I “finiani” parlano di destra e fascismo ma non conoscono né l’una né l’altro

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I “finiani” parlano di destra e fascismo ma non conoscono né l’una né l’altro

I “finiani” parlano di destra e fascismo ma non conoscono né l’una né l’altro

01 Agosto 2010

“Come Hirohito ci mancano le  parole per dire sconfitta” . Così il Times ha intitolato giorni fa un articolo sull’Afghanistan. Una dichiarazione amara per un paese come la Gran Bretagna, ma l’orgoglio inglese, per non dire il senso di superiorità, si fonda sulla capacità di guardare in faccia la realtà e di saperla comunicare pacatamente. È un tipo di saggezza che nei suoi centocinquanta anni l’Italia finora non ha. Se un messaggio simile fosse stato articolato per la seconda guerra mondiale, si sarebbero evitati molti problemi. Purtroppo, di fronte a una realtà come la sconfitta, svicoliamo nel melodramma e pensiamo sia sufficiente indossare un’altra maschera. Storici, diplomatici e politici di ogni parte si sono arrampicati sugli specchi per non pronunciare  la parola sconfitta. I nostri calciatori hanno imparato a non perdere la testa quando la partita si conclude ai rigori, abbiamo pure vinto un Mondiale con i rigori e forse, chissà, alla lunga saremo più razionali anche in politica.

Per non fare sapere al paese che l’Italia perdeva la sovranità, le colonie, l’Istria e la Dalmazia, nel ’47  i giornali, come disse Vittorio Emanuele Orlando votando contro la ratifica del Trattato di pace, riempirono le pagine di cronaca. Questa bugia è stata pagata cara e ha complicato tutta la nostra vita politica successiva. Non conveniva dirlo ai partigiani e a quanti si erano scoperti antifascisti dopo il 25 aprile, né ai fascisti, che non se la sentivano di addossarsene la responsabilità, mentre era in corso una mattanza tribale. La confusione fu lo stato mentale dominante delle generazioni che avevano perso la guerra e di quelle successive, una confusione che ha prodotto gravi danni in politica interna ed estera. L’Italia è diventata  una paese moderno, una potenza economica, ma all’estero è sempre “a big country”, non  “ a great country”, perché  incapace di affrontare con serietà la  sua storia e i suoi problemi.    

Camillo Langone, arrabbiato con il finiano Granata diventato giustizialista fondamentalista, ha liquidato il Duce come “un deficiente entrato in guerra perché gli piaceva essere applaudito a Piazza Venezia”.  In realtà, Mussolini ci entrò per la ragione per cui si fanno tutte le guerre: ottenere vantaggi per il proprio paese e certo anche per la propria gloria. Anche i nostri più intelligenti commentatori sono confusi, un giorno Mussolini entrò in guerra credendo fosse solo un blitzkrieg, un altro perché tradì se stesso e il suo paese, sapendo che non era preparato. In ogni caso, la Germania aveva bisogno dell’Italia per arrivare in Africa e strappare colonie all’impero britannico e la decisione di entrare in guerra era quasi obbligata.

Mussolini decise di entrare in guerra insieme ai tedeschi e di guadagnarci qualcosa. Sbagliò ad attaccare la Grecia, come sostiene Ian Kershaw, per il quale Hirohito sbagliò ad attaccare gli americani e Hitler ad attaccare la Russia. La guerra però è imprevedibile: chi avrebbe detto che il piccolo Vietnam avrebbe messo a terra il gigante americano e chi avrebbe scommesso che l’Afghanistan sarebbe diventato un incubo? Per sessant’anni si è dato dell’imbecille a Mussolini,  perché  era ormai finita l’età degli imperi e, oggi, Niall Ferguson, uno dei più quotati storici britannici ritiene che proprio la fine degli imperi abbia reso il mondo ingovernabile, fino ai disastri dell’Iraq e dell’Afghanistan.

Langone ha invece ragione da vendere, quando dice che il fascismo e i post-fascisti come Granata non sono la destra e, soprattutto, non sono antichi. Il fascismo aveva molte anime: un movimento e poi un regime con un capo, Mussolini il rivoluzionario, proveniente dal partito socialista, che ebbe il consenso della monarchia, della Chiesa, e di gran parte della sinistra. La riduzione del fascismo alla destra e della destra al fascismo fu un’operazione politico-culturale del Pci per rendere invisa la destra in Italia ed ebbe tanto successo che perfino la destra economica, quella di Ugo La Malfa, rifiutava di definirsi tale.

Il fascismo fu novecentesco: nazionalizzò le masse e modernizzò, per quanto fu possibile, il Paese. Parlare del fascismo come della destra antica della storia italiana, come fa  Granata, significa  non  avere presente la storia italiana. La destra conservatrice comunque in Italia non esiste. L’unico partito europeo che si definisce conservatore sono i tories, ma hanno una storia diversissima dal fascismo. I tories nel ‘600 combatterono per il re, contro il parlamento. L’immagine dei fascisti a combattere  per il re  fa a cozzi con la storia italiana e con la Repubblica sociale, dalla cui ceneri nacque appunto il Msi.

Il fascismo fu un compromesso tra capitalismo e socialismo massimalista, definibile di “destra” perché nazionalista e autoritario, ma  la storia degli stati comunisti e anche di altri stati mostra che nazionalismo e autoritarismo non sono caratteristiche esclusive del regime di Mussolini. Il fascismo  ebbe un largo consenso e fece pensare  agli italiani di essere di nuovo grandi. Bene o male, gli italiani finirono per identificare l’Italia col fascismo: quando Fortunato Pintor, che lavorava alla Biblioteca del Senato, amico di Gentile anche se antifascista, chiese nel ’40 l’iscrizione al partito fascista, iscrizione che gli fu rifiutata, non lo fece perché era diventato fascista, ma perché la guerra richiedeva, a suo giudizio, la concordia di tutti i cittadini, essendo in gioco l’Italia, come Stato e nazione.

Fortunato Pintor ragionava come un inglese, per il quale il peggior governo è sempre meglio di essere governati da stranieri. La Gran Bretagna aveva subito tante invasioni prima della conquista romana, era talmente terrorizzata da un’invasione di francesi o spagnoli che dopo la guerra civile si decise di richiamare Carlo II Stuart per paura di esporsi a una conquista. I britannici impararono a convivere per non perdere la sovranità e Hume riteneva disgraziati quei popoli, come la Grecia e l’Italia, sempre pronti a scannarsi per troppo amore della libertà.

La seconda guerra mondiale, ridotta troppo spesso dai media solo alla fase finale, coinvolse tutti gli italiani, al fronte o a casa, dove vissero i bombardamenti, fecero la fame, videro l’arrivo degli Alleati, l’Italia divisa in due e tutto quel che ne seguì. Nella maggioranza degli italiani rimase quel “vecchio patriottismo” di cui ha parlato Sergio Romano a proposito della Merkel esultante ai Mondiali per le vittorie della Germania sull’Inghilterra e l’Argentina. Quel “vecchio patriottismo” sublimato nel calcio è rimasto anche da noi, pure quando non era politically correct il tricolore. L’anomalia italiana è semmai la nostra sinistra, che a differenza di quella europea e americana, non ha il senso dell’identità e ritiene fascista o di destra qualsiasi forma di patriottismo.

Se qualcuno avesse avuto il coraggio di scrivere “Come Hirohito ci mancano le parole per dire sconfitta”, all’Italia sarebbero stati risparmiati molti problemi. Gli oppositori di Saddam Hussein, i figli di uomini imprigionati o fatti fuori da Saddam, hanno detto spesso di non avere mai voluto mezzo milione di iracheni morti per liberarsi dal rais. Tra le conseguenze di non avere accettato la sconfitta vi fu anche la nascita  del Msi, un partito di reduci di Salò, di vecchi e giovani, come diceva Giano Accame, un bel cervello purtroppo scomparso. Accame aveva capito che in politica di testimonianza non si vive e aveva tentato di fare uscire i missini dal ghetto. Rimproverava loro di ignorare le mani tese: quella di Randolfo  Pacciardi, che nel ’64 proponeva la repubblica presidenziale e poi quella di Craxi. Il ghetto ha anche un suo fascino, dà sicurezza e identità: fuori fa freddo e bisogna confrontarsi con gli altri. E anche quando se ne esce, ci si sente spesso smarriti o comunque diversi.

Con Mussolini è accaduto per i missini qualcosa di simile ai bonapartisti dopo la caduta di Napoleone, anche se Mussolini non era un genio militare come Napoleone. La stessa morte e la demonizzazione ha fatto entrare il Duce nel mito e sarebbe opera salutare anche per la sinistra riuscire a riconciliarsi col passato, a guardarlo con distacco, ammettendo i propri errori. L’intento di chi votò Berlusconi alleato con Fini e Bossi nel ’94, lo fece anche per ridare voce e rappresentazione politica a una forza politica che era stata emarginata. È un peccato che Annalisa Terranova, rispondendo a Langone abbia perso la tramontana e non abbia capito che chi votò Berlusconi nel ’94 voleva anche porre fine a quell’isolamento e vedere senza pregiudizi la storia italiana.