I giudici non sentono ragioni: Contrada resta in carcere
15 Gennaio 2008
Contrada resterà in carcere. Ancorché vecchio e malato secondo i magistrati di
sorveglianza di Napoli “ha a disposizione in carcere tutti gli strumenti e l’assistenza medica
atti a curare le proprie patologie”. Che comunque secondo tutti i medici che lo
hanno visitato (e il tribunale non può non darne atto) sarebbero tali da
“sconsigliare il proseguimento della detenzione”.
Ma i giudici nel loro provvedimento di sei pagine sostengono
che per il differimento della pena l’incompatibilità non basta e neanche il
concreto pericolo di vita. Deve esserci qualcosa di più che leghi la detenzione
e la morte come un nesso causa-effetto.
D’altronde, secondo i giudici, il reato di concorso esterno
in associazione mafiosa è “talmente grave” da non consigliare alcuna clemenza.
Insomma una volta che un tribunale gli appiccica addosso la patente di mafioso,
a torto o a ragione, e magari solo sulla parola dei pentiti, qualunque
cittadino italiano è spacciato. E poco conta che sia stato un servitore dello stato che ha assicurato
alla giustizia decine di criminali mafiosi in oltre 30 anni di carriera.
E’ quindi un siffatto linguaggio in burocratese a condannare
Bruno Contrada a scontare dietro le sbarre il resto della pena
definitiva (dieci anni di reclusione per concorso esterno in associazione
mafiosa). Il Tribunale di sorveglianza dopo quattro giorni di attesa ha reso
oggi noti i motivi con cui sono stati rifiutati sia il differimento della pena
sia gli arresti domiciliari.
Non ci si discosta, quindi, dalle motivazioni con cui il
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nella persona del magistrato Daniela
Della Pietra, che ha fatto anche parte del collegio di Napoli, ha per ben due
volte rigettato nei giorni scorsi la richiesta di arresti domiciliari avanzata
dal suo legale Giuseppe Lipera.
Che all’osso sono queste: “E’ vero, Contrada sta male, anzi
malissimo, ma in carcere, pur rischiando la vita, si può curare benissimo”.
E questo nonostante che svariati certificati, anche del
medico penitenziario di Santa Maria Capua Vetere, abbiano attestato la
incompatibilità del quasi
setttantasettenne ex numero tre del Sisde con un qualsivoglia regime
carcerario.
Non si è fatta attendere la reazione del suo difensore
Giuseppe Lipera che nei giorni scorsi aveva inoltrato una supplica al
capo dello stato perché iniziasse autonomamente l’iter della grazia
presidenziale.
“Il caso Contrada – secondo Lipera – forse non lo è mai stato solo giudiziario, e adesso lo si evince ancor di
più, infatti è diventato anche un caso
politico ed istituzionale.”
“E ciò che è grave ed inquietante – prosegue Lipera
– è che questa vicenda assomiglia sempre di
più alla storia del capitano francese Albert Dreyfuss, mentre cresce in Italia
la sfiducia in chi fa le leggi e in chi
le applica: per questo è un triste paese Italia, non solo per la
monnezza”.
La delusione per l’ennesima porta chiusa in faccia a
Contrada trasforma il proprio difensore in un torrente in piena.
E con
riferimento alle motivazioni standard con cui si è negato il differimento della
pena aggiunge: “In Italia si è pericolosi per legge: basta contestare
un’aggravante di un 416 bis, non importa se si è vecchi o ammalati, la
pericolosità diventa ancorata all’imputazione non alle prove che la
sorreggono..così ha stabilito il legislatore, cioè i parlamentari di allora
che votarono quella legge e i
parlamentari di oggi che la mantengono in vita”.
E con riguardo alle motivazioni per cui il tribunale di
sorveglianza di Napoli ha rifiutato il differimento della pena Lipera ironizza
così: “..in Italia si è in salute e
giovani con un semplice provvedimento di
un giudice.. i medici del Cardarelli, i luminari interpellati dai difensori
del Contrada, i sanitari del Carcere Militare di Santa Maria Capua Vetere
dicono tutti castronerie”.
“Infatti – prosegue Lipera – non è vero che Bruno Contrada
soffra in carcere in maniera disumana, non è vero che rischi ischemie celebrali o cardiache e
quindi la vita. Solo quello che dicono i giudici è vero”, continua Lipera,
e costoro “hanno deciso nonostante il contrario parere di tutti i medici, che
egli deve stare in carcere…aveva ragione Piero Calamandrei: il giudice ha il
potere del mago della favola può far diventare il bianco nero e il nero
bianco”.
Sulla stessa onda il commento del senatore Lino
Jannuzzi, che con il tribunale di sorveglianza di Napoli ha già avuto a che
fare. “L’avevo previsto e l’avevo scritto – dichiara Jannuzzi – conosco da tempo il senso della giustizia del
Tribunale di sorveglianza di Napoli e
specialmente del giudice che lo presiede”.
Jannuzzi precisa che adesso non rimane che battersi
in Parlamento per l’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta
sula gestione dei pentiti nei primi anni ’90: “A
questo punto resta solo l’inchiesta del Parlamento sull’affare Contrada, l’uso
criminale dei ‘pentiti’ e la follia giustizialista dei professionisti
dell’antimafia”.
Ma il vero dubbio è se tutto il centrodestra sarà compatto
nell’appoggiare una simile richiesta.