I ministri-tecnici studiano da politici tra manovre centriste e scenari elettorali
27 Dicembre 2011
Tra i fermenti sulla fase uno e due di Monti e l’orizzonte elettorale del 2013 (a meno di show-down anticipato) c’è molto movimentismo politico a Palazzo Chigi e a Montecitorio. Tattiche incrociate, disegni futuri, scenari possibili o solo evocati, dicono che tra i professori c’è chi non è poi così entusiasta di tornare dietro a una cattedra o a una scrivania quando e se sarà compiuta la missione. E’ attorno a questo fermento, a questo lavorìo che la politica rischia di avvitarsi o di riaprire l’ennesimo scontro.
Che ci si prepari al ‘dopo’ è più che una percezione, sia nei due schieramenti che hanno scelto di sostenere l’esecutivo, sia tra i membri dell’esecutivo: al dopo-Monti-premier e al dopo-Berlusconi leader del Pdl e del centrodestra. Due binari paralleli ma con molti punti in contatto, almeno a giudicare dai protagonisti della nuova partita in vista del 2013.
Nella lente di ingrandimento di Pdl e Pd ci sono due tecnici della squadra di Monti che sembrano proiettati alla ‘fase tre’, quella del ‘dopo’: Corrado Passera e Andrea Riccardi. Il primo plenipotenziario di un ministero strategico per il tanto atteso sviluppo, oggi alla prova del nove nel Cdm straordinario dedicato proprio al dossier-crescita. Il secondo, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, molto ascoltato Oltretevere e con relazioni bipartisan in ambienti di centrosinistra e centrodestra. Entrambi reduci (o pionieri) del laboratorio cattolico di Todi che solo due mesi fa (era il 17 ottobre) declinarono insieme al variegato mondo dell’associazionismo cattolico il ‘manifesto’ di una nuova ‘galassia’ da mettere nell’orbita della politica sotto le insegne del “bene comune”.
Allora, tutti i protagonisti di Todi si affrettarono a dire che no, quell’evento non era la rifondazione della ‘Balena bianca’ versione 2.0, meno che mai il partito dei cattolici, ma un ressemblement di volenterosi – cattolici e laici – disposti a camminare insieme, condividere principi e valori di fondo (persona, vita, famiglia).
A distanza di due mesi, le cose appaiono sotto una luce un pò diversa e i segnali di movimenti ‘oltre’ il recinto di Monti cominciano a essere più chiari. Secondo alcuni navigati osservatori di Montecitorio, Passera e Riccardi stanno in ottimi rapporti con Pieferdinando Casini, unico leader dei partiti di maggioranza difensore d’ufficio del governo e della manovra tutta tasse e rigore. I rumors di Palazzo raccontano di un leader dell’Udc che guarda al 2013 non nella direzione di Palazzo Chigi (ben sapendo che sarebbe impresa ardua) ma in quella del Quirinale e per questo starebbe tessendo la tela per essere pronto al momento giusto, cioè quando i contendenti e tra questi si fanno già i nomi di Prodi, lo stesso Monti, Gianni Letta, Silvio Berlusconi, caleranno le loro carte. Che tradotto vuol dire: poter contare su uno spettro più ampio possibile di consensi (alias voti) in parlamento.
C’è un però, non di poco conto: Giorgio Napolitano. Il presidente ha gestito la fase della crisi politica sfociata nelle dimissioni del Cav., ha lavorato sodo per garantire al paese sotto l’assedio degli speculatori internazionali, una fase di stabilità col governo Monti. Difficile pensare che dopo tutto ciò, sia disposto a fare le valigie. Certo, buona parte del suo standing per una riconferma al Colle, dipenderà dai risultati del governo tecnico da lui fortemente voluto, ma è chiaro che Napolitano non mollerà tanto facilmente la presa. Né a favore di Casini, tantomeno di altri (compreso lo stesso Monti).
Dell’attivismo di Passera, manager di punta del Gruppo Intesa San Paolo, anche lui con relazioni bipartisan nei due schieramenti, si è molto scritto in queste settimane. Compresa la tentazione di studiare da premier, quando e se ci saranno le condizioni giuste. Ieri non è passata inosservata l’intervista di Riccardi al Corsera e in particolare il passaggio nel quale il ministro per la Cooperazione internazionale dice che adesso, cioè dopo Berlusconi, “i cattolici, sparsi nei partiti o nella società, pensano la politica maggiormente insieme. Hanno ritrovato il gusto della politica come servizio al bene comune. Quando tutto non si riduce più solo a un ‘Berlusconi sì-Berlusconi no’, si riappassionano”. Peccato, che dimentichi un particolare: in questi anni, molto del vento dell’antiberlusconismo è spirato proprio da quelle parti. Riccardi sembra mettere le mani avanti quando spiega che no, lui non ha “mai voluto fare politica”.
La convinzione di fondo che rilancia è che “il governo Monti rappresenti un’occasione per il risanamento economico ma anche per il rilancio della politica e per il recupero delle ragioni che tengono insieme il Paese. Il governo non coinvolge i partiti. Valorizza però pienamente la vita parlamentare. Insomma, per i partiti c’è l’opportunità storica di ripensarsi. Di rifondarsi”. Eppure, va ricordato che una delle prime polemiche politiche all’indomani dell’insediamento del governo tecnico, fu proprio innescata dalle sue parole, a proposito della cittadinanza italiana ai figli degli immigrati nati in Italia. Questione tecnica, ma dalle forti implicazioni politiche. Fu quello un primo campanello di allarme che spinse il Pdl a mandare un primo altolà a Monti e a rimarcare il perimetro entro il quale i professori erano chiamati a muoversi. Niente fughe in avanti politiche, solo il compito di risanare i conti del Paese ai tempi della crisi globale e di rimetterlo sui binari dello sviluppo.
Un ‘warning’ che non meno di una settimana fa,i vertici del Pdl hanno ribadito al premier negli incontri bilaterali. Risposta del Prof: non ne sapevo nulla. Nell’intervista al Corsera, Riccardi aggiunge altro: “Abbiamo alle spalle un periodo caratterizzato da una politica urlata e dal suo divorzio dalla gente comune. Un bipolarismo conflittuale ha prodotto lacerazione, spesso con un linguaggio improntato all’odio e al disprezzo. Ma un periodo è finito”. Quanto alla mission del suo dicastero (senza portafoglio) spiega che è stato disegnato per contribuire a ridare identità a un Paese che per troppo tempo è stato introverso. La cooperazione internazionale va rilanciata”. Non a caso tocca il tema dei rom per ricordare che “in Italia sono 140 mila, di cui metà di nazionalità italiana. La metà ha meno di 18 anni. Integrarli non è impossibile se si parte dalla sanità, dalla scuola”. Anche qui, la politica c’entra eccome.
Sarà per questo che Beppe Fioroni torna a dare la sveglia al Pd e alla Fornero su articolo 18 e pensioni. Proprio la componente cattolica dei democrat teme che tra le mosse centriste e quelle dei ministri che studiano da politici, a rimetterci sia chi ci mette la faccia tutti i giorni e che a Largo del Nazareno ci sta ma con un certo maldipancia. E non da ora.
Non è un caso che giusto ieri anche dal Pdl siano arrivati nuovi avvertimenti. Fabrizio Cicchitto alza la guardia: “Nessun ministro usi il governo per montare o smontare operazioni e schieramenti politici. Ci si limiti a gestire l’emergenza a tre condizioni: che dopo una durissima manovra che ha forti elementi restrittivi seguano consistenti operazioni funzionali alla crescita, che i processi di liberalizzazione e di privatizzazioni non si risolvano in piccole operazioni punitive ma riguardino una serie di grandi e impegnative questioni (trasporti ferroviari, energia, autostrade, poste, acqua, aziende e servizi pubblici locali,la vendita di partecipazioni mobiliari non strategiche e di larga parte del patrimonio immobiliare), che nessun ministro usi il governo per montare e smontare operazioni e schieramenti politici”. Maurizio Gasparri rincara la dose quando ricorda che “sarebbe ben strano se un governo tecnico si intromettesse, anche attraverso suoi esponenti, in temi della politica” con riferimento diretto alla riforma elettorale e la riforma costituzionale”. Orizzonti ristretti, dunque.
Ma il fermento attraversa anche le file pidielline che da tempo e al tempo di Berlusconi lamentano una certa insofferenza e oggi guardano con interesse (politico?) l’attivismo della galassia cattolica, compreso il pianeta centrista. Non è del resto un mistero che gli Scajola o i Pisanu (e con loro il manipolo di parlamentari-seguaci) guardino a Casini o a un nuovo soggetto politico di centro, fortemente ancorato ai valori cattolici come a una prospettiva comune alla quale lavorare, magari dopochè Berlusconi avrà lasciato in maniera definitiva la scena politica. E dunque a prescindere da ciò che il Pdl sarà o saprà essere. Ma Berlusconi non è ancora pronto per i giardinetti e lo ha detto non meno di 72 ore fa, confermando che lui sulla scena politica c’è e ha intenzione di restarci “a lungo”. Indipendentemente dai tecnici-politici del “dopo”.