I dati dell’INPS e il dibattito sulle pensioni dicono che serve la riforma
28 Aprile 2010
A guardare i giornali e i telegiornali, stamattina, la giornata sembra incominciare con più ottimismo del solito sulle aspettative della futura vecchiaia. Tema (economico) del giorno: il bilancio Inps del 2009, relazionato ieri dal Presidente dell’ente previdenziale, Antonio Mastrapasqua, a Montecitorio. Titoli e commenti non lasciano spazio a dubbi: l’Inps gode di buona salute; i conti stanno in ordine; le riforme stanno funzionando; la spesa è sotto controllo; il bilancio ha chiuso in attivo di oltre 7 miliardi di euro. All’incontro erano presenti il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, il Ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta. Il dibattito – e non poteva succedere diversamente – è scivolato sul nodo “riforme”.
L’intervento del numero uno della Camera ha riguardato soprattutto i giovani e il loro incerto futuro previdenziale. «C’è da chiedersi», ha detto Fini, «come sia possibile dare sostegno ai giovani nella fase iniziale della loro attività lavorativa, quando la flessibilità del mercato può determinare carenze contributive e conseguenti future pensioni molto basse». Quindi la soluzione: lo sviluppo del sistema di previdenza complementare (i fondi pensione) che «deve rappresentare per il nostro Paese una priorità strategica». Ma come? Secondo il Presidente della Camera: «l’azione combinata di un polo pubblico di garanzia, per quanto riguarda i fondi complementari e il sistema finanziario per l’investimento dei contributi versati, potrebbe favorire un’adesione massimizzata al sistema e un miglior risultato in termini di trattamenti pensionistici complementari». Perché, ha aggiunto Fini, se nonostante le riforme i fondi pensione non sono decollati, ciò è dovuto al fatto che «in assenza di un serio punto di riferimento istituzionale, i lavoratori non hanno riposto la fiducia sperata nel cosiddetto “secondo pilastro”, perché ai dubbi ed alle preoccupazioni per la prospettata rinuncia alla liquidazione, si sono aggiunti i rischi connessi all’accaparramento del sistema da parte del mondo bancario e assicurativo».
E’ seria e preoccupante la critica del Presidente della Camera a una riforma della previdenza (quella integrativa) che, tutto sommato, è figlia di un Governo di cui ha fatto parte: la riforma delle pensioni del 2004, firmata dall’allora ministro del lavoro, Roberto Maroni. Più grave e inquietante è la soluzione suggerita per favorire lo sviluppo dei fondi pensione: dar vita a un «polo pubblico di garanzia», cioè al «punto di riferimento istituzionale» (ma perché i fondi pensione sono inaffidabili? E la Covip non svolge bene il ruolo “istituzionale” di vigilanza?) che avrebbe dato e potrebbe dare ai lavoratori, secondo Fini, quella sicurezza tale da convincerli a investire i propri risparmi in una pensione di scorta. E’ una soluzione da scartare sul nascere. Il rischio è creare altri dispendiosi carrozzoni pubblici. Tanto valeva, allora, sostenere le richieste dell’ala sinistra del passato governo Prodi che, a proposito del trasferimento del trattamento di fine rapporto a favore della previdenza integrativa, ne chiedeva la destinazione totale ed esclusiva all’Inps.
Per il Ministro del lavoro l’appuntamento è stata l’occasione per spiegare la ritrosia a un’azione di riforma delle pensioni e, in particolare, a quella finalizzata ad equiparare l’età di pensione tra donne e uomini nel settore privato (nel settore pubblico l’equiparazione c’è già stata in forza di un sentenza della corte Ue, ma sarà a regime dal 2018). «Noi abbiamo compiuto riforme significative», ha detto Sacconi, aggiungendo che «il contesto di oggi non consente» di elevare l’età di pensione alle donne. Il vero punto di forza del sistema pensionistico italiano, secondo il ministro del lavoro, è da ricercarsi nella riforma previdenziale che ha fatto «entrare in vigore i coefficienti che con saggezza la riforma Dini aveva previsto per adeguare le prestazioni all’allungamento della vita».
Prima di equiparare l’età delle pensioni, tra uomini e donne, secondo Sacconi occorre «lavorare per costruire condizioni di piena inclusione delle donne nel mercato del lavoro». Nel settore privato nel 2009, ha spiegato il ministro del lavoro, gli uomini sono andati in pensione in media a 61,5 anni e le donne a 60,5. «Se nel 2009 avessimo avuto già l’equiparazione dell’età di pensione, abbiamo fatto una simulazione in base alla quale contro i 61,5 anni dell’età di pensionamento degli uomini si avrebbero avuti 63,9 anni per le donne», da detto ancora Sacconi. Concludendo «cioè avremmo mandato significativamente più tardi in pensione le donne e, in una condizione di diffusa disoccupazione, in modo particolare le donne over 55».
Passando a dare uno sguardo ai dati, l’Inps chiude il 2009 con un avanzo di oltre 7 miliardi di euro. Al 31 dicembre 2009 vengono erogate 16.053.965 pensioni, con un decremento dello 0,26% (meno 42.208 pensioni) rispetto al 2008. Nei dettagli, oltre 10 milioni sono le pensioni erogate ai lavoratori dipendenti (meno 0,9% rispetto al 2008), più di 4 milioni quelle ai lavoratori autonomi (più 1,2%) e oltre 200 mila ai lavoratori iscritti alla gestione separata (più 27,7%). Oltre 4 milioni (l’80% sono di donne) sono le pensioni integrate al minimo di legge.
La spesa per le pensioni è stata pari a 173.127 milioni di euro, con un incremento del 3% sul 2008 di 5.071 milioni di euro. L’incidenza sul Pil si è portata all’11,32% (da 10,69% del 2008). Le nuove pensioni liquidate sono state 697.098. Continua a salire pure la spesa per le prestazioni di invalidità civile che nel 2009 è arrivata a 16 miliardi di euro (più 4,9% rispetto al 2008), a fronte di circa 2,6 milioni di beneficiari. Dato confortante è che sono aumentati anche i controlli: nel 2009 sono state effettuate 200 mila verifiche che hanno dato il risultato della revoca del 15% del campione posto a controllo.
«Sarebbe miope e riduttivo pensare che la sostenibilità possa essere l’unico criterio di riflessione sul futuro del sistema previdenziale», ha affermato il presidente dell’Inps. Giusta osservazione, caduta nel momento in cui sembrava (e che ancor oggi ci pare avvertire leggendo i quotidiani) venisse celebrato esclusivamente il “risultato finanziario” della gestione Inps.
Il vero e preoccupante problema resta la tenuta del sistema pensionistico per il futuro, ossia «le prestazioni di domani che richiedono, però, un’attenzione vigile nel presente», come ha sostenuto Mastrapasqua. La tenuta del sistema pensionistico non significa solo ed esclusivamente far rientrare i conti della spesa previdenziale entro i parametri del bilancio pubblico. Ma occorre pure che questi conti quadrino assieme a una adeguato livello di tutela garantito ai lavoratori. Oggi, guardando al futuro, questa garanzia è molto lontana: è un problema di “efficienza” del sistema previdenziale. Efficienza dei conti e (quindi) efficienza delle pensioni. Efficienza nei conti: può dirsi presente in un bilancio dell’Inps – quale quello che si sta celebrando oggi – che ha visto salire del 4,9% i trasferimenti da parte dello Stato, da 79.180 miliardi di euro del 2008 a 83.036 miliardi di euro nel 2009 (più 3.856 miliardi di euro)? Efficienza delle pensioni: può dirsi presente in un futuro scenario previdenziale che promette una pensione al più pari al 50% dell’ultima retribuzione/reddito? E allora che aspettiamo a rimettere mano a una riforma delle pensioni?