I commando Usa colpiscono Al Qaeda e Damasco trema

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I commando Usa colpiscono Al Qaeda e Damasco trema

28 Ottobre 2008

L’operazione militare condotta un paio di giorni fa in Siria dall’esercito statunitense stanziato in Iraq ha introdotto nuove tensioni in una regione già notevolmente provata da molteplici crisi. Il governo siriano ha quantificato in otto civili uccisi il bilancio dell’incursione realizzata da diversi elicotteri americani sul territorio di Damasco.

Il Ministro degli Esteri Walid al-Moallem ha parlato di “aggressione terroristica e criminale”, condannando duramente l’accaduto come “una gravissima violazione del diritto internazionale”. Risulta difficile stabilire l’identità delle vittime e dunque la loro possibile appartenenza a gruppi guerriglieri che periodicamente tentano di infiltrarsi in Iraq per rafforzare il fronte armato schierato contro gli U.S.A. Dichiarazioni di solidarietà a Damasco e di accesa protesta verso l’operato di Washington sono giunte dagli esecutivi di Libano ed Iran mentre il presidente di turno del Consiglio della Lega Araba – il siriano Youssef Ahmed –  ha dichiarato: “Gli americani hanno voluto superare il confine per il loro hobby, quello di uccidere degli innocenti”.

L’odierno ricomparire dei dissapori tra Stati Uniti e Siria giunge a interrompere un periodo di relativa distensione tra Damasco e la comunità internazionale. Alcune capitali europee, tra le quali Parigi e Londra, hanno stabilito negli ultimi mesi contatti amichevoli ad alto livello, culminati con la visita del Presidente francese Sarkozy a Damasco in settembre. Inoltre il recente incontro tra il Segretario di Stato americano Rice ed il Ministro degli Esteri siriano Al Mouallem, congiuntamente alla mediazione tra Siria ed Israele tentata dalla Turchia per risolvere la questione del Golan, sembravano avere sottratto parzialmente Damasco dall’isolamento diplomatico.

L’operazione statunitense riporta ora la tensione ad alti livelli e alimenta inevitabilmente i sentimenti antiamericani nella regione, conferendo maggiore forza alle fazioni oltranziste in tutto il Medio-Oriente. Viene in questo modo evidenziata una divaricazione tra la strategia europea, che vede nella Siria un potenziale fattore di stabilità per la regione mediorientale, e quella USA meno incline a un compromesso diplomatico.

Washington ha giustificato il raid in territorio siriano con la lotta al terrorismo di Al Qaeda in Iraq, essendo la Siria uno dei “sentieri dei kamikaze” utilizzati da combattenti stranieri diretti nella turbolenta provincia di Al-Anbar. Il villaggio di Al Sukkari, dove ha avuto luogo l’attacco statunitense, si trova a 8 chilometri dal confine iracheno nei pressi del Fiume Eufrate. L’area in questione, a partire dall’inizio dell’invasione statunitense nel 2003, ha rappresentato un accesso facilitato per i miliziani arabi sunniti intenzionati a combattere gli Stati Uniti in Iraq.

Le pressioni esercitate dagli USA su Damasco, affinché i circa 600 km di confine siro-iracheno fossero presidiati in maniera efficace, hanno portato a risultati tangibili. Le infiltrazioni di combattenti stranieri attraverso la Siria si sono almeno dimezzate dal 2005, quando il Presidente Bashar Al-Assad si è impegnato ufficialmente a garantire l’impermeabilità delle aree di confine. Tuttavia l’amministrazione Bush sostiene che sul territorio siriano avvengano tuttora regolari spostamenti di terroristi appartenenti alla rete di Al Qaeda.

Proprio in questo senso va letta l’operazione dei commandos scesi dagli elicotteri e protetti dai satelliti-spia: i soldati americani hanno eliminato Abu Ghadiya – trafficante di armi iracheno legato al network di Al Zarkawi (a sua volta ucciso nel 2005) che gestiva la logistica dei “foreign fighters” al confine tra Siria e Iraq. Il Pentagono ha definito il raid "un successo".  

Washington, infine, contesta a Damasco gli stretti rapporti diplomatici intrattenuti con l’Iran nonché il presunto appoggio ad Hezbollah in Libano e ad Hamas in Palestina. Questo è il quadro nel quale si è svolta l’incursione americana, le cui implicazioni potrebbero tradursi in un irrigidimento dell’atteggiamento strategico siriano nell’area.