I have a dream: che il GOP si svegli per battere Obama nel 2012
20 Maggio 2011
Ho un sogno, diceva Martin Luther King; e anch’io non sono da meno. Sogno un Partito Repubblicano che negli Stati Uniti si metta seriamente a fare i conti con la realtà. Se lo facesse, infatti, si renderebbe conto subito che perder tempo in distinguo capziosi e tatticismi inutili serve solo a favorire gli avversari. A un anno e mezzo di distanza dalle elezioni presidenziali del 6 novembre 2012 la cosa più evidente dello scenario politico statunitense è infatti che Barack Hussein Obama è battuto, bollito, basito. L’altra è che i suoi avversari rischiano di non tirarne le debite conseguenze come dovrebbero.
Obama è cotto da un bel po’, e questo rende conto del notevole successo elettorale ottenuto il 2 novembre 2010 nominalmente dai Repubblicani in verità vera dai conservatori dei “Tea Party”. Ma oggi come oggi la notizia è risaputa, cioè vecchia. Occorre andare oltre. Per andare oltre bisogna anzitutto che i Repubblicani smettano di dividersi in mille rivoli. Poi che cessino le guerre intestine. Quindi che scelgano definitivamente di servire il popolo: il popolo dei conservatori, vale a dire la quintessenza più pura dell’autentico spirito americano, chisseneimporta se talora non son la maggioranza, tanto oggi forse maggioranza lo sono davvero (che se ne rendano conto o no).
Quel mio sogno cresce, e vede il Partito Repubblicano rinascere, rifondarsi, rifarsi. Il partito non è nato benissimo, certo; ma forse è tempo di metterci una pietra sopra. È l’ora cioè di prendere finalmente (cioè alla fine) atto del fatto che per battere i Democratici (nati meglio dei Repubblicani, ma finiti assai peggio) dentro le istituzioni ci vuole una formazione politica, e che questa formazione politica ha successo se convince. Esiste, e non è affatto spregevole, una scuola di pensiero che spregia completamente partiti e strutture statali: il più delle volte ha ragione, ma spesso non si rende conto di essere in anticipo sui tempi. Può darsi che venga il giorno in cui si potrà fare a meno dei partiti, ma (purtroppo) non è oggi. Oggi chi si chiama fuori lascia solo il campo libero allo strabordare degli avversari, e il risultato non è mai buono.
Occorre dunque, per ora, un partito che porti al successo la gente giusta allo scopo di governare bene un Paese, nella fattispecie il Paese più importante del mondo. Il mio sogno è che i Repubblicani si sveglino dai propri incubi e comincino a prendere sul serio la storia che li sospinge in avanti talora loro malgrado.
I Repubblicani hanno ormai capito (e sennò è meglio cambino mestiere) che senza i conservatori perdono. Quindi il mio sogno dice che sarebbe ora di fare sul serio; e che invece di stringere con i conservatori alleanze solo strategiche per forza di cose perennemente contingenti, i Repubblicani dovrebbero decidersi a farsi per i conservatori casa comune stabile, costruita sulla roccia, di solidi mattoni, ignifuga, idrorepellente e resistente alle intemperie.
Insomma, i Repubblicani farebbero bene a prendere esempio dal “mitico” senatore della Pennsylvania Arlen Specter, tra l’altro quello della singolare tesi della “pallottola unica” che va avanti e indietro dal corpo martoriato di John F. Kenendy (1917-1963), nonché l’uomo che a capo per anni del Senate Judiciary Committee ha passato alla graticola le proposte nomine presidenziali a tribunali di rango federale avendo la possibilità di stroncare per motivi ideologici gli sgraditi, come per esempio fece con il grande Robert H. Bork: Specter, infatti, dopo 44 anni di onorata carriera dentro il Partito Repubblicano tutti giocati da uomo di punta dell’ala più livorosamente liberal, il 28 aprile 2009 ha capito di avere sbagliato indirizzo (non è mai troppo tardi) è si è dato anima e corpo ai Democratici.
Nel mio sogno i Repubblicani prendono la biografia di Specter, la mandano a memoria e poi la recitano a soggetto, sceverando il grano dal loglio. Certo, lo sappiamo tutti che i partiti politici americani non hanno base ideologica e che quindi al loro interno ne capitano di tutte, ma oramai attorno a loro il mondo si è mosso da un po’; e che Destra e Sinistra non significhino oramai più nulla se non in riferimento al fatto che esistono dei punti (detti princìpi poiché fondano il resto e alle loro spalle non esiste nulla) indisponibili oppure che si può negoziare persino la propria dignità umana è un dato di fatto di cui pure Oltreoceano val la pena tengano conto.
Il mio sogno dice infatti che se i Repubblicani la smettessero di attraversare le stanze del potere come fossero dei marziani ma si mettessero seriamente a guardare dove mettono i piedi si accorgerebbero che il mondo dentro, attorno, sopra e sotto di loro è fatto oramai di conservatori, che in lizza per sconfiggere Obama nel 2012 ci sono praticamente solo dei conservatori, che detto esercito va guidato bene e che la cosa migliore da fare per un partito che ha denari, influenze, amici giusti, giornali, tivù, emittenti radiofoniche, strutture e attivisti a iosa sarebbe quella di radunare tutti attorno a un tavolo e copiare da se stessi.
Nel mio sogno rivedo gli anni 1960, ovvero la candidatura presidenziale del senatore dell’Arizona Barry M. Goldwater (1909-1988) lanciata tanti anni fa quanti ne ho io dopo sapiente lavoro di cesello. Il buon Goldwater, o chi per lui, aveva per tempo preso a prestito una stanza, chiuso le porte e attorno a un tavolo servito dei drink agli esponenti e agli intellettuali più significativi (in tutti sensi, sostanza e immagine assieme) del conservatorismo, apostrofandoli con un discorso tanto breve quanto chiaro. Più o meno lo potremmo tradurre così: “Nessuno uscirà ‘vivo’ di qui, come direbbe Jim Morrison, se prima non ci mettiamo d’accordo, troviamo un quadro di riferimento unitario e ci prepariamo a spezzare le reni non alla Grecia ma al cartello delle Sinistre”. Ci voleva poco? Col fischio, attorno a quel tavolo stava infatti assiso il meglio della rissosità della Destra americana tradizionalista e libertarian.
Le cronache narrano però che quel crogiuolo partorì una base strategica che prese poi corpo con un aureo libretto, The Conscience of a Conservative, del 1960, edito anche in Italia come Il vero conservatore (trad. it., Edizioni de Il Borghese, Roma 1962). Portava la firma di Goldwater in persona, ma tutti sapevano che lo aveva in verità affidato, tra tutti quelli che si sarebbero potuti scegliere, a L. Brent Bozell (1926-1997), alias la penna più acuminata della reazione cattolica del tempo, uno che si faceva arrestare davanti alle cliniche abortiste perché si accomodava sui gradini impedendo il passo e ci voleva il trattore per smuoverlo, uno che passeggiava con il rosario al collo e in capo la bojna dei carlisti di Spagna, uno che un giorno criticava (sbagliava) la “cultura dei mezzucci” di cui vedeva in Goldwater un simbolo e la sera si metteva a metterne per iscritto, e convintamente, le linee portanti (l’uomo è un gran bel mistero, che Dio lo abbia sempre in gloria). Le sottoscrissero tutti, libertari compresi.
Tenete altresì presente che , alle nostre latitudini, il “liberista” e “amerikanista” Goldwater piacque persino a un paganone anticattolico e antioccidentalista come Julius Evola (1898-1974)…
Nel mio sogno mi sorprendo così a rileggere alcune parole immortali di quell’aureo libretto: «Siamo quotidianamente consegnati, da commentatori “illuminati”, all’oblìo politico: il Conservatorismo, ci dicono, è antiquato. L’accusa è assurda e dovremmo dirlo con audacia. Le leggi di Dio e della Natura non portano data. I principi sui quali si fonda la posizione politica conservatrice sono stati stabiliti da un processo che non ha nulla a che fare con il paesaggio sociale, economico, politico, il quale muta di decennio in decennio e da un secolo all’altro. Questi principi sono derivati dalla Natura dell’uomo, e dalle verità che Iddio ha rivelato intorno alla Sua creazione». Eppoi: «Le circostanze sì mutano; e così anche i problemi che sono plasmati dalle circostanze. Ma i principi che governano la soluzione dei problemi non possono cambiare. Insinuare che la filosofia conservatrice sia antiquata sarebbe dire come che i Dieci Comandamenti o la politica di Aristotele sono antiquati».
Nel mio sogno, tra le leggi di Dio e della Natura (che è pure citazione dal preambolo della Dichiarazione d’Indipendenza degli USA), i Dieci Comandamenti e Aristotele, anche Goldwater non passa mai di moda, soprattutto non sfioriscono quegli uomini che fecero l’impresa attorno a lui per lui. Possibile, mi chiedo così nel mio dormiveglia, che se lo sappiamo noi non lo ricordino più i Repubblicani al di là del Grande Mare?
Ecco, nel mio sogno vedo adesso materializzarsi un altro tavolo, moquette sotto e aria condizionata attorno, e quindi seduto in capo un leader (non ho scritto uno che va in tivù e sui giornali), il quale, dotato di attributi come stabiliscono le leggi di Dio e della Natura, i Dieci Comandamenti e Aristotele, riunisce tutti, ascolta ognuno e dice: “Da qua non si va a casa finché non abbiamo eretto la Casa». Il mio sogno incrocia a questo punto i volti di Mitt Romney e Mick Huckabee, Rick Santorum e Sarah Palin, Ron Paul e Michelle Bachmann, John R. Bolton e Mitch Daniels, Newt Gingrich e Tim Pawlenty generando un tale che ha i soldi di Donald Trump e le reti di Rupert Murdoch, e costui stende un compromesso: quello che si patteggia quando di compra casa, mica le mezze verità. Certo, il mio sogno contempla un coraggio da leoni nel saper fare un passo indietro, ma mi pare di comprendere e apprezzare che in tempi di pre-primarie non tutti si son fatti prendere dalle manie di protagonismo gettandosi nell’arena come gladiatori morituri te salutant.
Nel mio sogno a questo punto mi desto che non ricordo più come quel partito si chiami, e non m’inquieto: al suo posto vedo infatti librarsi un’idea imperitura di politica nobile tutta fatta sulle cose che contano e animata di maschi dibattiti pure accesi su quanto Stato è necessario o se questa guerra la facciamo o no, ma dove non c’è più posto per i sotterfugi. Al mio risveglio c’è una cosa che non è più un partito, ma la Right Nation in blazer scuro e stivali da cow-boy che guida una nave frangendo i flutti. Una mattina, mi son svegliato e quello era il sogno che ricordavo. Adesso spero solo di non fare la fine di Martin Luther King.
Marco Respinti è presidente del Columbia Institute e direttore del Centro Studi Russell Kirk