I giorni giganteschi
25 Luglio 2009
Una mattina d’estate il diacono Pharoth si alzò prima dell’alba, accese la lucerna, si spruzzò il viso d’acqua fresca, indossò il candido saio e misurò con gli occhi lo spazio angusto e confortevole della sua cella. Poi con un sospiro prese il suo esiguo bagaglio, un sacco di ruvida tela, e dopo aver percorso oscuri corridoi uscì sulla grande piazza davanti al Tempio. Lì si arrestò, aspirò l’aria pura in cui tremavano i profumi dei giardini e alzò gli occhi. In mezzo al cielo, appena rosata nel suo grigiore petrigno dal riflesso del Sole Piccolo che stava per sorgere, la massa fosca del Sole Grande giganteggiava come una profezia.
Pharoth rabbrividì leggermente, poi si volse per incamminarsi, ma nel silenzio dell’alba si udì il cigolio d’un uscio, e qualcuno pronunciò il suo nome. Il diacono frugò l’ombra con gli occhi e scorse l’alta figura di Kabel, il Sommo Sacerdote, fermo sulla porta del chiostro, e s’avvicinò.
– Salute a te in Varuna, Pharoth. Nell’ora della tua partenza voglio che ti conforti la mia benedizione. Il tuo viaggio sarà lungo, e chissà se mi troverai al tuo ritorno… chissà che cosa troverai, al tuo ritorno.
L’aria ingrigiva lentamente, rivelando i particolari della piazza. Si udivano lontani cinguettii d’uccelli e qualche rondine sfrecciò bassa vicino a loro.
– Visiterai anche l’Episcopo Ondor, di cui ti ho a lungo parlato, e gli consegnerai questa mia lettera. Quando il Sole Piccolo sarà alto e cercherai il riposo per il tuo corpo, allora leggerai anche tu questo messaggio, perché è giusto che tu conosca il peso che porti… il peso del mio cuore. Ora vai, e che Varuna guidi i tuoi occhi.
Pharoth si rialzava, infilava la lettera nel sacco e già attraversava la piazza, spariva in un vicolo col suo saio bianco. Kabel scrutò inquieto il Sole Grande, poi rientrò nel chiostro, mentre il diacono camminava per le vie deserte dell’alba.
La capitale dell’Impero di Rhath’ era una splendida città di pietra serena, adagiata in declivio tra il lago e le colline, in vista di un vulcano spento sempre ammantato di nevi che la vigilava paziente come un gigante mansueto. Le sue vie e le sue piazze formavano una complessa topografia entro l’ampia cerchia delle mura che, costruite in tempi preistorici per difendere la città dall’assalto dei nomadi predatori, ora ne costituivano il limite e l’ornamento più bello. Tutto era misurato e giusto a Rhath’elal e i suoi abitanti vivevano nella benedizione ciclica delle stagioni, lungo la fila dei giorni tranquilli.
Giù giù dalla piazza del Tempio correvano le viuzze contorte e pulite e i sandali del diacono battevano sulle selci. I primi rumori si levavano dalle case e quando Pharoth giunse alla Porta orientale il Sole Piccolo spuntava già all’orizzonte; presto la sua luce rosata inondò i campi e il lago, e colorì le nevi del vulcano. Il giovane camminava spedito, recitando tra sé le preghiere a Varuna e solo quand’ebbe fatto un buon tratto si fermò e si volse a misurare la strada. Vedendo Rhath’elal nella quieta luce del mattino con le case e le torri, con la gran mole del Tempio che la dominava, fu per un attimo consapevole che quella missione lo separava dai cari compagni, dalla vita tranquilla delle devozioni, dalla sua cella sicura. Ma non indugiò in questi pensieri, trasse dal sacco una focaccia d’avena e si rimise in marcia mangiando, mentre il paesaggio si svolgeva lento davanti ai suoi occhi e pareva rotare intorno al cono svasato del vulcano.
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Quando Guo-denli, studente presso la Settima Università Mongola di Ulan Bator, ebbe superato tutti gli esami previsti dal corso di dottorato in astronomia, chiese al professor Tse-hoida di assegnargli una tesi. Il professore accettò e gli segnalò un singolare fenomeno oscillatorio che era stato da poco scoperto nel sistema di stella binaria WK2352.
Guo-denli si mise al lavoro e in pochi mesi fece notevoli progressi. Studiò accuratamente il fenomeno e fu in grado di depositare l’estratto della tesi su cui si sarebbe cimentato. Esso sonava così:
«La stella doppia WK2352 è composta da due stelle, di masse piuttosto diverse (rapporto 1:4), animate da un moto di rivoluzione ordinario intorno al comune baricentro secondo due orbite ellittiche perturbate da un ulteriore moto di oscillazione delle due stelle lungo il loro asse. Tale oscillazione comporta che la loro distanza minima sia un decimo della distanza massima. Le cause di questa oscillazione sono sconosciute.
Nella tesi ci si propone di studiare questo fenomeno, ricavandone i parametri essenziali e, se possibile, individuando le forze che lo provocano.
Alcune osservazioni recenti fanno ritenere che intorno alla stella più piccola orbiti un pianeta. Nel caso che la sua esistenza venga nel frattempo confermata, ci si propone anche di valutare gli effetti che può avere il moto oscillatorio delle due stelle compagne sull’orbita del pianeta.»
L’estratto della tesi fu depositato presso la segreteria del Dipartimento di Astronomia dell’Università, ma nessuno prese contatto con Guo-denli per avere ulteriori informazioni sull’argomento.
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Quell’estate pareva agli Elaliti diversa dalle altre. C’era nell’aria un’aspettazione rappresa, un affaticamento del cielo come per un gigantesco e silenzioso travaglio.
Alcuni giorni dopo la partenza di Pharoth, Kabel decise di scendere al lago e di visitare le rovine.
Datavano quelle rovine da tempi lontanissimi e immemori e si specchiavano nelle acque creando prospettive inspiegabili e rigorose. Kabel non ci andava volentieri, ma sentiva confusamente che laggiù c’era un riverbero di quella misteriosa apprensione che turbava l’anima del suo popolo.
Uscì dalla cerchia delle mura e camminò per il sentiero lungo il lago finché vide Rhath’elal riflettersi magnificamente sulla sua superficie tranquilla. Nel sole del meriggio il Tempio splendeva come un canto. Arrivò davanti alle mura ciclopiche, davanti alle torri crollate, agli architravi corrosi, ai peristili sonori dove giocavano i folletti del vento. Penetrò in anditi sgretolati, s’insinuò per camminamenti tortili, attraversò cortili deserti dove l’occhio si perdeva tra ciò che scorgeva e le deliranti ricostruzioni che ne poteva immaginare, calpestò pietre levigate da un’antichità senza nome.
E infine giunse in uno spiazzo erboso cinto da mura cieche, dove regnava il silenzio; al centro dello spiazzo si levava un monolito. Sulla sua superficie lebbrosa le rughe del tempo non avevano cancellato altri segni più antichi nei quali era sepolto un messaggio che veniva dalle profondità del passato, dal limitare degli abissi, e che Kabel non poteva comprendere. Il vento giungendo da lontanissime scogliere percoteva il silenzio meridiano e l’erba si piegava come aveva fatto per tutti i secoli di quelle rovine. Il Sommo Sacerdote pensò alle antiche leggende del Sole lontano, a quelle leggende che si recitavano nel Tempio e in tutti i templi dell’Impero durante le cerimonie di purificazione. E sentì nel suo cuore che quei miti deliranti avevano un significato ineluttabile.
Si avvicinò alla colonna solitaria e col dito seguì le incomprensibili volute che gridavano il loro messaggio nella Lingua Perduta, quella lingua che veniva dai golfi inesplorati della preistoria. Ripensò a certi pomeriggi d’inverno quando dietro i vetri della sua finestrella contemplava la città e il cielo. In quella stagione la massa scura del Sole di pietra si allontanava nel fondo degli spazi, in una fuga rapida e allucinata, e tutti erano felici e sorridevano e l’inverno era per gli Elaliti il tempo più bello. Ma poi quel ciclopico astro spento tornava dagli abissi e correva incontro al mondo allargandosi all’orizzonte fino a soffocarlo come un incubo malato.
Kabel guardò in alto. Stretto nel giro delle mura il cielo era limpido e chiaro e il Sole Piccolo, il caldo e benefico astro che dava luce e calore, splendeva rassicurante.
Tra i segni del monolito ve n’erano alcuni simili a quelli che ornavano le pareti del Tempio, i simboli familiari di Varuna, che proteggeva gli uomini e li confortava sul finire dell’estate, quando più prossimo a Rhath’elal si librava nel cielo il Sole Grande. Era in quel momento che Varuna dimostrava tutta la sua grandezza, respingendo lontano quel Sole gigantesco. Ma altri simboli a Kabel erano ignoti, e da essi spirava una vaga paura, come il riflesso di un terrore immenso che il tempo avesse attutito ma non soffocato del tutto.
C’era anche il simbolo dell’infinito, e Kabel notò per la prima volta che esso era formato da due ellissi che si toccavano e questo gli diede un’ansia profonda e inspiegabile.
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Guo-denli uscì dal Centro di Calcolo dell’Università con un fascio di fogli sotto il braccio. Su quei fogli il calcolatore aveva riprodotto in forma numerica le complicate orbite oscillanti dei due Soli; ora si trattava di studiare quei risultati e di passarli di nuovo al calcolatore per averne una sintesi chiara e intelligibile.
Giunto nel suo studio, Guo-denli trovò sul tavolo un biglietto del professor Tse-hoida che l’invitava a passare da lui. Ci andò subito e il professore l’informò che osservazioni eseguite dall’osservatorio in orbita intorno alla Luna avevano confermato che la più piccola delle due stelle di WK2352 era dotata di un pianeta. La sua massa e il suo diametro risultavano molto simili a quelli della Terra.
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Sul pianeta Rhath’atoh cominciò un periodo che stette sospeso fra il prima e il dopo, in una librazione che aveva in sé il silenzio rombante dei momenti in cui il destino fa un passo e il grande meccanismo dell’Universo batte un’ora. Gli abitanti della città felice sul lago erano inquieti e la sera, dopo il lavoro della giornata, si radunavano sulla piazza davanti al Tempio in gruppetti immobili. Contemplavano il Sole Piccolo che trascolorava nel tramonto, scambiavano rade parole sulle antiche leggende e fissavano l’indecifrabile mole del Tempio che si coloriva tenuemente. Kabel, dietro le sue finestre, guardava quegli uomini silenziosi e il suo cuore era pieno d’angoscia.
Una notte, sul finire dell’estate, il Sommo Sacerdote fece un sogno pauroso. Scendeva fino alle rovine sul lago, le quali erano contorte e dissestate più che nella realtà, e per angusti cunicoli e budelli tortuosi giungeva fino allo spiazzo erboso, dove il monolito levava verso il cielo la sua disperazione e pareva minacciarlo di un castigo pauroso. E pian piano la luce si dissolveva, la terra cominciava a tremare lievemente e si udiva per l’aria una voce tonante che recitava alcuni versetti nella Lingua Perduta. Ma come accade nei sogni egli era in grado di capire quelle parole, che dicevano: «Un altro giro-di-sole non passerà prima che passi nel cielo un diverso giro-di-sole che farà tutto bianco-freddo».
Poi la luce svaniva e nell’ampia oscurità che era l’Universo quei suoni arcani si perdevano rotolando via, rimbalzando per gli innumerevoli mondi che lo popolavano; e la terra continuava a tremare…
Kabel si svegliò col cuore in tumulto, accese la lucerna e si sedette al suo tavolo. Ripensò alla lettera per Ondor che aveva affidato a Pharoth e si chiese se anche l’Episcopo fosse tormentato dai suoi oscuri presentimenti. In quel momento desiderò essere con l’antico compagno nella lontana Thulma di sasso e di vento, ma la distanza era grande e il tempo che restava era, forse, troppo breve… Ad un tratto dalle viscere della terra salì un lieve tremore che si propagò alle mura del Tempio, alle pareti della stanza, al gran tavolo. La fiamma della lucerna oscillò brevemente come al passaggio di uno spirito. Lontani ululati si levarono inseguendo il silenzio della notte.
Kabel andò alla finestra e, scostando le tende che si gonfiavano alla brezza, guardò per l’ampia oscurità. A sinistra la massa scura del Tempio, punteggiata qua e là dai fuochi votivi sospesi dentro le ampolle trasparenti. Davanti si stendevano i tetti della città, della sua Rhath’elal, bella e fiorente, immersa nell’incantesimo della notte. Sotto quei tetti, dentro le case di pietra, il suo popolo dormiva e sognava il domani, vegliato dal vulcano il cui bianco profilo s’intravvedeva contro il cielo. A destra, bassa sull’orizzonte, era sospesa la sfera immensa del Sole Grande. Ma nelle brume che stranamente offuscavano il cielo, quella livida massa aveva subito uno spostamento quasi impercettibile, e si trovava in un punto sbagliato.
Notte dopo notte, col cuore raggelato, Kabel seguì lo svilupparsi del fenomeno, come un ciclopico sogno di pietra. L’estate sfumò verso un autunno infoscato che divenne subito gelido; la posizione degli astri nel cielo era nuova e spaventevole. Il Sole Piccolo, fra il terrore degli Elaliti, si allontanava troppo, rimpiccioliva in una lucida concavità trasognata e il sospiro del vento per le strade della città pareva un addio che si prolungasse nel cielo. Finalmente tutti si convinsero che per un editto imperscrutabile di Varuna le leggi del mondo erano infrante: il loro pianeta aveva imboccato un altro cammino e ora rotolava negli spazi intorno alla gelida massa del Sole Grande. La luce se ne andava da Rhath’atoh e il manto silenzioso della neve calò ad attutire le grida, i pianti, le invocazioni, le preghiere, i bisbigli che si levavano dall’agonia di quel popolo che era stato felice.
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Nel grande anfiteatro della Settima Università, il candidato in astronomia Guo-denli stava concludendo l’esposizione della sua tesi, intitolata Su un raro fenomeno di scambio orbitale nella stella doppia WK2352.
La sala era quasi vuota: oltre alla commissione di laurea, sedevano sui banchi solo alcuni amici del candidato. Quel raro fenomeno in effetti non interessava nessuno, e anche i membri della commissione erano piuttosto distratti.
– Il periodo di rivoluzione dell’unico pianeta della componente più piccola della stella doppia è tale che la perturbazione indotta dall’altra componente lo costringe a cambiare orbita circa ogni seimila anni. Più precisamente, ogni 2.193.820 giorni il pianeta compie una rivoluzione intorno alla stella più grossa, per poi riprendere la sua orbita intorno all’altra.
Uno dei commissari, che stava sfogliando una copia della tesi, domandò, per cortesia più che per interesse:
– Scusi, che durata hanno le rivoluzioni regolari e quelle, diciamo così, anomale, del pianeta?
– Una rivoluzione regolare dura in media 365 giorni e 4 ore: dico in media perché bisogna tener conto delle perturbazioni indotte dalla stella grande. La rivoluzione eccezionale, o anomala, ha una durata calcolata di 1095 giorni. Per eseguire questi calcoli e per dedurre il periodo del fenomeno ho impiegato un metodo originale basato sull’impostazione di Ringe-Kutto. Tutti i calcoli da me eseguiti sono stati verificati dal dottor Liabov con il calcolatore della Quarta Università Mongola.
Guo-denli fece una pausa. Guardò attraverso le spesse lenti i membri della commissione, poi aggiunse:
– Se mi è permesso, vorrei fornire un particolare che è irrilevante rispetto al fenomeno, ma è lo stesso un po’ strano. Delle due stelle, quella piccola, diciamo il sole normale del pianeta, è una stella molto simile al nostro Sole. L’altra invece è una stella morta, quasi completamente fredda.
Il Presidente della commissione si alzò e disse:
– Grazie, signor Guo-denli. La Sua ultima osservazione potrebbe avere implicazioni notevoli se su quel pianeta ci fosse qualche forma di vita. Ma non credo che una tale, diciamo… ipotesi abbia una sia pur piccola probabilità di essere vera. E ora, se non Le dispiace, la commissione si ritirerà per deliberare sul risultato del Suo esame.
I commissari si alzarono e si avviarono verso una porticina laterale. Attraverso la grande vetrata si vedeva il tramonto autunnale che si perdeva oltre il Tuula, oltre il deserto di Gobi.
* * *
Nel vicolo dove abito, nella mia camera bassa, che prende luce da una finestrina minuscola, scende una sera sempre più precoce. Sulla strada si accumula la neve, una neve che cade minuta, regolare, calma, così diversa da quella che turbinava nelle tempeste dei nostri inverni. Mi è sempre più difficile uscire, e il freddo aumenta. Dov’è la folla che un tempo percorreva le strade della nostra città? Quanti sono già morti, assiderati da questo freddo maligno?
Dicono che nei sotterranei del Tempio siano stati scoperti dei passaggi segreti e che molti Elaliti vi si siano rifugiati con le donne e i bambini e le provviste, e anch’io ho tentato di andarci, ma le guardie mi hanno respinto. Qua e là per le strade ho visto cadaveri su cui la neve si accumula minuta, instancabile, fitta.
Dicono che quei passaggi segreti portino sotto il lago, verso le rovine, verso il vulcano spento, dove le viscere della terra conservano un po’ di tepore… Un po’ di tepore anche per me, in questo gelo che mi attanaglia… Dal Tempio giunge attutito il suono delle trombe che invitano i fedeli alla preghiera della sera, ma nel mio cuore c’è la disperazione. Nel vicolo breve la smorta luce del Sole Grande trapela dalle immense coltri di nubi e riverbera il suo colore di sangue su queste nevi… Che cosa accade dunque su Rhath’atoh? Quale follia del cielo ci ha colpiti? La neve giunge al davanzale della mia finestra…