I montenegrini contestano i kosovari perché rimpiangono Tito

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I montenegrini contestano i kosovari perché rimpiangono Tito

17 Ottobre 2008

Gli scontri che stanno infiammando Podgorica, la capitale del Montenegro, oltre ad avere provocato decine di feriti e di arresti, richiamano all’attualità la questione dell’indipendenza del Kosovo. Fin dal 16 settembre scorso, data della proclamazione ufficiale ed unilaterale da parte del parlamento di Pristina, i Balcani occidentali sono stati scossi dalle conseguenze di un atto politico che porta a compimento il processo iniziato con la guerra del 1999.

In Montenegro una consistente minoranza della popolazione è rimasta legata culturalmente, e in parte politicamente, alla Serbia. Si tratta della componente politico-sociale montenegrina che aveva votato contro la secessione del Paese da Belgrado in occasione del referendum del 2006, che provocò la fine della federazione serbo-montenegrina e ha reso il Montenegro una nazione indipendente da Belgrado. I manifestanti, diverse migliaia, hanno protestato violentemente contro il riconoscimento del Kosovo da parte del governo di Podgorica, che a sua volta vorrebbe entrare nell’Unione Europea e nella NATO. Questi obiettivi hanno spinto l’esecutivo montenegrino ad appoggiare ufficialmente la separazione del Kosovo, a maggioranza etnica albanese, dalla Serbia e dunque a sostenere l’intenzione avanzata in questo senso dalla NATO e dalla maggior parte degli stati europei.

Dopo i recenti atti parlamentari di Montenegro e Macedonia, nell’area balcanica composta dai Paesi della ex Yugoslavia resta solo la Bosnia-Erzegovina a non aver riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. Tutto questo è dovuto alla presenza di una forte componente serba all’interno della complessa impalcatura etnica ed istituzionale bosniaca. I serbi di Bosnia hanno prevedibilmente posto un veto risoluto al riconoscimento di Pristina in solidarietà con Belgrado. Nello stesso tempo, la rapidità con cui numerosi stati balcanici ed europei hanno proceduto ad avallare l’indipendenza kosovara evidenzia una disposizione politica e strategica favorevole alla strategia NATO; il precedente del Kosovo getta quindi un’eredità sinistra su di una realtà regionale non ancora consolidatasi dopo le guerre dei primi anni ’90. Gli attuali scontri in Montenegro appaiono come un simbolico contraccolpo politico e sociale, dovuto al riacutizzarsi di tensioni etniche e nazionaliste che sembravano momentaneamente placate con la fine delle ostilità, ma che sono ancora percepibili ed esistenti.

Se guardiamo al diritto internazionale, alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e ai trattati post bellici accettati da tutte le parti in causa dopo il conflitto del 1999, lo status del Kosovo è ancora quello di provincia autonoma serba governata temporaneamente da ONU, NATO e UE. Pur essendo stato riconosciuto da una cinquantina di paesi nel mondo, la violazione prodottasi con la dichiarazione di indipendenza unilaterale si ripercuote sul fragile equilibrio raggiunto nei Balcani con gli accordi di Dayton. Non solo la Bosnia potrebbe essere interessata in futuro da una analoga secessione della propria entità serba (Republika Sprska), ma tutti i paesi dell’area sono potenzialmente esposti allo stesso rischio. Inoltre l’isolamento politico della Serbia, che sta espellendo gli ambasciatori dei paesi limitrofi che hanno riconosciuto ufficialmente il Kosovo, rischia di avere ripercussioni molto rilevanti sulla stabilità regionale.

L’ostilità avvertita da Belgrado nei confronti dei paesi circostanti, a causa della questione kosovara, porterà probabilmente a un avvicinamento politico e militare ulteriore tra la Serbia e le comunità serbe in Bosnia-Erzegovina, in Montenegro e nello stesso Kosovo. Uno scenario estremamente preoccupante che richiama il recente tragico passato dell’area e del quale gli scontri in corso in Montenegro fanno intuire in prospettiva la portata potenzialmente devastante.