Nella conferenza stampa di fine d’anno Silvio Berlusconi ha ribadito che il Governo da lui presieduto gode ancora – e nonostante tutto – di un largo consenso di opinione pubblica. Nel determinare il prolungamento della postelettorale, a favore del premier e dell’esecutivo, concorrono certamente le evidenti difficoltà dell’opposizione e la memoria – ancora presente in termini negativi – dei due anni di governo di Prodi e dell’Unione.
In sostanza, l’orchestra Berlusconi continua a piacere al suo pubblico, per una ragione molto semplice: non ha paura di cimentarsi con gli spartiti difficili ovvero di provare a sciogliere i tanti grovigli intrecciati dai poteri forti che sono la vera palla al piede dell’Italia. Nell’orchestra spicca un solista di grande valore. A volte, con le sue iniziative personali, suscita l’imbarazzo e l’irritazione dei colleghi. Ma alla fine è lui ad avere ragione e a dimostrare che in questo Paese è possibile raccogliere le sfide e vincere, perché gli avversari delle riforme – nonostante la loro prosopopea – sono soltanto delle . Parliamo di Renato Brunetta, ministro dell’Innovazione e della Pubblica Amministrazione, il quale è partito lancia in resta contro il fenomeno deteriore dell’assenteismo dei dipendenti pubblici, non si è dato cura delle vivaci proteste sindacali, convinto di avere al suo fianco la gente comune. Ed è stato così: le potenti federazioni di categoria hanno mugugnato, ma la loro capacità d’interdizione è crollata come un castello di carta. E l’assenteismo ha subito un drastico ridimensionato, da tutti riconosciuto. Poi è stata la volta dei
, sindacali e non, compresi quelli riconosciuti della legge n.104 del 1992 a tutela delle persone con handicap.
A quest’ultimo proposito Brunetta ha dovuto affrontare una durissima campagna ostile alla Camera, anche all’interno della maggioranza. Alla fine, però, quando il Senato avrà esaminato il provvedimento varato dalla Camera, Brunetta avrà la possibilità di avvalersi di una delega che gli consente di riordinare la marea di permessi concessi a vario titolo nell’ambito delle pubbliche amministrazioni.
La partita decisiva con i sindacati il ministro l’ha giocata sui rinnovi contrattuali, senza preoccuparsi più di tanto del no pregiudiziale della Cgil, il cui atteggiamento ostile è stato visibilmente sanzionato dal fallimento dello sciopero generale proprio nel pubblico impiego e nella scuola. Così, a gennaio, i dipendenti pubblici incasseranno gli aumenti; e saranno gli unici lavoratori – coi tempi difficili che corrono – ad avere garantito non solo il posto di lavoro, ma anche un miglioramento retributivo.
Strada facendo, Brunetta veniva accusato dai suoi critici di fare solo della politica-spettacolo; nulla però di carattere strutturale. Tutto il contrario, invece. Nei giorni scorsi il Senato ha approvato, con l’astensione dell’opposizione, un provvedimento di riforma organica del pubblico impiego, a cui ha largamente contribuito – lui stesso lo ammette con orgoglio – il senatore Pietro Ichino con la parte riformista del Pd. Dulcis in fundo, le pensioni: anzi, l’età pensionabile delle donne, un altro tabernacolo dell’ipocrisia italiota. Cogliendo l’occasione della sentenza dell’Alta Corte di Giustizia del novembre scorso – che ha condannato l’Italia per discriminazione di genere perché manda le lavoratrici del pubblico impiego in quiescenza prima degli uomini – Brunetta ha intravisto l’opportunità per il nostro Paese di avvalersi nuovamente del ‘vincolo esterno’, allo scopo di fare le riforme. Così, ha riportato al centro del dibattito, sia pure su di un aspetto particolare, il tema delle pensioni che il Governo si guardava bene dall’affrontare.
La sentenza dell’Alta Corte fa giustizia – anche sul piano culturale – di un luogo comune molto diffuso in Italia: quello per cui la donna deve essere risarcita della sua condizione di oggettiva difficoltà, personale e professionale, attraverso uno ‘sconto’ sull’età pensionabile di vecchiaia, quando questo stesso ‘sconto’ altro non è se non ‘l’ultima raffica’ della discriminazione di genere. Brunetta ha colto, ancora una volta, quel profondo senso di sfida che spesso si annida in aspetti apparentemente secondari, dai quali, però, passa la crescita del Paese.