I leader europei non escludano di svalutare l’euro per uscire dalla crisi

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I leader europei non escludano di svalutare l’euro per uscire dalla crisi

25 Luglio 2012

Si potrebbe dar loro il seguente nome: le ‘lettere di Marty all’Europa’. Da un anno a questa parte, infatti, sia sul Wall Street Journal che sul Financial Times, Martin Feldstein, noto economista statunitense e professore ad Harvard, scrive articoli puntuali come campane per tempistica e contenuti,  vivisezionando i problemi che affliggono l’eurozona e proponendo soluzioni ai leader europei.

Non più tardi di ieri Feldstein ha ‘gettato nel mucchio’ un’altra delle sue proposte. Lo ha fatto dalle colonne del quotidiano della City, dopo averlo lanciata lo scorso 27 Giugno dalle colonne del WSJ. La sua è una proposta di una semplicità straordinaria: per sconfiggere la recessione e impedire che la Germania vi entri a sua volta – come ha preconizzato ieri l’agenzia di rating Moody’s declassando l’outolook economico sull’economia tedesca da “stabile” a “negativo” – si deve rapidamente svalutare l’euro.

Si dica subito che Martin Feldstein ha sin dalla prima ora manifestato la propria perplessità sull’euro. Tanto quanto lo fu il premio Nobel per l’economia Milton Friedman, anche Martin Feldstein è sempre stato euroscettico. Un euroscetticismo non nazionalista, bensì fondato su considerazioni economiche e politiche.

Nel 1997 Feldstein scriveva per Foreign Affairs un articolo sull’euro che appare oggi in tutta la sua portata profetica: “Gli effetti economici negativi su disoccupazione e inflazione di una singola moneta [europea] supereranno qualsiasi beneficio derivante dalle facilitazioni che si avranno su commercio e movimento di capitali”.

E ancora “concepito come un modo per ridurre il rischio di un’altra guerra intra-europea, [l’euro] produrrà un effetto opposto, … conducendo a un aumento del conflitto all’interno dell’Europa e tra Europa e gli Stati Uniti”. Esattamente quel che sta accadendo sotto i nostri occhi.

Ora, per entrare nel merito della proposta, per Feldstein svalutare l’euro avrebbe subito degli effetti positivi: renderebbe più competitive le esportazioni della zona euro e ridurrebbe le importazioni, il che ovviamente avrebbe rilancerebbe la produzione industriale, riducendo l’impatto che la contrazione della domanda interna ha sull’industria. Inoltre, un euro più debole permetterebbe un abbattimento totale o parziale dei deficit di partite correnti dei paesi periferici dell’eurozona, visto che metà delle loro esportazioni è con paesi che non appartengono dalla zona euro.

Ma soprattutto, e l’argomento di Feldstein stavolta è rivolto a Berlino, una svalutazione rapida dell’euro permetterebbe alla Germania di sostenere meglio le proprie esportazioni e aumenterebbe i salari e i prezzi all’interno dell’economia tedesca. In sintesi, permetterebbe alla Germania di non cadere in recessione e non nuocerebbe troppo agli Stati Uniti, il cui interscambio con l’Europa conta solo per il 5% del Pil.

Certo, la Germania, oggi guidata dalla Cancelliera Angela Merkel, non è ancora con l’acqua alla gola per dare il proprio placet a che la Bce dia vita a una politica monetaria altamente espansiva, che certamente porterebbe in dote tutto quanto detto sopra, ma svaluterebbe, non solo il debito, ma anche gli asset espressi in euro. Ma, ammesso che l’euro sia ancora in piedi a quel punto, non è detto che un annetto di recessione non spinga Berlino a più miti consigli.

Sentito da l’Occidentale a proposito della proposta svalutativa fatta dal docente di Harvard, Francesco Forte, economista ed ex-ministro delle finanze, ci dice che a suo parere “la proposta Feldstein è giusta. Il problema della Spagna e dell’Italia non è lo stock di debito bensì il tasso di cambio. Mi pare che una politica monetaria espansiva da parte della Bce sia l’unica via perseguibile visto che una certa sinistra europea non vuole prendere per le corna il problema della rigidità dei salari. A questo punto, l’unica strada perseguibile è quella di svalutarli”.

Dall’altra parte del fiume sta Paolo Savona, economista ed ex-ministro dell’industria. A ‘l’Occidentale’ l’attuale presidente del Fondo interbancario di tutela dei depositi dice che “il problema non è quello [della svalutazione dell’euro]. L’euroarea non è ottimale, quindi occorre un prestatore d’ultima istanza, una perfetta (e possibilmente incentivata) mobilità del lavoro per inseguire i capitali dove vanno spontaneamente e politiche compensative degli shock asimmetrici affidate alla Commissione. Quello che viviamo non è un problema di cambi fissi con l’esterno, ma all’interno dell’euroarea”.

Comunque la si veda, le spinte centrifughe all’interno dell’eurozona si fanno sempre più forti. Ma anche un euroscettico come Feldstein avverte: "Se la creazione dell’eurozone è stato un errore economico, permettere oggi che si dissolva sarebbe molto oneroso per i suoi governi, per gli investitori e per i cittadini". Anche quelli tedeschi. A buon intenditore, poche parole.