I fondi pensione non decollano anche perché gli italiani non sanno che sono
23 Giugno 2009
Una riforma delle pensioni aleggia (pure) sul secondo pilastro previdenziale. Un semplice sentore, per il momento, che arriva dalla Relazione per il 2008 della Covip sulla previdenza complementare presentata il 18 giugno a Roma.
Delle 20 cartelle lette dal neo Presidente della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip), Antonio Finocchiario, ben 14 erano concentrate sulle linee evolutive per la previdenza complementare. Tante idee e numerosi spunti per un «ulteriore sviluppo» e per «superare criticità di ordine diverso»: insomma una rimessa in cantiere della disciplina sulla previdenza integrativa. Un avallo su un’ipotetica nuova riforma appare sia stato messo dal ministro del lavoro, Maurizio Sacconi. Intervenendo nel corso della relazione, infatti, ha colto al volo le proposte del Presidente della Covip annunciando che «il governo considera la previdenza complementare come un importante pilastro per creare il nuovo Welfare prospettato nel Libro Bianco, basato sulle opportunità e sulla responsabilità» e che «bisogna rendere il sistema più flessibile ipotizzando, per esempio, l’introduzione di forme di reversibilità o portabilità dei vari fondi, che dovranno essere gestiti con sobrietà da consigli di amministrazione e collegi dei revisori composti da persone molto competenti».
Ma se riforma dovesse esserci qual è la situazione di partenza? Dalla relazione Covip emergono due dati di particolare interesse sul quadrante pensionistico italiano: un «sistema pubblico» inadeguato e un «sistema complementare» immaturo.
Sul primo dato vale l’ipotesi della Ragioneria generale dello Stato, secondo cui il grado di copertura delle pensioni pubbliche si ridurrà a poco più del 50% al lordo delle trattenute fiscali e contributive (il che significa un “netto” attorno al 40/45%). Questo nella migliore delle ipotesi, perché nel caso di carriere discontinue potrebbe assumere valori inferiori. Ma è un dato ancora poco preoccupante. Ciò che più spaventa, infatti, è l’affermazione che nel lungo termine il sistema potrebbe non risultare in equilibrio dal punto di vista attuariale a causa del riconoscimento, nella trasformazione del montante dei contributi in rendita, di una speranza di vita inferiore a quella effettiva (oggi chi ha 65 anni possiede un’aspettativa di vita residua media di 15,7 anni per gli uomini e di 19,2 anni per le donne). Non solo. Ma anche l’affermazione che la rivalutazione dei contributi versati – pari alla crescita del prodotto interno lordo – potrebbe essere fonte di squilibri perché non allacciata alla crescita media dei salari (si potrebbe, quindi, verificare che a un aumento delle retribuzioni non corrisponda l’adeguamento, mediante rivalutazione, dei contributi versati per preservare la parallela crescita dell’effettiva capacità di acquisto della rendita/pensione).
Sul secondo dato (sistema complementare immaturo), il Presidente della Covip non ha usato mezzi termini per affermare che il sistema si sviluppa lentamente nonostante la sostanziale adeguatezza del quadro normativo, l’ampia articolazione dell’offerta e il rafforzamento dei flussi contributivi. Al 31 marzo 2009, la previdenza complementare contava circa 4,9 milioni di adesioni con una crescita del 6,4% rispetto a dicembre 2008, mentre la variazione tra dicembre 2007 e dicembre 2008 è stata dell’8,5%. I tassi di adesione sono molto diversi: 26% dei lavoratori dipendenti del settore privato contro il 3,8% dei lavoratori pubblici (settore in cui il secondo pilastro è praticamente assente tranne che nella scuola e, comunque, con adesioni molto modeste), e il 18,7% dei lavoratori autonomi. Il freno alla diffusione della previdenza complementare, secondo il Presidente della Covip, è dovuto in primo luogo al deterioramento del mercato del lavoro e al massiccio ricorso alla cassa integrazione guadagni: insomma alla crisi economica. Crisi, peraltro, che ha contribuito a creare e a diffondere un ulteriore elemento di difficoltà: la concezione del sistema previdenziale integrativo come una sorta di ammortizzatore sociale. Con l’aumentare della mobilità lavorativa, infatti, c’è il rischio di frequenti e diffusi fenomeni di discontinuità contributiva, nonché – questo l’aspetto più preoccupante – dell’aumento del ricorso ad anticipazioni e riscatti, procedure incoerenti con le finalità del risparmio previdenziale.
Questa, dunque, la situazione di partenza. Ma quali sono le prospettive ipotizzate per il futuro della previdenza integrativa?
Diversi, come si accennava, gli spunti per un aggiornamento della disciplina. In primo luogo, viene auspicata l’attuazione della possibilità – prevista da norme, ma non operativa – per i lavoratori di versare in un fondo pensione diverso di quello di riferimento non solo il tfr ma anche i contributi del datore di lavoro. Secondo spunto: la riproposizione a tutti i lavoratori di una nuova fase di adesione automatica (con il famoso silenzio/assenso) alla previdenza complementare. Terzo spunto: rendere revocabile per il lavoratore la scelta di partecipare alla previdenza complementare con il conferimento del tfr (cioè riconoscere ai lavoratori, a scadenze predeterminate, la facoltà di revocare il trasloco del tfr nei fondi pensione). Questi due ultimi punti (secondo e terzo) sono stati accolti dal ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, che ha ipotizzato un secondo semestre di silenzio assenso per i primi 6 mesi del 2010, con possibilità di ripensamento per i lavoratori già interessati dal primo semestre 2007. Quarto spunto: l’introduzione di nuovi meccanismi di investimento e di scelta di investimento dei contributi versati nei fondi pensione. Ciò che ha suggerito il Presidente della Covip è la previsione di un regime life-cycle, ossia della facoltà di modificare le linee di investimento durante la vita lavorativa (più azioni all’adesione e meno rischi all’età vicina alla pensione). Quinto spunto: sostituzione dell’attuale regime di deducibilità fiscale dei contributi versati nei fondi pensione con il regime della detraibilità. Questo cambio avrebbe il risultato di favorire le categoria di lavoratori meno abbienti.
La Relazione della Covip chiude parlando di «una sorta di analfabetismo previdenziale»: afferma che, dopo oltre dieci anni dall’avvio della previdenza complementare, molti lavoratori dimostrano scarsa consapevolezza dell’importanza dei fondi pensione. E’ la nuda e cruda verità. Quello che più manca, infatti, è la «cultura della previdenza»: la consapevolezza che il futuro pensionistico è oggi qualcosa che riguarda i «singoli lavoratori»; la consapevolezza che la pianificazione della vecchiaia non è più un compito delegato al regista pubblico, ma qualcosa a cui bisogna pensare da sé con una accurata e attenta pianificazione del risparmio previdenziale. Ma è un qualcosa, questo, che nessun intervento normativo è capace di garantire.