I giudici le sparano grosse ma finiscono per smentire se stessi
21 Luglio 2010
di Dolasilla
Difficile dire se i pm di Caltanissetta, Sergio Lari e Nico Gozzo, sono riusciti a stupire gli italiani quando, martedì 20 luglio, prima di accomodarsi per l’audizione davanti alla Commissione Antimafia hanno proclamato di essere "ad un passo dalla verità sulla strage di via d’Amelio". "Una verità clamorosa – hanno sentenziato – di cui la politica potrebbe non reggere il peso”. La notizia è stata battuta dalle agenzie di stampa con l’evidenza grafica che giustamente viene data in questi casi.
L’Ansa, nella fretta di dare la notizia clamorosa (?), scrive alle 19,23 che le dichiarazioni sono state rese dai due pm nisseni davanti all’Antimafia. Alle 20,21, cioè 58 minuti dopo la prima agenzia Ansa, il presidente dell’Antimafia Giuseppe Pisanu nega che i due pm abbiano fatto le affermazioni che gli vengono attribuite dalle agenzie.
Passano ancora 22 minuti e un’Ansa imperterrita, alle 20,43, spiega: "Le dichiarazioni del procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, e del Pm Nico Gozzo circa le indagini sulla strage di via D’Amelio sono state pronunciate, conversando con i giornalisti, prima di essere ascoltati dall’Antimafia (e non in Commissione, come scritto in precedenza). Le audizioni dei magistrati della Dda nissena, peraltro, sono state secretate". Talmente ovvio, è la chiosa implicita del giornalista Ansa, che era impossibile fare confusione.
Una bomba mediatica? La sera del 20 luglio nessun politico ha battuto ciglio: il timore di ritrovarsi incastrati nell’ennesima bufala ha preso il sopravvento sulla voglia di commentare. Mai tanta prudenza da parte delle opposizioni poteva essere meglio riposta. Perché dopo appena quindici ore, infatti, il procuratore capo di Caltanissetta si presenta davanti ai microfoni di Rainews24 per esprimere sorpresa e "sbalordimento" per le affermazioni che gli sono state attribuite (?). Il che non significa che le smentisce: no, è semplicemente sorpreso e sbalordito, non si sa se più di se stesso per aver detto quelle cose, o del cronista che le ha riferite. L’effetto osteria, però, non finisce qui.
Perché Lari spiega, e parla, avendo in mente forse Ezio Mauro e il titolo di Repubblica, guarda caso, però, un taglio centrale e non strillato in grande. "Il nome di Berlusconi – scandisce Lari – non è stato nemmeno ventilato in occasione dell’audizione alla commissione Antimafia, né nelle indagini sulla strage di via D’Amelio figura il presidente del Consiglio, come nessun altro personaggio della politica attuale. Quindi non comprendo le ragioni per cui necessariamente si voglia attribuire ai pubblici ministeri di Caltanissetta un’intenzione di questo tipo. Sono affermazioni gratuite e totalmente destituite di fondamento".
Chiaro? No, non è chiaro un bel niente se per chiarezza si intende il banale percorso della logica, insomma una sequenza di fatti e di episodi che si concatenano fra di loro in modo lineare, senza intoppi o smarrimenti. E’ stato un complotto dei cronisti dell’Ansa che hanno riferito frasi inventate? O è stato l’eccesso di zelo di cronisti che pendono dalle labbra del pm e anelano a trascrivere ogni loro sospiro come il vaticinio della Sibilla cumana?
E’ evidente a chiunque non si chiami Ezio Mauro o Mario Calabresi, Pierluigi Bersani o Dario Franceschini o Anna Finocchiaro, che Berlusconi non c’entra niente con la strage di via D’Amelio né con qualunque altra strage compiuta in Italia, dai tempi dell’uccisione di Giulio Cesare. Dovrebbe essere ancora più evidente dopo la sentenza della Corte d’Appello di Palermo su Dell’Utri che condanna il senatore per reati associativi fino al 1992 ma lo scagiona da allora in poi. La logica avrebbe dovuto indurre un sussulto: può Silvio Berlusconi aver allacciato legami con la mafia saltando la mediazione di Dell’Utri?
Quella della logica è una ricerca improduttiva. Soprattutto se viene circoscritta al terreno della politica o della giustizia. La miseria della condizione in cui versa la giustizia italiana è sotto gli occhi di milioni di italiani e di Silvio Berlusconi. Non la vedono soltanto le opposizioni e Gianfranco Fini.
Il coro circuito fra uso politico della giustizia e uso giudiziario della politica si sta consumando lentamente. Come dimostra la vicenda del ddl intercettazioni. Ha vinto Fini, si proclama dai finiani e dagli oppositori a Berlusconi divenuti dall’oggi al domani "finiani" di complemento. Ha vinto Fini, ripetono in coro stuoli di cronisti che temevano la fine del vitto quotidiano a base di comodi file recapitati per posta elettronica, o in qualche caso già trascritti e pronti per il copia-e-incolla e da mandare in pagina con la sola aggiunta: dal nostro inviato…
Questo è lo stato dell’arte. L’uso politico della giustizia? Due esempi semplici e brevi. Lo scorso novembre stampa e televisione avevano creato grande attesa per l’interrogatorio di Gaspare Spatuzza, ritenuto testimone chiave per ricostruire i legami tra mafia e politica. Spatuzza parlò ma l’Italia non venne giù. Che cosa dissero gli esponenti politici?
”Le cose che ha detto Spatuzza sono gravissime ma non ha fornito un solo elemento di riscontro rispetto a quello che già conoscevamo. Sono cose che ha appreso dai Graviano. Toccherà ora ai magistrati verificare se ci possono essere riscontri a quanto affermato in aula oggi. Comunque non vedo elementi di novità”. Parole del vice presidente dell’Antimafia Fabio Granata.
"La deposizione del mafioso Spatuzza, noto per i suoi reati efferati, si è risolta in uno show mediatico teso a colpire il presidente del Consiglio Berlusconi ed il senatore Dell’Utri. E’ evidente che non essendoci alcuna accusa credibile non serve perder tempo a cercare impossibili riscontri. Sarebbe opportuno che sull’assassino Spatuzza calasse il sipario”. Parole di Italoa Bocchino, all’epoca dei fatti vicecapogruppo vicario del PdL alla Camera. Gli stessi personaggi, con qualche elemento di pathos in più per Fabio Granata, sono oggi a perorare il perseguimento della verità sulla strage di via D’Amelio "a qualunque costo", come se qualche costo dovesse sopportarlo il "nemico" Silvio Berlusconi.
Contro la mafia c’è un grande sconfitto: il pentitismo. Un’intera stagione di lotta politica si chiude, scandita dall’uso strumentale dei pentiti sempre meno usati per ricostruire la verità processuale e più spesso utilizzati per inchiodare l’avversario politico di turno. E’ successo con Giulio Andreotti, avrebbe dovuto ripetersi con Silvio Berlusconi. Sono stati i pentiti il vero tramite di ogni connivenza tra giustizia militante e politica giustizialista. Da qui si deve ripartire per voltare pagina. Altrimenti l’Italia sarà condannata a rimanere "un Paese sull’orlo della verità".