I finiani la scissione la fanno in tivvù: è chic e non impegna
07 Maggio 2010
di redazione
E’ bastato dire una cosa semplice semplice e si è scatenato il fini-mondo. Coi finiani, appunto, sugli scudi per ciò che Gaetano Quagliariello ha “osato” dire in un’intervista a Il Tempo. Il ragionamento suona così: dentro il partito si discute, si articolano le posizioni ma poi si decide ”e alla fine la voce all’esterno è e deve essere unica. Altrimenti ci sarebbero due partiti”. Il vicepresidente dei senatori Pdl non nega che all’interno del partito si sia creata una dissidenza e che lo scontro tra Fini e Berlusconi sia avvenuto. Bene ha fatto la stampa a raccontarlo e bene hanno fatto le trasmissioni tv di approfondimento politico a invitare gli esponenti delle due diverse posizioni.
Tutto normale per la settimana successiva alla direzione nazionale, molto meno se si continua così perché “non si può pensare che d’ora in avanti diventi un’abitudine che due persone elette tra le file dello stesso partito vengano invitate nei salotti del piccolo schermo in quanto portatori di due posizioni diverse”, avverte Quagliariello che cita l’esempio del Pd che al suo interno ha una maggioranza e una minoranza, peraltro già certificate dalle primarie . Ma non per questo, “ai dibattiti tv viene invitato un rappresentante dell’area Bersani e uno di quella Franceschini. C’è un esponente del Pd, che prende posizioni con sfumature differenti in base alla corrente di provenienza, ma che nel momento in cui parla rappresenta la voce unica del Pd. Con noi ultimamente questo non avviene e quel che viene fuori è un’immagine falsata del partito”. E se i politici “possono e devono evitare” declinando qualche invito in tv, chi dovrebbe tornare a “rispettare le regole della comunicazione politica – un esponente per un partito – sono gli editori e i conduttori dei talk show televisivi”, dice l’esponente pidielle . Sui finiani rileva la contraddizione di fondo: “Si sono sempre detti contrari a un partito fatto di correnti tradizionali. Ora però si stanno comportando come se appartenessero a una fazione diversa dalla nostra”.
Dalle truppe del presidente della Camera si leva la voce del pasdaran Carmelo Briguglio che si domanda, stizzito, se Quagliariello pensa di “imporre che nei talk-show il Pdl sia rappresentato da un solo esponente. Che vogliamo fare ? Mandare un documento del partito alle redazioni perchè si uniformino?”. Il botta e risposta va avanti coi fedelissimi dell’ex leader di An , Italo Bocchino e Fabio Granata. Il primo in linea di principio dà ragione a Quagliariello ma poi gli rigira l’interrogativo polemico: “Ma chi decide chi va in tv? Al momento mi sembra che manchino le regole per stabilirlo”. Il secondo, in nome del pluralismo e dell’arricchimento reciproco tra storie e culture diverse, serve l’affondo: “L’intervento di Quagliariello mi sembra del tutto inopportuno e se fosse preso sul serio sarebbe anche grave. Come si fa a teorizzare in un partito moderno sulla base del pensiero unico?”.
Da segnalare la replica del senatore Luigi Compagna che con una punta di sana ironia domanda ai colleghi finiani se non si intenda “introdurre una sorta di manuale Cencelli delle esternazioni, di tipo pentapartitico: Lega, Pd, Idv, minoranza interna finiana e Udc”, osservando che "apprezzabile mi pare al riguardo la castità della maggioranza interna berlusconiana. Ovviamente la libertà di informazione è tutt’altra cosa, come del resto il vero manuale Cencelli del buon tempo antico”.
Viene da chiedersi: se si fosse stati in campagna elettorale, in mancanza dunque dei soliti talk show, cosa avrebbero chiesto la “minoranza” finiana: una fette delle tribune politiche in quota Pdl?