I palestinesi sono il vero ostacolo alla pace

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I palestinesi sono il vero ostacolo alla pace

18 Dicembre 2010

Il processo di pace in Medio Oriente è di nuovo in fase di stallo mentre i leader palestinesi continuano deplorabilmente a diffondere la leggenda secondo la quale sono le costruzioni israeliane a ostacolare ogni progresso. Non più tardi di venerdì scorso, a Washington, il negoziatore palestinese Saeb Erekat ha affermato che “il governo israeliano aveva potuto scegliere fra gli insediamenti e la pace, e ha scelto gli insediamenti”. Sfortunatamente, ciò che si frappone tra i palestinesi e la futura formazione di uno Stato è la loro ipocrisia quando si va a parlare di pace autentica. Israele ha più volte proposto quella indipendenza che ostentatamente i palestinesi desiderano. Ma invece di fare un accordo con Israele, hanno dimostrato una totale mancanza di volontà per un compromesso, facendo spesso il gioco del terrorismo com’è testimoniato dal fuoco di fila di attacchi terroristici che seguirono ai negoziati di Camp David nel 2000. C’è dunque ancora da stupirsi del fatto che gli israeliani trovino più che mai difficile aver fiducia nei palestinesi?

Se una pace stabile e duratura dovrà esserci, il riconoscimento da parte d’Israele del diritto dei palestinesi all’auto-determinazione – che più di un governo israeliano ha confermato – non può rimanere non corrisposto. Il popolo ebraico non ha minor diritto a uno Stato nella propria patria, la terra d’Israele, né è meno autorizzato a difenderla. Il problema fondamentale è che i palestinesi continuano a rifiutare quei diritti propri del popolo ebraico. È per questo che non esistono ancora due Stati per due popoli: i palestinesi restano saldi nel proprio rifiuto di accettare anche solo che esista una nazione ebraica che legittimamente chiede la propria terra. Essi rifiutano del tutto l’assunto di uno Stato per il popolo ebraico, non soltanto oltre i confini dello Stato d’Israele stabiliti prima del 1967, ma persino all’interno di quelli originari del 1948. Questo, ovviamente, spiega perché i palestinesi non abbiano perseguito l’indipendenza prima del 1967, quando Israele era all’interno dei confini stabiliti con l’Armistizio del 1949.

Questo fatto diventa perfettamente chiaro se si osserva il modo in cui i leader palestinesi hanno educato la propria gente. La lingua dell’odio è il gergo preferito dei loro media ufficiali, i quali indottrinano il proprio pubblico con la storia che gli ebrei hanno usurpato la loro terra e non hanno alcuna ragione di stare dove stanno. E non solo a Hebron o Ariel, ma pure a Gerusalemme o a Tel Aviv. La televisione palestinese è nota per veicolare il classico incitamento che mostra bambini che glorificano l’uso delle armi per la distruzione d’Israele e che accusano gli ebrei di aver “rubato” città come Haifa che anche il piano di spartizione dell’Onu del 1947 aveva incluso nello Stato d’Israele.

Non c’è possibilità che la pace possa arrivare nella regione sin quando i palestinesi proseguiranno a vomitare invettive del genere. L’unico modo per andare avanti non può che comprendere un approccio dal basso nel quale i palestinesi sviluppino quel genere di discorso civile che è il prerequisito della riconciliazione. Alle scolaresche dell’Autorità Palestinese dev’essere insegnato il rispetto per la dignità umana dei loro vicini ebrei, come agli israeliani viene insegnato a essere tolleranti nei confronti degli altri – inclusi i palestinesi – con i quali possono non essere d’accordo. A tutti i palestinesi devono accettare, una volta per tutte, il fatto che il popolo ebraico continuerà a esercitare il proprio diritto storico alla sovranità nella propria patria, una sovranità che garantisce uguali diritti per tutti i cittadini israeliani.

Per quanto riguarda le comunità ebraiche sui confini del 1967, il loro destino dovrebbe essere deciso in negoziati per lo status permanente, come stabilito nell’Accordo ad Interim israelo-palestinese del settembre 1995. Intanto Israele si è impegnato a non autorizzare costruzioni al di fuori di quei quartieri nell’area sotto il proprio controllo dal 1967. Vale la pena notare che in passato la presenza israeliana nelle zone contastate ha dimostrato di non costituire un ostacolo al raggiungimento della pace con l’Egitto.

La fantasiosa “realtà virtuale” in cui operano I palestinesi – e che distribuiscono per il pubblico consumo – oscura la loro principale responsabilità per l’attuale difficile situazione. E spiega perché Israele debba insistere sulle proprie esigenze di sicurezza in ogni futuro trattato di pace. Israele deve essere in condizione di proteggersi non solo dall’attacco fisico, ma anche dall’assalto politico, culturale e strategico alla propria stessa legittimità. Sarebbe semplicemente impossibile avere una fruttuosa discussione sui confini senza affrontare la questione di una completa sicurezza e senza che venga riconosciuto a Israele il diritto a esistere in quanto Stato-nazione del popolo ebraico.

Da parte d’Israele rimane l’impegno per la causa della pace. Non abbiamo alcun desiderio di gestire gli affari di un altro popolo. Ma l’accettazione da parte nostra di un fattibile Stato palestinese aspetta l’accettazione del diritto del popolo ebraico nella terra d’Israele. Erekat, il negoziatore palestinese, ha scritto di recente che un passo del genere richiederebbe una modifica della narrativa palestinese. Ha assolutamente ragione. Ma fin quando ciò non accadrà, non ci saranno possibilità di pace.

Moshe Ya’alon è Vice Premier israeliano e Ministro per gli Affari Strategici.

 

© Foreign Policy
Traduzione Andrea Di Nino