I legali le provano tutte ma Olindo e Rosa restano “bestie sanguinarie”

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I legali le provano tutte ma Olindo e Rosa restano “bestie sanguinarie”

14 Aprile 2010

Richiesta di totale assoluzione per Olindo Romano e Rosa Bazzi. Così si è conclusa ieri mattina la difesa dell’avvocato Nico D’Ascola, legale dei due coniugi condannati in primo grado all’ergastolo per la strage di Erba (Como). Nella strage furono uccisi a colpi di spranga e coltellate Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, la nonna del bambino Paola Galli, e la vicina di casa Valeria Cherubini. Suo marito Mario Frigerio, anche lui aggredito violentemente, si è salvato perché creduto morto. Dopo la strage, l’appartamento fu incendiato.

Un’arringa durata più di tre ore, quella del professor D’Ascola, in cui ha tentato di smontare tutti i capi d’accusa mossi nei confronti dei due coniugi. Le impronte mancanti nell’appartamento, le deposizioni contrastanti. E poi le lettere. Già, le lettere. Questa mattina infatti l’udienza sembrava più una guerra tra missive.

Tutto è cominciato con un detenuto del carcere milanese di Opera. L’uomo, nei giorni scorsi, aveva scritto una lettera alla procura generale per dire la sua sul processo per la strage di Erba e manifestare perplessità sulla pena inflitta ai coniugi Romano: Olindo e Rosa sono innocenti, aveva scritto. Tanto che nella mattinata di ieri, appena iniziata l’udienza nella Corte d’Assise di Milano, la difesa dei due coniugi ha chiesto al giudice di ascoltarlo come teste. Ma cosa c’entra il detenuto con il processo per la strage di Erba? L’uomo, che deve scontare 11 anni per traffico di stupefacenti, fu compagno di cella di Azouz Marzouk, padre e marito di due delle vittime della strage. E questo, per la difesa, avvalorerebbe la pista di una vendetta trasversale per problemi che Marzouk avrebbe avuto con ambienti della malavita durante la detenzione in carcere. Ma il sostituto Procuratore Generale Nunzia Gatto, non si è lasciata convincere da quella che è stata definita una "letterina che non vale assolutamente niente". Secondo il pg infatti, la prova è "superflua e irrilevante" poiché la pista della vendetta trasversale era già stata esclusa in primo grado.

Non c’è stato niente da fare neanche per la seconda richiesta di testimonianza, quella di un altro detenuto che ha scritto ai carcerati di parte civile parlando di Ibrahim Chencoum, un tunisino che raccontò di aver visto la sera della strage, nei pressi della casa di Raffaella Castagna, "il fratello della morta" ovvero Piero Castagna. Nella lettera il detenuto definisce Chencoum "millantatore e completamente ubriaco". Di Chencoum si persero le tracce dopo questa sua deposizione.

All’udienza era presente anche il "superteste" Mario Frigerio, l’unico sopravvissuto alla strage dell’11 dicembre del 2006, che al palazzo di Giustizia milanese non ha usato mezzi termini: "Sono bestie sanguinarie". E lo ha fatto riferendosi alla lettera (una terza lettera, sì) che i coniugi Romano gli hanno indirizzato per ribadire la loro innocenza. "Io ho sempre detto che è stato Olindo – ha dichiarato Frigerio ancora claudicante per via delle ferite subite  – L’ho avuto a un metro e mezzo. Ho voluto esserci oggi per poterlo guardare negli occhi". Il fatto che i difensori mettano in dubbio la sua testimonianza, ha detto, gli procura un "ulteriore dolore". "E’ un dolore che si aggiunge a quello che già abbiamo provato –  ha aggiunto – Questo non è giusto per noi e per le vittime".

Tre sono stati i punti sui quali si è fondata l’arringa del difensore D’Ascola. In primo luogo la richiesta di perizia psichiatrica per i suoi clienti: il legale, infatti, ha spiegato che l’eccidio avrebbe avuto un "movente totalmente sproporzionato" in rapporto alla gravità del fatto. Secondo punto: il legale ha cercato di smontare la testimonianza di Mario Frigerio, che aveva indicato in Olindo Romano il suo aggressore dopo aver inizialmente parlato di una persona "di carnagione olivastra". Proprio per questo la testimonianza di Frigerio, secondo D’Ascola, sarebbe "una prova viziata". Inoltre, anche le confessioni dei due imputati sono "una prova contraddittoria: le confessioni sono accompagnate contestualmente da testimonianze di innocenza". Confessioni "inquinate" precedute da un "colloquio ambiguo" con i carabinieri, prima di riferire la loro verità ai pm. La terza questione riguarda la totale mancanza di impronte dei due coniugi nei locali dove è avvenuta la strage.

Ma cosa successe in quella notte del 2006? La sera dell’11 dicembre i Vigili del Fuoco di Erba furono chiamati per spegnere un incendio divampato in una vecchia corte ristrutturata, in via Diaz. Entrando nell’abitazione scoprirono i corpi di cinque persone. Una di queste era ancora viva, Mario Frigerio, che fu portato immediatamente in ospedale a Como. Raffaella Castagna, 30 anni, volontaria in una comunità di assistenza a persone disabili, era stata colpita violentemente con una spranga, accoltellata e infine sgozzata. A coltellate era stata uccisa anche la casalinga Paola Galli, di 60 anni, madre di Raffaella. Il piccolo Youssef, figlio di Raffaella, fu assassinato con un unico fendente alla gola. Aveva due anni. I vicini di casa, Valeria Cherubini di 55 anni e Mario Frigerio di 63, affrettandosi nel soccorrere i tre sventurati, finirono anch’essi sotto la spranga e il coltello dell’aggressore. Frigerio però, sopravvisse grazie ad una malformazione congenita della carotide che impedì la morte per dissanguamento.   

Inizialmente le indagini si concentrarono su Azouz Marzouk, marito di raffaella Castagna e padre del piccolo Youssef. Ma il tunisino aveva un alibi: durante l’accaduto si trovava in Tunisia con i genitori. La svolta delle indagini si verifica il 9 gennaio 2007, quando vengono arrestati i coniugi Olindo Romano, netturbino 44enne e la moglie Rosa Bazzi di 43 anni, vicini di casa di Raffaella Castagna. I RIS di Parma trovano tracce del DNA di una vittima nell’auto del netturbino. A quel punto i due coniugi vengono accusati di omicidio plurimo pluriaggravato. Contro di loro anche la testimonianza di Frigerio, nel frattempo ripresosi dalle gravi ferite. Appena due giorni dopo i due ammettono di esser stati gli esecutori della strage. Ma il 10 ottobre dello stesso anno, difronte al Gup, i Romano ritrattano e si dichiarano innocenti. Così inizia una bagarre giudiziaria che porta la Corte d’Assise alla sentenza di primo grado il 26 novembre 2008: Olindo e Rosa sono condannati all’ergastolo. Il legale dei coniugi ricorre in Appello, il resto è storia di questi giorni.

Il processo d’appello, in corso a Milano, riprenderà il 20 aprile quando i giudici si riuniranno in camera di consiglio per uscirne solo con una sentenza di assoluzione o condanna, oppure un’ordinanza in cui vengano chiesti nuovi accertamenti.