I figli di Israele vanno difesi ma neppure l’America si impegna contro il terrore

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I figli di Israele vanno difesi ma neppure l’America si impegna contro il terrore

23 Luglio 2012

Gerusalemme. La carne giovane è la preferita dai terroristi. La perdita dei figli è stata sempre un’arma da essi usata per distruggere l’anima stessa di un Paese che della salvaguardia dei giovani che lo proteggono con la propria vita ha fatto il suo principale scopo. Basti pensare che 1500 prigionieri nella maggior parte terroristi sono stati consegnati all’Autorità Palestinese in cambio di un ragazzo solo, Gilad Shalit. Chi lo intende, può capire anche che cosa abbia attraversato ieri Israele, quando ha seppellito in fretta prima dello Shabbat (che interdice la sepoltura) quattro giovani e una donna quarantenne, Kochava Shikri, finalmente incinta e fiera di esserlo dopo tanti tentativi. Lo aveva saputo solo quel giorno, ha raccontato sua sorella, ed era raggiante. Suo marito ferito a sua volta nell’attentato, il volto tumefatto, mentre la seppelliva non si capacitava di averla cercata fra i feriti senza trovarla, senza sapere per un giorno intero.

Due a due i giovani uccisi erano amici per la pelle: insieme, raccontano le loro mamme da dentro l’incubo, viaggiavano, lavoravano, progettavano. Amir Menashe e Itzik Kolangi, ambedue ventottenni, sono stati uccisi e sepolti nello stesso cimitero. Lasciano la disperazione dei genitori e delle mogli che li vedono scendere sotto terra e restano con i loro neonati di pochi mesi. Insieme nell’amicizia e nella morte anche Elior Price, di 26 anni, e Maor Harush, di 25. L’amicizia in Israele è fatta di una vita insieme nella fatica e nel cameratismo dell’esercito che dura tre anni mentre sei ancora un ragazzo, nel rischio che non ti lascia mai anche in vacanza, e sei allora il ventre molle di Israele. Allora è facile per gli Jihadisti colpire.

In questi mesi, tentando un numero di attentati che disegna una situazione strategica nuova, si è organizzato un vero esercito di Guardie della Rivoluzione Iraniana e dagli Hezbollah all’estero: si calcolano circa ventimila militanti sparsi per il mondo. La polizia keniota ha denunciato che un gruppo di Hezbollah si riprometteva attentati a Inglesi, Francesi, Americani e altri. La diagnosi è che stavolta la scelta sia andata a un autobus di turisti perché gli obiettivi simbolici, ambasciate e personaggi, erano stati tentati senza successo.

Gli Americani da ieri, con gli Israeliani, certificano che il terrorista di Burgas sia un Hezbollah guidato dall’Iran. Non è una novità: si calcola che negli ultimi mesi siano stati prevenuti almeno 20 attentati del genere. Nel Maggio scorso ci fu un tentativo di assassinare David Kimchi, il console israeliano a Istanbul a opera di tre Hezbollah. In gennaio, a Bangkok la polizia arrestò un altro sud-libanese sciita, Hussein Atris. Sempre a Gennaio in Azerbaijan le autorità denunciarono un’organizzazione iraniana di tre uomini forniti di 150mila dollari, un fucile da sniper col silenziatore, altri tre fucili e esplosivo plastico. In Febbraio un motociclista ha attaccato una carica esplosiva all’auto di un diplomatico israeliano, ferendone la moglie, e lo stesso tipo di attacco con esplosivo è stato compiuto in Georgia, mentre a Bangkok scoppiava un appartamento accanto all’ambasciata israeliana.

Adesso, se fossero vere le ipotesi finora smentite dalla Svezia, l’attentatore al servizio degli Hezbollah sarebbe uno Svedese di origine tunisina che ha fatto qualche anno a Guantanamo come jihadista ed è stato liberato per l’impegno della Svezia stessa. Per ora è certo soltanto che la Bulgaria ha in mano il dna dell’attentatore. Vedremo. Ma è certo che quando il 9 Luglio gli Usa hanno aperto il Global Forum contro il terrorismo appena fondato, su richiesta turca Israele è stato escluso. Non solo: citando la lista dei Paesi colpiti dal terrore la sottosegretaria di Stato americano Maria Otero si è dimenticata di citarlo. In queste ore, Obama e Netanyahu parlano al telefono, perché Obama teme una reazione israeliana sul Libano degli Hezbollah o su obiettivi iraniani. Ma è difficile credere a un’alleanza vera contro il terrore quando gli Usa discriminano il Paese più colpito e fra i più capaci.

Tratto da Il Giornale