I nodi della riforma elettorale
07 Gennaio 2008
Sulla riforma elettorale pesa innanzitutto un macigno:
l’atteggiamento di Prodi che, nella speranza di far sopravvivere il governo, ha
preso le difese dei piccoli partiti contro una più alta soglia di sbarramento (ma
perché non si aggregano? se si vuole superare la frammentazione non c’è
alternativa) e si è messo di traverso rispetto a quello “spiraglio di dialogo
che si è aperto” tra Veltroni e Berlusconi, oggetto dell’apprezzamento del Capo
dello Stato (“occorre assolutamente evitare che l’occasione vada perduta”). E’
evidente che la riforma sarà possibile solo se nel Pd si scioglierà
positivamente questo nodo.
I referendum sono uno strumento fondamentale per
giungere alla riforma, senza di essi tutto si bloccherebbe. Il sistema di
risulta – di gran lunga migliore di quello vigente – potrebbe favorire un
processo virtuoso di autoriforma del sistema politico basato su due grandi
partiti. Certamente, però, potrebbe anche condurre alla formazioni di listoni
omnicomprensivi, al più riducendo ma non eliminando il potere di veto e di
ricatto dei “nanetti”.
Pertanto si deve fare di tutto per giungere ad una
riforma migliore di quella che scaturisce dal referendum. Quale sistema
adottare? A mio avviso, si può rinunciare al premio di maggioranza, in quanto
meccanismo che favorisce la formazione di coalizioni disomogenee, solo se si
adotta un sistema che invece: 1) favorisce la formazione di aggregazioni
omogenee; 2) favorisce una dinamica bipolare di tipo europeo basata, anche se
in modo non esclusivo, su due grandi partiti a vocazione maggioritaria, tra
loro alternativi, che si contendono l’elettorato di centro. Per intenderci: se
più partiti fanno oggi riferimento al Partito popolare europeo, il nuovo
sistema deve incentivare queste forze ad aggregarsi, non spingerle a
presentarsi separatamente consentendo a piccole formazioni del 5-6% di
usufruire di una inammissibile rendita di posizione (quella di poter decidere e
contrattare dopo il voto con chi allearsi, divenendo ago della bilancia per la
formazione dell’esecutivo). Ecco perché è necessario un sistema elettorale che
incentivi e premi la capacità di aggregazione delle forze omogenee, con un meccanismo
progressivo, in funzione del consenso ottenuto. Non è affatto idoneo, invece,
un sistema proporzionale puro, cioè meramente fotografico (salvo lo sbarramento),
come quello tedesco. In Germania questo sistema ha consentito lo sviluppo di
una dinamica bipolare solo grazie ad una serie di ragioni storiche, politiche e
culturali (la messa fuori legge dei partiti estremisti, il forte radicamento
del principio di responsabilità politica, l’inesistenza del trasformismo). In
Italia queste condizioni non esistono. Se importato nel nostro paese, il
sistema tedesco non darebbe affatto luogo ad una dinamica bipolare.
Alla luce delle considerazioni svolte, il testo Bianco
può costituire una valida base di partenza per la riforma elettorale solo a
determinare condizioni:
a) Si adotti il voto unico per la scelta del candidato
del collegio uninominale e della lista. I sostenitori del doppio voto non si sono
forse resi conto delle conseguenze negative che esso determinerebbe: per
vincere più seggi, i partiti sarebbero indotti ad eludere lo scorporo (come con
il Mattarellum), avremmo ancora coalizioni “coatte” e disomogenee, gli
obiettivi della riforma sarebbero vanificati in partenza. Non esiste alcun
meccanismo capace di evitare con certezza l’aggiramento dello scorporo, salvo
il voto unico.
b) L’attribuzione dei seggi avvenga in sede
circoscrizionale con un numero adeguato di circoscrizioni in modo da conseguire
l’obiettivo irrinunciabile di incentivare l’aggregazione delle forze omogenee (comunque
senza penalizzare le forze intermedie che si collocano oltre l’8-10%). In luogo
del metodo d’Hondt si può adottare il metodo del quoziente circoscrizionale con
la formula Imperiali e il recupero dei resti nel Collegio unico
nazionale (come nel sistema Camera fino al ‘92) in modo da consentire
l’utilizzo di tutti i voti delle liste che superano lo sbarramento. Appare
invece altamente sconsigliabile l’ipotesi di effettuare il riparto di tutti i
seggi in sede di Collegio unico nazionale compensando tale scelta con
l’attribuzione di un premio al primo partito. Certamente il premio avrebbe un
effetto bipolarizzante, ma avrebbe anche una controindicazione gravissima: non
vi sarebbe infatti alcuna garanzia che il primo partito, pur con il premio,
riesca a mettere insieme una maggioranza
di governo, e non finisca addirittura
all’opposizione. Anziché riformare il sistema politico-istituzionale, se ne
aggraverebbe la crisi.
I maggiori partiti interessati alla riforma della
legge elettorale (cioè, quantomeno Pd, Pdl, An e Rifondazione comunista, e mi
auguro anche Udc e Lega Nord) dovrebbero verificare se sono in grado di
raggiungere un’intesa sulle questioni dianzi esaminate, in particolare sul voto
unico. Qualora ciò non fosse possibile sarebbe bene far evolvere il testo
Bianco verso un’altra soluzione. A mio avviso, ne rimarrebbe solo una: un
sistema basato sul solo voto di lista, senza collegi uninominali, con
circoscrizioni più piccole (in cui si assegnano in media 8 seggi), come in
Spagna. Non è invece praticabile il sistema francese non solo perché esso
richiederebbe riforme costituzionali troppo impegnative per questa legislatura,
ma innanzitutto perché è impensabile che il Pd adotti un sistema che lo
porterebbe alla rottura totale con Rifondazione comunista.
© Corriere della Sera