I paradisi fiscali e finanziari nella giungla dell’economia mondiale

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I paradisi fiscali e finanziari nella giungla dell’economia mondiale

22 Settembre 2010

Si parla spesso di "paradisi" fiscali o bancari, espressione che, per l’indubbia efficacia e suggestione, è entrata ormai a far parte del lessico abituale.

Peraltro, il concetto di "paradiso", fiscale o bancario, varia molto a seconda dell’ordinamento giuridico a cui si riferisce.

La denominazione "paradisi bancari" caratterizza, specificatamente, quei Paesi in cui sono maggiormente privilegiati gli aspetti legati al segreto bancario, mentre nei "paradisi fiscali" assume maggior rilevanza l’aspetto delle agevolazioni fiscali.

Le organizzazioni criminali privilegiano comunque i primi tipi di “paradisi”, dato che l’esigenza dell’anonimato nelle operazioni economiche e la tutela del segreto bancario sono senz’altro per loro più appetibili rispetto a quella delle agevolazioni fiscali, anche considerato che pagare più o meno tasse su proventi comunque illeciti non è così gravoso come pagarli su proventi frutto di lavoro e fatica e soprattutto considerato che l’unico sistema che tali organizzazioni hanno per "lavare" il denaro "sporco" è proprio quello di immetterlo nel circuito ufficiale del sistema bancario internazionale.

Nei confronti dell’Italia possono del resto normativamente considerarsi paradisi fiscali e/o bancari non solo moltissimi Paesi del mondo, ma anche della stessa Unione Europea.

Anziché distinguere allora i "paradisi" in "fiscali" e "bancari", bisognerebbe parlare piuttosto di paradisi finanziari, usando un termine onnicomprensivo che faccia riferimento a tutti quei Paesi presso i quali:

– il segreto bancario è rigidamente tutelato;

– le operazioni valutarie e finanziarie sono rapide ed agevoli;

– gli istituti di credito garantiscono l’anonimato;

– lo svolgimento di accertamenti bancari o patrimoniali è inibito o, comunque limitato a casi di assoluta indispensabilità;

– l’assistenza giudiziaria ad eventuali rogatorie non è garantita dalla esistenza di accordi internazionali;

– l’irrisorietà (se non inesistenza) di gravami fiscali sui redditi societari e/o delle persone fisiche e sui redditi da capitale rende particolarmente vantaggiosi i depositi monetari, gli investimenti e le operazioni su valuta.

I paradisi finanziari sono caratterizzati inoltre da determinate ed inconfondibili caratteristiche geopolitiche.

Di norma, infatti, i "paradisi finanziari" coincidono con Stati che, non disponendo di un solido potenziale economico, o non avendo più il sostegno un tempo assicurato da Stati più potenti, decidono di attrarre i capitali di soggetti residenti in Paesi caratterizzati da ordinamenti giuridici più severi.

E’ il caso, per esempio, delle ex colonie (Antille, Cayman, Hong-Kong, etc.) e di alcuni Stati europei di modeste capacità produttive (Liechtenstein, Lussemburgo, Isole del Canale).

Sul piano politico, poi, i "paradisi finanziari" sono caratterizzati da governi stabili, capaci di assicurare continuità alla politica di agevolazioni economiche e fiscali e tutela ai capitali esportati.

Insomma, appare chiaro come, per quanto la comunità internazionale giustamente si opponga con tutte le forze al proliferare di tali sistemi, il fenomeno sia veramente di difficile “estirpazione”, legato com’è alla sopravvivenza economica di tanti Stati che difficilmente potrebbero ricavare altrove le proprie risorse e ricchezze.

E’ in fondo lo stesso motivo per cui non si riesce a stroncare il mercato della droga in Afghanistan (che, anzi, negli ultimi anni ha incrementato le proprie percentuali di esportazione di oppio), o il mercato delle armi e diamanti in Africa.

E’ la dura legge della giungla economica mondiale e del globalismo fiscale.