I nodi al pettine fra il PdL e la Lega
10 Novembre 2011
Lo sfarinamento della maggioranza, che è la notizia del momento, anziché indurre a poco fruttuose speculazioni sulle mosse prossime venture dei vari attori politici, può offrire il destro a delle considerazioni che inquadrino gli ultimi avvenimenti politici in una più ampia cornice.
L’attuale crisi di governo ha delle ragioni prossime e delle ragioni più risalenti. Le cause prossime sono la sostanziale inazione di questi mesi. Quando, all’inizio della scorsa estate, si è capito che, data la mancata crescita del Pil, il finanziamento del debito comportava costi aggiuntivi si è registrata una incapacità del governo ad assumere misure strutturali. Tra luglio ed agosto il balletto su quali provvedimenti inserire nella manovra bis è stato desolante. Alla fine tutto si è risolto in un aumento della pressione fiscale che, ovviamente, non ha rassicurato i mercati. In questo modo la situazione è man mano peggiorata, senza che si avesse la forza di prendere misure adeguate e, al tempo stesso, rendendo ogni giorno più difficile tenere insieme la maggioranza.
La scarsa incisività del governo dipende in primo luogo da una mancato riassetto delle istituzioni. Non stiamo parlando di una riforma costituzionale (che oramai appare un miraggio), in grado di dare stabilità ed efficacia ai governi, ma di misure assai più semplici e perseguibili con minori problemi. Dopo le elezioni del 2008 per evitare defezioni nella maggioranza sarebbe stato sufficiente varare dei regolamenti parlamentari più rigorosi. Vale la pena di ricordare che in quell’inizio di legislatura il Pd aveva presentato un progetto di regolamento che rendeva impossibile la creazione di gruppi parlamentari autonomi a movimenti politici che non avessero presentato proprie liste alle elezioni politiche. Un progetto che, sia detto per inciso, il presidente della camera non volle neanche mettere in discussione. Ma anche senza arrivare a misure così drastiche sarebbe bastato alzare la soglia dei parlamentari necessari per costituire un gruppo autonomo (40 o 50) per evitare la scissione futurista. La fuoriuscita dei finiani quindi non va imputata solo al calcolo miope del loro leader, ma è dipesa anzitutto da un mancato aggiustamento nelle regole del gioco.
La defezione di Futuro e libertà ha avuto conseguenze negative durevoli perché ha baricentrato la maggioranza sull’asse PdL/Lega. Di fatto questo ha significato aumentare il peso specifico del partito di Bossi, assicurandogli una sorta di diritto di veto e impacciando moltissimo l’azione di governo.
La prima cartina di tornasole di una situazione poco sostenibile è stata la crisi libica. In quella circostanza difficile, anziché mantenere una piena solidarietà d’intenti, all’interno della maggioranza sono cominciati i distinguo pelosi, le critiche irresponsabili, le prese di distanza sempre più accentuate. In sostanza il governo è stato costretto a delle acrobazie tattiche molto più difficili di quelle dei nostri aerei in missione. Pure, nonostante tutto ce la siamo cavata, sia pure al prezzo di una perdita di credibilità internazionale.
Lo stesso problema, ma molto accentuato nei suoi profili politici ed economico-finanziari, si è ripresentato quando sarebbe stato necessario mettere mano a riforme strutturali sul piano economico. La Lega ha messo il veto con arroganza demagogica alle proposte che, anche prima della lettera della Bce, il più piano buon senso suggeriva (niente innalzamento dell’età pensionabile, niente privatizzazione dei servizi pubblici locali, niente accorpamento dei comuni al di sotto dei mille abitanti).
La morale della favola è abbastanza semplice. La coesistenza tra PdL e la Lega non è difficile, è di fatto impossibile perché i fini ultimi dei due partiti sono incompatibili. Il PdL ha l’ambizione di essere un moderno partito conservatore, dotato di una solida cultura di governo e capace di interpretare l’interesse nazionale. La Lega è una sorta di sindacato territoriale preoccupato solo di rafforzare il proprio insediamento locale inseguendo sposando tutte le cause, anche quelle più assurde e irragionevoli (basti pensare alla surreale vicenda del "trasferimento" al nord dei ministeri).
Al momento non possiamo sapere come la crisi evolverà nei prossimi giorni, ma una cosa appare chiara già oggi: se siamo arrivati a questo punto la responsabilità va addossata in primo luogo al partito di Bossi.