I limiti del populismo e la forza del berlusconismo
06 Novembre 2013
Nel libro che ha dedicato al Berlusconismo nella storia d’Italia il professor Giovanni Orsina definisce il profilo ideologico del movimento creato dall’imprenditore milanese come "un’emulsione di populismo e liberalismo". Il termine non è scelto a caso, le emulsioni non provocano una catalisi che dà origine a una sostanza nuova, ma costituiscono solo una mescolanza assai stretta, che certo può risultare difficilmente distinguibile, ma che non è fissata definitivamente.Trasportando dal piano dell’analisi storica a quello della politica quotidiana questa definizione del prof. Orsina possiamo ricavare utili indicazioni su come deve atteggiarsi l’azione politica del centro destra.
Il successo politico e le fortune elettorali di Berlusconi sono state dovute alla capacità di tenere assieme un variegato universo di opinioni e di orientamenti fino ad allora disperso e frammentato. Moderati, liberali, conservatori, qualunquisti. Sensibilità politiche molto differenti accomunate solo da un anticomunismo esistenziale più che concettualmente articolato. Il richiamo unificante di Berlusconi rispetto a questa vasta area ha fatto perno su due motivi di fondo; da un lato la prospettiva di uno stato meno invasivo e fiscalmente esoso, dall’altra il rifiuto per il teatrino della politica e dei suoi rituali estenuanti versione "prima repubblica". Cioè una propensione schiettamente liberale combinata con un impulso populista. L’emulsione ha funzionato garantendo un ventennio di successi elettorali. In questo modo si è riusciti a ricucire un rapporto positivo tra mondo politico e sviluppo sociale che negli anni del lungo declino della prima repubblica era andato divaricandosi pericolosamente, facendo paventare sbocchi non democratici (giustizialismo, separatismo).
Se, però, dalle campagne elettorali ci spostiamo a valutare le politiche pubbliche perseguite dai governi di centro destra il bilancio non è altrettanto positivo. Questo è dipeso solo in parte da difficoltà oggettive (la persecuzione giudiziaria di cui è stato oggetto Berlusconi; la crisi economica internazionale, iniziata nel 2008, che ha influenzato negativamente l’azione del governo) e va riportato a uno scompenso tra le due componenti della miscela berlusconiana. Negli anni di governo, infatti, si è riscontrata una sostanziale prevalenza del populismo sul liberalismo. Questo è stato il vero punto debole del centro destra. Il fatto è che l’approccio populista risulta assai utile per convogliare il consenso, ma può rivelarsi esiziale nella gestione della cosa pubblica. In quell’ambito conta soprattutto un orientamento liberale. Espressione che non significa solo la rivendicazione di alcuni ideali regolativi (libertà d’impresa, semplificazione amministrativa, riduzione della mano pubblica in economia) ma implica una più generale capacità di operare le mediazioni necessarie per tradurre gli slogan in un’efficace azione di governo. In altri termini, una cultura di governo liberale è lo strumento operativo indispensabile per dare concretezza all’agitazione populista.
In queste settimane agitate tutti sembrano, almeno a parole, consapevoli che l’unità del partito è un valore da preservare. Tuttavia, se questo non vuole essere un richiamo retorico ma un obiettivo politico, occorre essere consapevoli che le due componenti del berlusconismo debbono avere pari dignità. In questa congiuntura politica ed economica, privilegiare un approccio populista, sperando che sia pagante in termini di consenso, rischia di alimentare una spirale demagogica, disperdendo il patrimonio storico del berlusconismo.