I Dico, i Teodem e i fischi della piazza
25 Aprile 2007
Sabato 21 aprile, Congresso della Margherita. Nello stesso giorno, a poche ore di distanza, i vertici politici dei Dl approvano due ordini del giorno: uno a favore della partecipazione al family day e un altro per ribadire l’appoggio ai cosiddetti “Dico”. Una contraddizione in termini o una scelta politica strategica? Gaetano Quagliariello, senatore di Forza Italia, che ha sollevato la questione pubblicamente con una nota, sostiene: “La circostanza permetterebbe di maramaldeggiare. Se non lo si fa è per la considerazione del problema serissimo che essa pone e che riguarda sia l’identità dei cosiddetti cattolici democratici sia la loro collocazione nel futuro Partito Democratico”.
Sul fronte dei cattolici di sinistra, i temi etici aprono la strada a non poche contraddizioni: “Se la nozione di progressismo sociale consentiva una facile sintesi tra la sinistra e una parte del mondo cattolico, – continua il senatore forzista – quando si passa al progressismo etico-antropologico i dubbi divengono grandi, se non insuperabili. Siamo consci di questa difficoltà e, da avversari, la rispettiamo. Essa però non può risolversi con un gioco delle tre carte a scapito della serietà di tutti”.
Insomma, sulle questioni sociali non si scherza: bisogna stare da una parte o dall’altra. E l’appuntamento romano pro-famiglia del 12 maggio è un’occasione per dimostrarlo. “Il family day è nato contro i Dico, lo sanno tutti”, afferma Eugenia Roccella, voce laica delle Associazioni cattoliche che hanno firmato il Manifesto “più famiglia”. “Non è una manifestazione contro il governo ma certamente è contro quella normativa specifica che regolamenta e rende pubblico il riconoscimento delle coppie di fatto”. Insomma, o si va in piazza o si è per i Dico: “Lo attesta a chiare lettere il manifesto dei promotori. Questa alternativa deve valere per tutti, anche per i cattolici democratici della Margherita. In caso contrario, quello che i promotori hanno definito un “convenire festoso” si trasformerebbe in un inutile happening al quale ognuno sarà autorizzato a partecipare con la propria particolare idea di famiglia”. E allora come si spiegherebbe la doppia mozione? “È evidente che il Manifesto i politici della Margherita, o di quel che resta di essa dopo il Congresso, non l’hanno neanche letto. Lì sono ribaditi a chiare lettere tre sì e un no, e il no è ai Dico. E non c’è discussione su questi tre punti fermi. Quella al family day non è una generica partecipazione, non è una passerella, chi viene si impegna politicamente contro i Dico con tutta la gente che ci sarà quel giorno. I firmatari di quelle due mozioni devono rispondere, responsabilmente, delle loro azioni politiche”.
Eppure c’è chi all’interno della Margherita le idee chiare sembra averle. È Paola Binetti, teodem dichiarata, che sostiene: “Sarò presente. Ma non ho firmato la mozione dei Dico. So benissimo che tra le due cose non c’è compatibilità. E sarò presente per partecipare a quel sì corale che la gente vorrà tributare alla famiglia. Sarà un sì che va oltre gli schieramenti di partito e oltre le divisioni tra laici e cattolici. Credo che sia qualcosa che non è mai avvenuto prima nel nostro paese”. La Binetti, che il Manifesto l’ha letto e idealmente sottoscritto lancia anche, col suo tono sempre pacato, una piccola stilettata ai suoi: “Bisogna ammettere che su questi temi c’è una certa ambiguità. La mozione che è stata firmata parla di “tutela giuridica dei diritti e dei doveri delle persone conviventi”. Non si fa riferimento ai diritti e doveri delle coppie. Chi l’ha scritta ha cercato di camminare sul filo del rasoio, di giocare con l’abilità linguistica per non dire a chiare lettere le cose come stanno. Ma la politica deve essere chiara. Perché il senso comune, quello che viene percepito dalle persone è molto più forte del testo scritto. Non è un caso che il titolo dell’articolo del quotidiano Europa, che ha pubblicato i testi delle mozioni, reciti: Non rinunciare ai Dico”.
Ci vuole chiarezza, dunque, chiarezza politica ed espositiva: “Non si può dire sì alla famiglia e contemporaneamente a qualsiasi cosa le faccia ombra, anche quando non fosse propriamente un’aggressione all’istituto familiare, così come riconosciuto dalla Costituzione. Quindi sì al family day, ma, lo sottolineo, a titolo personale. Il partito fa altre scelte. E poi il partito Margherita non esiste più”. Insomma, una sorta di “scordiamoci il passato, domani è un altro giorno”? “Oggi esiste il Partito Democratico e non si può chiedere a un partito neonato di prendere posizione a favore o contro queste cose. Se poi chiede a me che tipo di responsabilità mi assumo nei confronti di tutti coloro che hanno dei legittimi bisogni e che vorrebbero vederli tutelati le dico: ho una responsabilità personale, sociale, professionale”.
E gli altri del partito? Antonio Polito, senatore dell’Ulivo, si dichiara lontano da queste discussioni, ma segue a distanza la linea dei teodem: “Chi dei compagni di partito, come Rosi Bindi, ha parlato al congresso di questi temi è stato chiaro: i Dico non sono contro la famiglia. Quindi non vi è contraddizione tra i diritti della persona e l’istituto della famiglia. Se però è come lei dice, se c’è davvero una sorta di esclusività nella manifestazione del 12 maggio, allora le cose cambiano. Allora i politici favorevoli ai Dico non devono andare”.
L’augurio di Quagliariello sembra essere stato accolto: “Mi auguro che i promotori dell’iniziativa e gli stessi teo-dem, per evitare una deriva che farebbe perdere ogni senso a quella giornata, facciano sentire presto la loro voce”.
“C’è bisogno di impegno, chiarezza e onestà intellettuale – continua la Roccella – lo stesso che hanno messo in campo le associazioni cattoliche quando hanno sostenuto di esser disposte a riconoscere i diritti della persona ma non le convivenze di fatto. E allora chi verrà al family day poi non si lamenti se viene fischiato dalla piazza”.