I cristiani in Iraq rischiano la vita: la difficile condizione dei caldei
10 Novembre 2007
Essere cristiani in Iraq deve fare uno strano effetto. Un po’ come essere un appassionato di calcio negli Stati Uniti, o qualcosa di simile. Eppure la comunità dei caldei esiste in questo paese da almeno duemila anni e, d’altronde, l’Iraq è l’unico luogo al mondo in cui si può assistere ad una messa in aramaico.
In effetti, per un cristiano-caldeo questo non deve essere un problema perché il suo popolo è da sempre abituato a vivere contro corrente. I cristiani siriaco-orientali, infatti, hanno accettato la legge ecclesiastica di Roma proprio per cercare di riparare ad un torto storico, quello che i loro antenati nestoriani avevano arrecato alla dottrina ecumenica “ufficiale”, non riconoscendo a Maria il ruolo di Madre di Dio.
Ma i cristiani in Iraq, come pure gli altri fedeli, non se la passano bene, visto anche il fatto che, generalmente, i membri di questa comunità religiosa sono più abbienti dei musulmani e vengono quindi presi di mira quando si tratta di rapire qualcuno.
Dal 2004, però, i caldei – ma anche gli altri cristiani in Iraq – possono contare sull’aiuto del patriarca Emmanuel III Delly, 81 anni, considerato come un vecchio albero sotto il quale ripararsi dalle intemperie. Delly è stato nominato cardinale lo scorso 17 ottobre, insieme ad altri uomini di fede, provenienti da tutto il mondo.
Solo che mentre gli altri cardinali venivano da paesi in cui il cristianesimo ha attecchito da qualche centinaio di anni, Emmanuel III Delly è originario di Mosul, nel Kurdistan iracheno, la terra d’origine dei cristiani assiri che si instaurarono lì dopo l’invasione del sovrano mongolo Tamerlano, nel 1380.
Ecco perché il cardinal Delly ha dichiarato in un’intervista che “I cristiani e i musulmani hanno vissuto insieme qui per 1400 anni… Abbiamo molto in comune; in Iraq la casa dei cristiani è vicina a quella dei musulmani”.
Sarà anche così, ma intanto i cristiani-caldei, che all’epoca di Saddam Hussein godevano paradossalmente di un trattamento migliore, si trovano ora in una situazione difficile. Le loro case e le loro chiese sono state date alle fiamme in alcune zone del paese. I loro nemici dichiarati sono gli estremisti sunniti che li considerano apostati. Tra l’altro questo gruppo religioso non ha nemmeno nessuno che li rappresenti nell’esercito, è a tutti gli effetti indifeso.
Questo spiega anche perché, dal 2000, quando c’erano più di un milione di cristiani siriaco-orientali che rappresentavano il 3% della popolazione, siamo arrivati al mezzo milione scarso di oggi. La maggior parte di loro è fuggita dal paese, verso destinazioni meno pericolose in Medio Oriente o anche in Europa.
Visto che l’unico luogo rimasto relativamente sicuro per i caldei in Iraq è proprio il Kurdistan, guarda caso, loro patria d’origine, l’intera chiesa di Baghdad è stata trasferita ad Erbi, insieme a tutta la biblioteca. Gli edifici dei Caldei sono ora utilizzati dall’esercito americano come avamposto.
Intanto la diaspora cristiana prosegue. I caldei sono stati costretti a rifugiarsi nel nord, a Erbil, Zahu, Dahuk, Sulaymaniya e Ahmadiya. Posti in cui si può ancora vivere con una certa dignità.
Ma basta andare nella zona di Mosul ed ecco che l’incubo ricomincia: è qui infatti che i caldei sono circondati da individui che mettono in atto rapimenti per poi rilasciare le vittime solo in cambio di riscatti molto alti (10 o 20.000 dollari) o addirittura in cambio della consegna della casa e l’abbandono della città da parte della famiglia ricattata. Ma i rapimenti non finiscono sempre a lieto fine, quindi con il ritorno del familiare, e possono facilmente trasformarsi in omicidi.
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Il cardinale Emmanuel III Delly ha anche lanciato un appello per la protezione dei suoi fedeli al governo iracheno quest’estate, in seguito all’uccisione di un prete caldeo e tre suoi assistenti. Il Cardinale ha affermato che la casa dei cristiani in Iraq è vicino a quella dei musulmani ( e questo può non essere propriamente un vantaggio) ma – come ha sottlineato lo stesso Delly al New York Times – “ognuno difende la sua religione e la sua casa… solo che la tua fede è per Dio, la patria è per tutti”.