I Democratici al Congresso: un anno di fallimenti
10 Novembre 2007
di Karl Rove
Questa settimana si celebra l’anniversario della vittoria dei Democratici al Congresso. Ma la presidente Nancy Pelosi, e il leader della maggioranza al Senato, Harry Reid non sono probabilmente dell’umore giusto per festeggiare. Le buone intenzioni che accompagnarono la loro vittoria sono scomparse. Le promesse della campagna elettorale sono inevase. La leadership democratica è allo sbando. E l’attività legislativa del Congresso è crollata ai minimi storici.
I problemi che i Democratici stanno ora sperimentando cominciano dal bilancio federale. O piuttosto dalla sua mancanza. Nel 2006 i Democratici criticavano il Congresso di tirarla per le lunghe sul bilancio e promettevano si saper fare di meglio. Invece hanno fatto peggio. L’anno fiscale è cominciato il primo ottobre, cinque settimane fa, ma i Democratici non hanno ancora inviato al presidente una sola legge di spesa. Sono almeno 20 anni che non si registrava un simile ritardo: un segno evidente della confusione che regna nel Congresso di Reid e Pelosi.
C’è di peggio: i Democratici hanno chiarito che tutti i loro discorsi sulla disciplina fiscale sono appunto solo questo: discorsi. Hanno proposto una spesa per i prossimi cinque anni di 205 miliardi superiore a quella proposta dal presidente. E il primo passo di questa baldoria sono 22 miliardi di maggiori spese per il prossimo anno. Solo a Washington un politico può essere così privo di pudore da sostenere – come hanno fatto Reid e Pelosi – che 22 miliardi sono “una differenza relativamente piccola”.
Diciamo anche chiaramente cosa significhi ritirare i tagli fiscali del presidente nel 2001 e nel 2003, come i Democratici hanno detto di voler fare. Ogni contribuente pagherà più tasse. Le famiglie pagheranno 500 dollari in più per ogni figlio perché perderanno il relativo credito d’imposta. Le tasse sulle piccole imprese saliranno mediamente di 4000 dollari l’anno. I pensionati pagheranno più tasse sulle rendite dei loro fondi. E poi abbiamo l’aumento di un bilione di dollari in tasse proposto dai democratici il mese scorso come “riforma fiscale”.
Ma fallire nella presentazione del bilancio, proporre un’impennata nella spesa pubblica e offrire il più alto aumento delle tasse della storia non sono le sole caratteristiche di questo Congresso democratico.
Grazie a MoveOn.org e altri gruppi di sinistra, i Democratici hanno ignorato i progressi realizzati in Iraq con il “surge”, hanno minimizzato gli sforzi dei nostri soldati e sprecato tempo prezioso nel vano tentativo di costringere il presidente a un immediato ritiro dall’Iraq. E continuano a insistere su questa strada che porterebbe al caos nella regione, alla creazione di un possibile stato terrorista con la terza maggiore riserva di petrolio nel mondo e farebbe un immenso regalo propagandistico a Osama bin Laden, all’Iran, ad Hamas e agli Hezbollah.
Mentre in campagna elettorale promettevano il sostegno alle nostre truppe, i Democratici hanno fatto di tutto per tagliare i fondi ai soldati e ai Marines sotto il fuoco del nemico. Per 19 senatori democratici questo è stato un passo di troppo e hanno votato contro la loro stessa maggioranza. I Democratici hanno anche tentato di infarcire una legge urgente di spesa per i militari con miliardi di dollari di favori e mazzette personali. E ora i leader del partito stanno bloccando una legge d’emergenza per pagare corsetti anti-proiettile e veicoli anti-mina.
Dopo aver promesso un “Congresso che onori con decisione le nostre responsabilità di proteggere i cittadini dal terrorismo”, i Democratici hanno respinto riforme permanenti nel “Foreign Intelligence Surveillance Act”, che lo stesso direttore della National Intelligence diceva essere necessarie per colmare “critiche lacune del nostro sistema di informazione”. I loro candidati presidenziali si sono scavalcati l’un con l’altro, in un recente dibattito, nel promettere la fine del “Terrorist Surveillace Act”. E i leader democratici al Senato, intravedendovi un vantaggio politico, hanno ritardato la conferma del giudice Michael Mukasey come prossimo attorney general. E’ evidente che si tratta di un uomo che sa molto bene qual è il ruolo del dipartimento di Giustizia nella lotta al terrorismo. Ritardare la sua nomina rende solo più difficile quello scontro.
I democratici hanno promesso “civiltà e intese bipartisan”. Invece offeso i loro colleghi repubblicani, hanno rifiutato di includerli nei negoziati sul bilancio e hanno lanciato più di 400 indagini e fatto più di 675 richieste di documenti e testimonianze. Hanno rifiutato un compromesso bipartisan sull’ampliamento del programma di assistenza medica per l’infanzia, preferendo perdere tempo con una legge che sapevano avrebbe avuto il veto del presidente. E sapevano che non avrebbero avuto i numero per contrastare il veto, dunque perché l’hanno fatto? Perché i sondaggisti gli avevano pronosticato un vantaggio politico mentre sono apparsi solo cinici.
La lista dei fallimenti del Congresso aumenta di mese in mese. Non c’è ancora una legge sull’energia. Nulla si è mosso sulla sanità o sulla crisi dei mutui. Non c’è stata la riforma dell’immigrazione e non è stato rinnovato il programma “No Child Left Behind”. Poco si è fatto sulla giustizia e non abbastanza sulle barriere al commercio. Il Congresso non ha fatto il suo lavoro e questo porterà conseguenze.
I Democratici hanno avuto la loro occasione con le elezioni del 2006, ma quel momento è passato e l’hanno gettata al vento. Hanno dimostrato insieme incapacità e mancanza di volontà nel governare. Dopo più di dieci anni nel ruolo di minoranza parlamentare hanno conservato il riflesso di guardare ai vantaggi di breve termine e di accontentare le frange estreme del partito. Ora che i Democratici hanno le redini del Congresso mostrano il loro vero volto e alla gente non piace ciò che vede.
La vittoria democratica nel 2006 fu di stretta misura. Vinsero alla Camera per 85.961 voti su più di 80 milioni di elettori, e al Senato per appena 3562 su 62 milioni di votanti. Una maggioranza che vince con così poco scarto può rapidamente veder rovesciate le proprie fortune se manca di agire con responsabilità, non mantiene le promesse e non riesce a governare.