I miei conti con il “sovranismo”
08 Gennaio 2021
La vicenda dell’ingloriosa uscita di scena di Donald Trump che, con un solo atto (“in una notte sola” ha detto Gaetano Quagliariello), cioè quello di aver sobillato la folla che ha assaltato il Congresso, ha distrutto sé stesso, cioè ogni sua velleità politica futura, e quel tanto o poco di buono fatto nei quattro anni di presidenza repubblicana, induce a qualche forse non irrilevante riflessione su quello che potrebbe o dovrebbe essere la destra. In un’ottica generale, non solo americana.
Alessandro Sallusti ha avuto il merito di cogliere il punto in un ispirato fondo de Il Giornale in cui ha affermato che “Il 6 gennaio 2021 sta al sovranismo come il 9 novembre 1989 – giorno della caduta del muro di Berlino – sta al comunismo”. Anche chi scrive, nel suo piccolo, aveva dato per morto il “sovranismo”, in verità già il giorno della sconfitta elettorale di Trump. E inoltre ad esso non aveva mai, nemmeno nel periodo del suo massimo fulgore, dato uno statuto teorico, ritenendo che il termine potesse piuttosto avere solo una funzione euristica indicando, in maniera più o meno e approssimativa, semplicemente un insieme di movimenti e forze politiche reattive verso gli esiti del processo di globalizzazione.
Ad essi aveva arriso un successo popolare (altro che “usurpazione del potere” da parte di una “cricca”!) attestato in vari Paesi da libere elezioni. Un successo che inizia con la vittoria dei brexiter il 23 giungo 2016 nel Regno Unito e finisce, appunto, poco più di quattro anni dopo, il 3 novembre 2020, con la vittoria di Joe Biden.
Un termine quindi, quello di “sovranismo”, non convincente, semplicemente orientativo, destinato probabilmente sin dall’inizio a esaurire la sua funzione, e quindi a morire tanto rapidamente quanto rapidamente si era affermato in ambito soprattutto pubblicistico (fra l’altro in origine nel campo dei suoi avversari). Interessando però a me soprattutto le sorti del liberalismo, o meglio le esigenze che nei vari periodi storici e nei diversi contesti geografici reclamano soluzioni liberali, avevo anche affermato che i “sovranisti” erano un classico fenomeno di transizione perché, in maniera confusa e contraddittoria, e per l’appunto soprattutto reattiva, ponevano esigenze e bisogni di democrazia e libertà a cui le forze egemoni davano risposte errate o che semplicemente non riconoscevano come problemi.
Che quelle esigenze e quei bisogni abbiano oggi trovato una risposta, non mi sento affatto di dirlo. Ma quel che sicuramente va detto è che, se da una parte, nel fronte del potere tradizionale, qualche crepa si è aperta, nell’Europa politica ad esempio ma anche nell’America intellettuale, i “sovranisti” non hanno saputo che ripetere i vecchi slogan o far venir fuori tutto di un colpo quelle spinte eversive e quegli aspetti nichilisti che abbiamo visto all’opera a Washington e che sicuramente erano in loro presenti sin dall’inizio ma in quantità fisiologica. E comunque in una miscela che era variegata e che poteva risolversi, e per qualche “sovranismo” potrebbe ancora risolversi o si sta risolvendo (penso a quello italiano), in un esito non omologante certo ma diverso da quello illiberale che ha avuto il trumpismo.
Venendo poi allo specifico americano, certo è impossibile non considerare che anche i democratici hanno tollerato, e appoggiato, e forse hanno anche nelle loro fila, movimenti al limite e oltre la legalità; che sulla delegittimazione dell’avversario e dei risultati elettorali anche loro hanno molti peccati da farsi perdonare; che l’America è oggi divisa e c’è quasi “guerra civile” strisciante; che il “politicamente corretto” ha distrutto valori e tessuti identitari di vecchia data e che ha generato reazioni giuste ma anche incontrollate. Tutto questo però, che abbiamo detto ieri e continueremo a dire domani, non può essere detto oggi di fronte a fatti come quelli di Washington. I quali vanno semplicementi condannati.
Se non lo facciamo, non solo rischiamo di non essere capiti, ma anche di cadere in un altro dei vizi storici della sinistra: il benaltrismo, una modalità retorica che sposta sempre altrove l’oggetto del discorso. Più in generale, non vogliamo una destra che scimmiotti la sinistra in faziosità e doppiopesismo, che sia cioè semplicemente una sinistra col segno cambiato. Quanto a Trump il fatto stesso di aver reso oggi più difficili le nostre battaglie, di aver fatto segnare un punto a favore non meritato alla sinistra, questo non gli può assolutamente essere perdonato.