I liberali assediati dagli opposti estremismi
17 Maggio 2008
Come ho più volte ribadito su ‘L’Occidentale’, nelle mie riflessioni ‘in controtendenza’, non può esservi cultura liberale senza ‘separazione delle sfere’: morale e diritto, scienza e coscienza, politica e religione, arte e storia stanno su piani distinti e pur se intrattengono un rapporto dialettico—dal momento che l’animo umano non è un assembramento meccanico di pezzi staccati ma il palcoscenico su cui si confrontano valori non sempre componibili—rimangono ciascuno fedele al proprio demone ovvero ai rispettivi codici e allo spirito diverso che li anima.
Se questo è vero, è difficile sottrarsi a un profondo senso di disagio dinanzi all’attacco concentrico che il tradizionalismo cattolico, da un lato, e la sinistra ‘atea e razionalista’, dall’altro, muovono ogni giorno alla fortezza liberale che, in Italia, tutti a parole dicono di voler difendere—persino ‘Micromega’ e Antonio Di Pietro!—ma che pochi sono davvero disposti a preservare per le generazioni presenti e future. Come sempre <gli estremi si toccano>. Ne costituisce una inequivocabile riprova l’elenco, per quanto approssimativo, delle sostanziali convergenze tra la filosofia di Camillo Ruini e quella di Piergiorgio Odifreddi. Tali convergenze potrebbero così venir delineate. .
—La restaurazione della fallacia naturalistica. Com’è noto, la più grande ‘mente epistemologica’ del liberalismo moderno, David Hume (non per niente Piero Ostellino gli ha intitolato un club di liberi pensatori) distingueva i ‘fatti’ dai ‘valori’, l’essere dal dover essere. Dalla descrizione della realtà, argomentava, non è possibile derivare alcuna prescrizione. Rilevare, ad esempio, che tutti si comportano in un certo modo non obbliga (moralmente) nessuno a conformarsi alla communis opinio e ad agire di conseguenza. Se una maggioranza parlamentare, di destra o di sinistra, prende posizione su un tema cruciali—si tratti di etica pubblica o di economia, di politica interna o di rapporti internazionali—le sue decisioni non diventano ipso facto ‘giuste’anche se si è tenuti a obbedire alle leggi che verranno poi emanate (ma in virtù del principio che decisioni prese nel rispetto delle regole procedurali poste a fondamento della ‘democrazia dei moderni’ diventano vincolanti per tutti (erga omnes): una tassazione che riteniamo per buoni motivi iniqua ma che è stata deliberata da un libero parlamento non rende lecita, anche se la giustifica, l’evasione fiscale). Sembra, invece, che per i fondamentalisti cattolici come per i laicisti, <i più> diventano <vox populi, vox Dei>, purché si pronuncino nel senso da essi auspicato: in caso contrario, decadono a masse eterodirette o ad <autobiografia della nazione>, secondo lo stantio topos gobettiano ripreso da Stefano Rodotà il 28 aprile su ‘Repubblica’ nel suo commento alla vittoria del PDL.
—L’eticizzazione della politica. Sia i ruiniani che gli odifreddiani, pur rendendo formalmente omaggio al principio evangelico <Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio>, pretendono che sia Dio (o
—Appropriazione indebita della ‘normalità’. I due radicalismi ritengono che il ‘normale’ e il ‘patologico’, il ‘naturale’ e l’innaturale’ siano tali oggettivamente. Si prenda il dibattito sulla questione omosessuale. Per i settori più passatisti della Chiesa, l’omosessualità è <matta bestialitade>, come la definiva Dante che scaraventava nell’Inferno il pur venerato Brunetto Latini, l’amato maestro che gli aveva insegnato <come l’uom s’etterna>. Per i loro avversari, al contrario, nulla di più naturale di questa pratica dal momento che <anche i cani lo fanno> e che per i Greci l’efebia aveva un alto profilo estetico e intellettuale. Gli uni sarebbero disposti a censurare, anche penalmente, le gerarchie ecclesiastiche per mancanza di rispetto nei confronti dei diversi, definiti ‘anormali’; gli altri, se potessero,escluderebbero il cosiddetto ‘terzo sesso’ dagli uffici pubblici, facendo dei suoi adepti dei cittadini di serie B. Per entrambi, una visione del mondo, con le sue specifiche misure del ‘normale’ e del ‘patologico’ deve, necessariamente, trovare un riconoscimento giuridico se non vuole restare nell’irrilevante dimensione privata del <de gustibus….>.
E’ intollerabile che il papa si pronuncia contro l’omosessualità! Ma perché? E’ vietato attribuire al mito di fondazione delle religioni monoteistiche universali, l’incontro di un uomo e di una donna, un valore sacrale? E’ davvero irrazionale porre la diversità biologica—in ogni caso imprescindibile per la venuta al mondo dei nostri simili—a fondamento della famiglia, della società, dello Stato?
E, sull’altro versante, perché non tener conto delle differenti pulsioni erotiche—siano il prodotto di una libera scelta o di ambigue conformazioni fisiologiche—che portano talora a scegliere il partner all’interno dello stesso gender? Ritenere chi si comporta in tal modo un ‘malato’ o un ‘deviante’ non trova alcun fondamento nella medicina ma, attenti, non lo trova neppure la concezione opposta: come tutte le scienze, anche quella di Ippocrate può descrivere ‘fatti’ ma non attribuire ‘valore’ a una pratica piuttosto che a un’altra. Se si ha la libertà di optare per il costume sessuale più appagante, si ha anche quella di ritenere certe scelte <contro natura’> qualora si pensi che non tutto ciò che <sta in natura> sia <buono> e funzionale alla conservazione della vita (cicloni e terremoti non lo sono). L’importante, però, è che questo ‘giudizio di valore’ non leda i diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino e che le riprovazioni morali non abbiano alcuna ricaduta giuridica e politica. L’apprezzamento o la condanna di una pratica sessuale come di qualsiasi altro ‘stile di vita’ non rientrano nelle competenze dello Stato liberale. Era lo stato etico fascista a esaltare la virilità, le maschie virtù della stirpe, il gallismo: il ribaltamento di quegli stereotipi, però, crea uno stato etico diverso ma non avvicina di un palmo all’universo liberale. Quest’ultimo si occupa delle libertà e dei diritti non della stima o della disistima, del rispetto o dell’insofferenza verso scelte che riguardano solo i singoli individui
—Arruolamento forzato dei neutrali. Piantare la bandiera su posizioni conquistate da altri è sempre stato uno sport diffuso in un paese come il nostro, in cui poche migliaia di partigiani, si sono attribuiti il merito della liberazione dall’invasore nazista. E’ una tentazione alla quale non è sfuggito, nel suo recente discorso alla Camera in risposta a quello del nuovo Presidente del Consiglio, neppure un leader lontano dalle intemperanze e dai furori della sinistra dipietresca e travagliesca come Walter Veltroni. A Berlusconi ha ricordato che il 53% degli italiani non lo hanno votato. Il dato è incontestabile ma cosa significa :che quel 53% è rappresentato dal PD e dall’UDC e che non ha votato per questi partiti solo per errore e disattenzione? Sulla base del suo ragionamento, Veltroni dovrebbe delegittimare tutte le presidenze elette con una percentuale di votanti estremamente bassa per gli standard europei. Ma l’altera pars non è da meno. Nella rubrica ‘secondo noi’ il quotidiano cattolico ‘Avvenire’ ha definito allarmante la nomina di Daniele Capezzone a portavoce di Forza Italia. <Il partito azzurro proprio mentre si avvia a confluire nel Pdl si ritrova così a mostrare di colpo un volto (il nuovo coordinatore Denis Verdini) e una voce (Daniele Capezzone) inediti, inattesi e su un piano politico-culturale, spiazzanti. Scelte che anche alla luce delle ultime analisi sui flussi di voto, appaiono ostentatamente diverse e dissonanti rispetto alle convinzioni di tantissimi elettori, soprattutto cattolici, della prima forza del centrodestra>. Come al tempo del fallito referendum sulla fecondazione assistita, i fondamentalisti vogliono far credere che un paese che registra un calo pauroso sia di presenze alle messe domenicali sia di vocazioni sacerdotali ( e personalmente il trend non mi fa esultare..) riscopri davanti all’urna la sua anima cattolica. Fingendo di ignorare, tra l’altro, che intellettuali cattoliche di punta, come Paola Binetti e Lucietta Scaraffia, non certo organiche a una bioetica liberale, sono state candidate da Veltroni e da Rutelli nelle loro liste. Al solito intolleranza e malafede portano ad alterare la realtà che, come nei poemi epici del mondo antico, assume le sembianze ingannevoli ma fortemente desiderate da eroi destinati alla perdizione.
—Ridefinizione dello spazio politico sulla base del conflitto bioetico. Come si è visto anche dall’esemplificazione che ho utilizzato, sia gli ‘atei razionalisti’ che i controriformisti stanno cercando di fare della bioetica lo spartiacque tra ‘buoni’ e ‘cattivi’, tra amici del progresso e nostalgici dell’Inquisizione. Temi come i pacs, l’eutanasia, la fecondazione artificiale, le cellule staminali rivendicano una centralità, nel dibattito pubblico, che rischia di (o forse è deliberatamente intesa a) mettere in ombra le questioni spinose che il governo Prodi ha lasciato in eredità al Berlusconi ter: la recessione economica, il federalismo fiscale, la spazzatura di Napoli, l’ordine pubblico, la politica dell’immigrazione, la riforma della magistratura, la scuola, le opere pubbliche, la legge Biagi etc. Entrambi gli schieramenti trovano nella bioetica—che per la delicatezza dei problemi che pone all’opinione pubblica dovrebbe adottare abiti di sobrietà, di tolleranza e di disponibilità al bargaining—l’occasione della nuova crociata cattolica o della finale resa dei conti con la superstizione religiosa e i suoi pregiudizi. E’ su questo terreno che rifiorisce il principio in base al quale se la legge deve dare efficacia al diritto e se il diritto è determinato dalla morale (fondata a sua volta su una Weltanschauung), nessun compromesso è possibile. Così, in tema di coppie omosessuali, all’estremismo laicista non basta riconoscere all’individuo la più ampia libertà di lasciare i suoi averi a chicchessia, a compenso di affetti e di scambievoli cure dipanati nell’arco di una vita: si pretende che alle famiglie di fatto venga assegnata la stessa protezione sociale che alle famiglie ‘normali’ ovvero che tutti i cittadini siano obbligati a sostenere, attraverso il prelievo fiscale, modelli di vita lontanissimi dalla loro educazione sentimentale e morale. Sull’altro versante, sembra ripugnante qualsiasi ‘presa di atto’ di rapporti umani non contemplati nelle (o condannati dalle )Sacre Scritture anche quando tale presa di atto non comporta alcun onere sociale giacché, per i nostalgici dei Comitati civici, la registrazione ufficiale delle coppie di fatto si configura come un vero e proprio attentato alla dignità della persona, una violazione della ‘legislazione primitiva’ che, per il visconte de Bonald, Iddio, all’atto della creazione del mondo, avrebbe imposto al genere umano.
Che il diritto non sia espressione dell’Etica (con la e maiuscola) ma un compromesso faticoso e sempre revocabile tra diverse concezioni etiche (con le e minuscola)è una tesi che non entra nelle menti delle due ‘estreme’ anche se qualche volta non mancano di renderle omaggio.
E’ un discorso che vale per tutti i temi scottanti del dibattito bioetica in corso temi dove assistiamo regolarmente all’accusa di oscurantismo rivolta a quanti (il primo crucifige fu rivolto a Giuliano Amato) vorrebbero evitare che l’aborto diventi uno strumento di controllo delle nascite e all’accusa di eugenismo nazista mossa a quanti vorrebbero che le tecnologie riproduttive curino fin nei primi stadi di vita talune gravi malformazioni genetiche. Queste diverse accuse sono la riconferma del criterio infallibile per riconoscere l’homo liberalis dal suo contrario: la squalifica morale dell’avversario, la sordità assoluta alle sue ‘ragioni’. Ne rappresenta un caso da manuale Giuliano Ferrara (ma non è il solo) quando sul ‘Foglio’ definisce edonisti, egoisti, individualisti quanti non condividono il suo sanfedismo bioetico ma non si allontanano di una spanna dal baricentro liberale. Viene quasi il sospetto che la vera, nascosta convergenza, tra i due fondamentalismi, sia la liquidazione della ‘società aperta’. In fondo, Paola Binetti e Margherita Hack, più che odiarsi a vicenda, odiano le zone grigie della ragion pratica dove ragione e torto non possono dividersi con un taglio netto.<Chi non è con me è contro di me!>.