I due obiettivi di Monti nel suo ‘road show’ asiatico: debito e investimenti
26 Marzo 2012
Astana, Seoul, Tokyo e Pechino. Queste le quattro tappe del viaggio asiatico del presidente Monti, iniziato ieri nella capitale kazaka di Astana. Il premier italiano vi ha incontrato il presidente della repubblica centro-asiatica Karim Masimov e, secondo quel che è emerso, i due avrebbero discusso d’interscambio commerciale e d’energia (c’è da chiedersi se vi sia stato una qualche discussione anche sul quasi mitico progetto di Kashagan che vede Eni parte in causa).
A palazzo Chigi hanno definito il tour asiatico di Mario Monti una “road show” – un termine che in finanza fa riferimento alla presentazione di una società che sta per essere quotata dagli investitori istituzionali. In questo caso, ça va sans dire, l’impresa da presentare è la montiana Italia delle riforme.
Si tratta del primo viaggio di Monti fuori dallo spazio euro-statunitense. Un viaggio che si consuma mentre imperversa in patria il dibattito politico scatenato dalla presentazione del disegno di legge sulla riforma del lavoro di venerdì scorso – a cui il premier ha deciso di partecipare all’estero dichiarando di credere che la riforma sia “equa e incisiva”.
Monti ha preso parte oggi al grande tavolo della Conferenza sulla sicurezza nucleare, in corso a Seoul, Corea del Sud, un incontro a cui ha partecipava anche il presidente Usa, Barack Obama. La conferenza, che affronta i temi legati alla sicurezza degli armamenti nucleari, è servita al premier italiano, sul piano strettamente diplomatico, anche per anticipare il proprio debutto nelle ‘cose del mondo’ in vista del G20 del prossimo mese in Messico.
Al margine del summit, il premier ha anche incontrato il premier indiano, quello canadese, Stephen Harper, quello thailandese, Yingluck Shinawatra, e quello di Singapore, Lee Hsien Loong.
Ma che c’entra l’Italia con le questioni strettamente nucleari? In fondo l’Italia non possiede un arsenale strategico nazionale né tanto meno un programma energetico nucleare civile (e considerata la zappa sui piedi del referendum 2011 non v’è possibilità che ve ne sia uno presto). E allora? Beh, si tende a dimenticare troppo facilmente che, in realtà, sul territorio italiano sono “ospitate” qualche decine di testate nucleari sotto controllo statunitense.
Ovviamente non è dato sapere l’esatto numero delle testate in questione (ci auguriamo che qualcuno ne sappia qualcosa al ministero della Difesa), ma è evidente che la sicurezza nucleare, latu sensu, interessa anche il nostro paese. In più c’è il nodo della gestione delle scorie, che nel caso italiano, datano al programma nucleare civile precedente al primo referendum sul nucleare del 1987. Come dimenticare la Sogin, Società gestione impianti nucleari, l’ente pubblico che tra l’altro ha il dovere di gestire lo stoccaggio e lo smaltimento delle scorie a bassa, media e alta attività presenti sul territorio nazionale.
Dopo domani sarà per Monti il turno del Giappone. A Tokyo il premier italiano incontrerà il suo omologo, Yoshihiko Noda, mentre venerdì sarà nella capitale cinese per incontrare Li Keqiang, l’attuale vice-premier della Repubblica popolare cinese, quasi certamente successore di Wen Jiabao, attuale premier cinese il prossimo Novembre quando il vertice della RPC cambierà.
Ma cosa si cela in profondità dietro il viaggio asiatico di Monti? Due gli obiettivi portanti. In primis c’è il nodo dei titoli di debito sovrano italiano detenuto all’estero (attualmente circa il 46% del nostro debito è in mani straniere). La Cina da sola dovrebbe possedere titoli sovrani pari all’incirca al 4% di quello circolante (queste le indiscrezioni offerte dal Tesoro italiano al FT sul finire dell’anno scorso).
Quanto al Giappone, non è dato sapere che percentuale di debito italiano detenga, ma è certo che il premier Monti cercherà di persuadere il governo giapponese a rinnovare i propri titoli qualora entro l’estate ve ne fossero a scadenza. Diventa insomma cruciale una attenta perorazione a continuare ad investire sulla solvibilità dello Stato italiano. Si noti che il Giappone ha sì un debito pubblico ben al di sopra del 200% nel rapporto debito-Pil, ma ha solo il 6,5% di debito pubblico detenuto all’estero, fattore che lo rende molto meno vulnerabile a speculazioni internazionali.
In secondo luogo, Monti ha intenzione di raccogliere investimenti esteri per l’Italia. La quantità di risorse a disposizione del governo di Pechino, per esempio, tra fondi d’investimento sovrani e imprese a controllo statale, è poderosa. Per questo, in mancanza di risorse di finanza pubblica disponibili per investimenti pubblici (e privati, visto che ha riempito l’Italia di nuove tasse) in Italia, il governo Monti ha bisogno di spingere sugli investimenti esteri diretti in funzione anti-ciclica.
Ovviamente i risultati che possono scaturire da questo genere di operazioni diplomatico – commerciali hanno tempi d’implementazione estremamente lunghi e i nessi di causalità tra pourparler e contratti portati a casa, è di difficile individuazione (per intenderci, se Monti dovesse incassare tra due giorni un ‘sì’ per qualche operazione estera in Italia, non è detto che ne vedrà il primo passo da primo ministro).
Se resta comunque legittimo l’obiettivo politico di attrarre investimenti esteri nel paese, poco è stato fatto per fare in modo che in Italia se ne generino. Le misure recentemente adottate dal governo Tory-LibDem britannico, fatto di un piccolo “taglietto” fiscale teso a creare le condizioni per investimenti finanziati dal settore privato, che all’ora attuale in Italia sono altamente disincentivati, dovrebbe insegnarci qualcosa in questo senso. Ma di segnali che a Roma vogliano raccogliere il piccolo (e forse un po’ timido insegnamento di Londra) non ve ne sono.