che vedere con la realtà che vivono le periferie napoletane. I legami con la Camorra sono molto più vaghi. E’ un mondo a parte. Quando io arrivavo a Napoli le prime volte, mi accorgevo subito di un mondo diverso, ma non estraneo. La lingua è quella, i modi sono quelli. Quindi c’è comprensione. Ma subito notavo differenze. E Ischia è un palcoscenico su cui ad agosto si possono vedere tante cose.

L’approdo in Adelphi?

Ho conosciuto Ena Marchi, editor di Adelphi, alla presentazione di “Pericle il Nero” di Ferrandino. Il contatto si è protratto. Mi dicevano: “Questo non va bene, ma mandaci anche le prossime cose che scrivi”.

La sua scrittura asciutta esce così dalla penna o ha bisogno di rifiniture? Napoli permetterebbe anche uno stile più barocco.

Io ho una maniera di scrivere rapida, infervorata. Spesso sono persino troppo breve. Ci sono delle introspezioni dei protagonisti che io avverto, ma che nella furia della scrittura magari alla prima stesura non vengono fuori. Mia moglie, che è una bravissima lettrice, spesso mi dice: “In questo punto dammi qualcosa di più”.

Torniamo alla lingua.    

In “Dieci” tutti i racconti sono in prima persona, la prima persona di individui che secondo me devono parlare un po’ come pensano. Cercando di parlare in italiano useranno una sintassi e una grammatica napoletana. Avevo provato a scrivere questi racconti in terza persona, ma non entravo nel profondo dei personaggi e la lingua diventava un po’ un rumore di fondo.

Una sua personale bibliografia napoletana?

Frequento molti libri napoletani. Quasi mai li trovo deludenti.

Saviano.

Quando ho letto il libro di Saviano mi è venuta voglia di approfondire alcuni aspetti di Napoli che neanche conoscevo. Non quelli legati alla Camorra e alla malavita perché non le frequento e non ne avevo neanche l’opportunità. Però m’è venuta la voglia di conoscere tutta quella Napoli che lui raccontava.

Saviano è stimolante anche per un ischitano?

Assolutamente sì.

Nelle sue biografie si legge: “pizzaiolo”: troppo bello per essere vero.

Non nasco pizzaiolo e poi mi sono messo a fare lo scrittore. Ho fatto sempre questi mestieri estivi a Ischia, perché non vengo da una famiglia ricca. Si faceva il cameriere, l’istruttore di surf, il bagnino. Arrivato a Roma facevo una vita bohémienne cercando di lavorare per la radio, qualcosa di cinema. Però a un certo punto si sono bloccate un po’ le fonti di guadagno e bisognava scrivere cose orripilanti. O marchette. Per fare un provino per scrivere dei dialoghi di “Un posto al sole” è passato un anno senza essere preso. Forse non ne ero neanche capace. Sono andato a imparare il mestiere di pizzaiolo a Ischia e poi ho visto che a Roma si trovava lavoro facilmente. Quando uno divide il sudore con altre persone, ragazzi di periferia… E’ stato un doppio guadagno. I libri pubblicati compaiono dopo che ho iniziato a lavorare nelle pizzerie. Quando Adelphi mi ha chiamato stavo facendo i weekend in pizzeria a Ischia.