I mercati concedono qualche mese a Monti, la politica molto meno

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I mercati concedono qualche mese a Monti, la politica molto meno

29 Dicembre 2011

 

Qualche mese dai mercati, molto meno dalla politica. Monti incassa il successo dell’asta dei Bot semestrali – per intercessione della Bce – ma i partiti della maggioranza scalpitano. Ciascuno per proprio conto, presenta la lista delle cose da fare, ciascuno difende i propri cavalli di battaglia (elettorali), ma su un punto tutti sono d’accordo: il tempo stringe, è ora di misure per la crescita da concordare prima; niente decisioni calate dall’alto. Il timore che potrebbe velocemente trasformarsi in ultimatum e subito dopo in show down, è che la ‘fase due’ che fino ad oggi resterà top secret per volontà del premier che ai ministri ha affidato la consegna del silenzio, si traduca in un’altra manovra lacrime e sangue. Troppo per il Paese, troppo per le forze politiche che in questa partita si giocano il consenso.

Per conoscere come il Prof. di Varese ha intenzione di tradurre la crescita in provvedimenti ad hoc lo si saprà solo oggi nella conferenza stampa di fine anno. Ieri le tre ore di Cdm sono servite a tracciare road map, obiettivi e strumenti per centrarli. Sui dettagli dovranno applicarsi i singoli ministri per i dossier di competenza: insomma, ‘compiti a casa’ per Capodanno in modo da arrivare preparati alla ripresa dell’attività parlamentare. Nessuno si sbilancia, soltanto il ministro Riccardi rimanda alla tradizionale conferenza stampa di fine anno (oggi a Palazzo Chigi) per “sentire la lettura che Monti darà dell’azione di governo finora e della prospettiva”.

Già, la prospettiva. Perché lo spread sta ancora sulle montagne russe, segno evidente che l’apertura di credito al governo non è infinita e soprattutto che la manovra ‘salva-Italia’ da sola non basta. E’ il messaggio dei mercati e oggi bisognerà verificare l’esito dell’asta dei Btp decennali per avere conferme più precise.

Quello che per ora si sa, è che a gennaio il governo porterà in parlamento un disegno di legge sulla concorrenza, con al centro le liberalizzazioni (accantonate nella fase uno), taxi e farmacie in testa. Corrado Passera sta lavorando al dossier infrastrutture: si ipotizza lo sblocco di nuove risorse ma anche norme per rendere più agevole il project financing e sburocratizzare le procedure per le imprese, oltre a interventi per accelerare i pagamenti della pubblica amministrazione. C’è poi tutto il grande capitolo della riforma del mercato del lavoro, sul quale Monti avrebbe concesso un po’ di tempo in più al ministro Fornero (dopo averla bacchettata in camera caritatis per la fuga in avanti sull’articolo 18).

Completano l’agenda del governo da qui ai prossimi sei mesi,  la riforma fiscale con la revisione delle agevolazioni fiscali e assistenziali censite da un’apposita commissione; il ddl per la riforma del catasto ma anche misure su scuola a giustizia (in quest’ultimo caso per velocizzare i processi civili e riorganizzare i tribunali periferici e più piccoli).

E la politica? Ha fretta. E chiede un cambio di rotta all’inquilino di Palazzo Chigi perché la mission è sì la stabilizzazione dei conti e tuttavia questa non può prescindere da una robusta iniezione di crescita per far ripartire l’economia e scongiurare – per quanto e più possibile – lo spettro della recessione. La stessa oscillazione dello spread, secondo molti parlamentari della maggioranza, segnala che i mercati non si fidano fino in fondo e dopo la manovra di rigore attendono i provvedimenti per lo sviluppo, prima di tornare a scommettere sul nostro paese e sulla capacità di fronteggiare la crisi globale.

Dunque, è l’ora della crescita. E di misure che ridiano fiducia ai cittadini, rivitalizzino i consumi. Ma – è il refrain bipartisan – ad eccezione di Casini sull’operato del governo ha solo granitiche certezze – il premier deve concordare prima cosa fare e come farlo coi partiti che lo sostengono. Lo va ripetendo da giorni il Pdl, ma pure nel Pd c’è molta insofferenza per il troppo rigore e per le troppe tasse sulle quali ciascuna forza politica si gioca il consenso. In cima alla lista delle cose da fare il Pdl mette l’alleggerimento della pressione fiscale mentre sulle liberalizzazioni appare più prudente; il Pd una maggiore equità. Se sulle liberalizzazioni si mostra più deciso rispetto al Pdl, è sulla riforma del lavoro che si arrocca nella difesa a oltranza dell’articolo 18. Ma pure il ‘montiano’ Casini ieri si è spinto avanti per dire che no, un’altra manovra come questa “il paese non la reggerebbe”. Insomma tra timori, dubbi, veti incrociati, la politica scalpita e avvia il ‘timing’ elettorale.

Ps: non c’è pace per Bersani; dopo il ‘big bang’ della politica, quella ‘testa calda’ di Matteo Renzi-il rottamatore ne ha escogitata un’altra delle sue: a Firenze taglia l’addizionale sull’Irpef comunale e blocca l’Imu (aumentando la tassazione sulle secondo case, soprattutto quelle sfitte). E adesso chi glielo spiega agli elettori di sinistra che Renzi e Bersani sono dello stesso partito?