I ministri-ombra di Veltroni fanno scoppiare il Pd

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I ministri-ombra di Veltroni fanno scoppiare il Pd

09 Maggio 2008

Doveva essere un freddo esercizio di rito anglosassone,
la formazione del governo-ombra. Una formalità estranea ai giochi di potere,
visto che si tratta sostanzialmente di una somma di cariche onorifiche dal
valore puramente simbolico assegnata a un drappello di dirigenti di prima
fascia del Pd.

Invece per Walter Veltroni la designazione del “shadow-cabinet”
si sta trasformando in un classico minuetto all’italiana, cadenzato dai ritmi
sincopati dei litigi e degli scontri tra correnti e partiti alleati. Un braccio
di ferro interno alle varie anime del Pd, ma anche esteso a una quantomai
battagliera Italia dei Valori, che ricomprende dentro di sé anche la corsa e i
conflitti per mettere le mani sulle cariche istituzionali spettanti
all’opposizione. E i cui decibel dello scontro vengono ulteriormente
amplificati dall’antinomica velocità con cui Silvio Berlusconi ha composto il
suo governo, quello vero, chiudendo il cerchio a tempi di record.

Il menu delle contrapposizioni frontali è, dunque,
quantomai vario e diversificato. Ci sono le classiche caselle dove gli
aspiranti ministri-ombra sono più d’uno e la selezione finale rischia di
lasciare parecchi scontenti sul campo. Ma ci sono anche le scintille tra
Antonio Di Pietro e il Pd, con l’ex pm di Mani Pulite che accusa il partito di
Walter Veltroni di volersi prendere tutte le cariche parlamentari spettanti
alle opposizioni, ivi compresa la commissione di Vigilanza Rai che negli
accordi spetterebbe all’Italia dei Valori. Infine Marco Follini invita il Pd a
dedicare maggiori attenzioni all’Udc invece che all’ Idv, suscitando le ire dei
dipietristi.

I malumori dell’ex pm non si possono certo liquidare come
“sotterranei”. Di Pietro parla apertamente di «sconcerto e amarezza» per la
decisione di Veltroni di «andare avanti da solo». L’oggetto del contendere è la
presidenza della commissione di Vigilanza Rai che negli accordi spetta a Italia
dei valori, nella persona di Leoluca Orlando. Veltroni, in un colloquio con Di
Pietro, ha confermato l’appoggio del Pd, ma ha ricordato che in commissione
vota anche il centrodestra, che ha la maggioranza. Insomma, occorre un
«agreement» del Pdl e un esplicito via libera (che difficilmente arriverà).

Di Pietro si fida soltanto parzialmente. E dopo aver
perso la vicepresidenza della Camera chiede a Veltroni di spendersi davvero per
favorire l’elezione di Leoluca Orlando. Il sospetto è che dietro questo impegno
considerato troppo tiepido si nasconda la volontà di portare un uomo di
esperienza specifica come Paolo Gentiloni in quel posto. Versione smentita dal
capogruppo del Pd Antonello Soro ma le rassicurazioni di massima non sembrano
bastare.

Un’altro elemento che ha acceso il fuoco della tensione è
stata l’intervista di Follini al quotidiano «Liberal», diretto dal deputato
centrista Ferdinando Adornato. «Io ero contrario all’accordo con Di Pietro sin
dall’inizio – ha detto il senatore del Pd – Adesso, mi pare che sia contrario
lui stesso, quindi non vedo ragione di continuare con quest’equivoco: prendiamo atto che le strade si sono separate. Dall’altra parte,
l’Udc non può restare troppo a lungo in mezzo al guado, una posizione subita,
peraltro. Oggi, o ricuce con il centrodestra, oppure si accorciano le distanze
con il Pd».

Immediata la replica di Orlando alle «provocazioni» di
Follini: l’Idv conferma «la natura strategica dell’alleanza con il
Pd».

«Leali sostenitori di questa alleanza – aggiunge Orlando
– chiediamo, però, con determinazione al Pd il rispetto dei nostri valori e
delle nostre posizioni».

Peraltro, il Pd ha problemi interni per la guida dell’
altra commissione di controllo spettante alle opposizioni: il Comitato di
controllo sui servizi di sicurezza. Sono in corsa Arturo Parisi e Francesco
Rutelli, con il loft sensibile alle richieste del vicepremier.

Veltroni, intanto, sta cercando di procedere al  riassetto del partito. Domani, se le promesse
saranno mantenute, dovrebbe arrivare il governo ombra e la settimana prossima
il nuovo esecutivo e la segreteria che sostituirà il «caminetto» informalmente
sull’onda della caduta del governo Prodi. Oggi Beppe Fioroni ha smentito di
puntare ad affiancare Goffredo Bettini come coordinatore del Pd; «Ve lo
immaginate un tandem con me e Bettini sopra? Potrebbe andare solo in discesa…», ha detto,
ironizzando sulla stazza propria e di Bettini. Per lui è comunque in arrivo un
ruolo forte nell’organizzazione del partito.

Sui nomi dei ministri-ombra che circolano in queste ore
restano ancora parecchie incognite. Il tentativo, comunque, è quello di
coniugare competenze e nuove personalità. All’Economia si fa il nome di Enrico
Morando, uno degli autori del programma del Pd, anche se al loft piacerebbe che
Pierluigi Bersani accogliesse la proposta, al Welfare Maria Pia Garavaglia e
come vice con delega al Lavoro il giuslavorista Pietro Ichino, alla Ricerca e
Istruzione Giorgio Tonini, agli Interni Marco Minniti, che però ricopre già la
carica di segretario regionale della Calabria, in caso di incompatibilità
potrebbe subentrare l’ex prefetto Achille Serra, alla Difesa, Roberta Pinotti o
Arturo Parisi, per il quale è sfumata la guida del Copasi, accreditata a
Francesco Rutelli. Ai Rapporti con il Parlamento si fa il nome di Marco
Follini, alle Attività Produttive Maria Paola Merloni, alle Comunicazioni Paolo
Gentiloni, a meno che non presieda la Vigilanza Rai. Per la Giustizia non si
esclude Beppe Lumia. All’Ambiente e Politiche Agricole Ermete Realacci, alla
Delegificazione, il nuovo ministero di Calderoli potrebbero andare Linda
Lanzillotta o Franco Bassanini, agli Esteri Piero Fassino alle Infrastrutture
il neo responsabile del Pd al Nord, Andrea Martella. Per dare spazi a volti
giovani potrebbe fare il suo ingresso nello shadow cabinet anche Pina Picierno,
per le Politiche giovanili.

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio potrebbe
essere il nipote di quello che siederà a palazzo Chigi, Gianni Letta, nonchè
suo predecessore, Enrico Letta. Per il ministero della Famiglia si fa il nome
della radicale Maria Antonietta Coscioni. E per la sede del governo-ombra si
pensa al botteghino, l’attuale sede dei Ds a via Nazionale.

Ci sono poi le spine dalemiane a turbare i sonni del
leader del Pd. L’ex ministro degli Esteri smussa gli angoli delle
incomprensioni ma torna ad avanzare la sua richiesta: «L’unica cosa che si
chiede – spiega D’Alema – è una discussione aperta e meno difensiva, a partire
da un’analisi vera, che sappia vedere anche i limiti e le insufficienze del
progetto così come si è dispiegato fino ad oggi».

Il messaggio è chiaro: o si
attivano sedi di discussione interne al partito. Oppure inevitabilmente si
moltiplicheranno la sedi e le iniziative esterne. E a quel punto la leadership
di Veltroni potrebbe davvero iniziare a scricchiolare.