“I partiti hanno fallito, è ora di tornare a sentire cosa vuole la gente”

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“I partiti hanno fallito, è ora di tornare a sentire cosa vuole la gente”

12 Aprile 2012

di L. B.

Giancarlo Galan dice di non avere la ricetta ma una soluzione possibile. Berlusconiano classe (politica) ’94 ha fondato Fi in Veneto e da lì ha iniziato la sua lunga militanza che lo ha portato ai piani alti della Regione e poi a quelli romani del ministero dei Beni Culturali. Guarda alla politica con una buona dose di realismo – dalla Lega, al Pdl passando per Pd e Udc – che lo induce a sostenere che “tutti i partiti politici hanno fallito”. Vuole tornare allo spirito forzista del ’94, alla rivoluzione liberale berlusconiana rimasta incompiuta, senza nostalgia per il passato piuttosto per le idee e i programmi “che abbiamo abbandonato” e con la sollecitazione a “risintonizzarsi con la gente”.Con un occhio al Cav. che potrebbe ancora sorprendere.

Galan, che idea si è fatto del ‘terremoto’ Lega?

Una sola: il terremoto è arrivato con qualche anno di ritardo rispetto alle mie previsioni, ma che la Lega fosse stata un partito diverso dagli altri mi è sempre parsa una barzelletta.  

Perché?

Perché i partiti, tutti, sono fatti da uomini e gli uomini sono fatti così. E’ come dire che la Lega ‘ce l’ha duro’. No, ce l’ha come tutti gli altri.

Sul piano politico cosa significa? Qual è l’aspetto che è più l’ha colpita?

E’ stata la virulenza, la ferocia, direi la barbarie dei rapporti interni alla Lega. Francamente non me l’aspettavo.

Eppure la guerra tra maroniani e cerchio magico era nota a tutti da tempo.

Era palese tra gli addetti ai lavori, perché il movimento riusciva a non farla trapelare all’esterno, per cui non si manifestava in maniera eclatante nel contesto di una politica in cui (ahimè!) ciò che appare è più importante di ciò che si è.

Secondo lei perché si è arrivati allo show-down?

Io lo riconduco alla patologia, al coma irreversibile che colpisce tutti i partiti italiani, ovvero un sistema che non corrisponde più al volere della gente. Nel dopoguerra c’erano due mondi: il Pci e il partito occidentale, la Dc, la gente correva in massa ai comizi. Ancora negli anni ’90 in provincia di Vicenza c’erano 121 monocolori Dc su 122 comuni; oggi avere il simbolo del partito è quasi una sciagura…Vengo da una colazione con alcuni sindaci veneti e in ogni comune c’è la lista del candidato sindaco e in qualcuno addirittura due liste dell’opposizione interna.

Quando e quale è stato il black-out?

I partiti hanno la stessa struttura che avevano nell’immediato dopoguerra, mutuata da quella del Pci sovietico e non lo dico in termini negativi, improntata alla cellula, all’attivo provinciale fino ai livelli nazionali. Quello schema è stato rotto nel ’92 quando con tangentopoli la gente ha raggiunto l’apice del disgusto verso i partiti. Dal ’92 in poi qualcuno ha inventato qualcosa di innovativo e rivoluzionario: Silvio Berlusconi. Un modo nuovo di parlare e fare politica e la gente si è riavvicinata ai partiti. Allora non c’erano tessere, nessuno parlava di congressi, tantomeno di correnti. In seguito sono successe un po’ di cose che hanno cambiato quello schema innovativo: prima ci dicevano che in Fi non c’era democrazia interna, poi l’unione con An che voleva tessere e congressi e così anche noi siamo diventati un partito tradizionale. Ma il distacco della gente ha travolto anche noi. 

Che cos’è per lei oggi il Pdl?

E’ un partito che assomiglia sempre di più agli altri. E’ un grande partito, ma come tutti gli altri ha meno appeal sulla gente, meno innovazione, meno eterodossia, meno originalità, meno fantasia, meno colori. E tutto ciò è incredibile in un momento in cui ci sarebbero occasioni a non finire.

Qualche esempio?

Prendiamo il finanziamento pubblico ai partiti. Credo che il 90 per cento delle persone sia contrario e noi cosa facciamo? Tiriamo fuori la bozza Alfano-Bersani-Casini. Siamo appiattiti su quelle posizioni trasformandoci in un partito tradizionale proprio quando i sondaggi (che io ho sempre studiano pur non dipendendone) ci dicono che solo il 4,3 per cento degli italiani ritiene in partiti strumento di democrazia credibile, affidabile. 

Perché ce l’ha su con An?

Non solo con quelli di An, anche con quelli di Fi perché stiamo buttando all’aria occasioni straordinarie. Noi siamo stati il movimento più rivoluzionario, fantasioso, vivo, dal dopoguerra e ci stiamo omologando. Proprio noi che siamo nati come anti-partiti.

Lei è critico anche sulla struttura organizzativa del Pdl, perché?

E’ pesante. Guardiamo ai modelli che esistono nelle grandi democrazie occidentali: negli Usa il partito repubblicano quanti tesserati ha? Zero. Quanti finanziamenti pubblici ha? Zero. E, cosa molto più importante: che gente unisce?

Risponda lei.

Dai rivoluzionari liberali ai conservatori estremi dei T-Party. Perché noi non lo facciamo oggi? Eppure in passato lo avevamo già fatto. I partiti sono così perché gli uomini sono fatti così, ogni tanto ne viene fuori uno eccezionale che per una parte si è chiamato Bossi e per l’altra Berlusconi.

Ne ha anche per il Cav.?

Lo critico perché non fa più il Berlusconi. Anche se penso che abbia capito tutto: una volta me l’ha detto con una frase bellissima.

Racconti.

Io gli dicevo, Silvio siamo tutti più grigi, un tempo avevamo più fantasia, perché non riusciamo più a farlo oggi? Lui ha risposto così: Giancarlo, non fanno più gli specchi come una volta che ci facevano sembrare più belli e più giovani. Uno che ti risponde così, ha capito tutto.

In che senso gli rimprovera di non fare più il Berlusconi?

Una serie di cose: no so se non ne ha più voglia, se è sopraffatto dal senso di pessimismo per cui pensa che non ci si possa riuscire più o se hanno pesato i vari condizionamenti. Il cuore umano è un guazzabuglio. Io gli rimprovero di essere Berlusconi troppe poche volte, quando invece ne sarebbe ancora capace.

Eppure qualche errore lo ha commesso anche lui o no?

Il punto vero è che la gente si è sentita tradita da noi.

Il motivo?

Il primo è l’attuale architettura dello Stato che non ci ha consentito di mantenere le promesse di una rivoluzione liberale. Secondo: la Lega ci ha impedito quasi tutto, perfino l’abolizione delle province che era nel nostro programma elettorale. Terzo: Fini ha impedito la riforma della giustizia e lo dico a prescindere da un giudizio positivo o negativo. Così è stato anche per le riforme, come quella delle grandi liberalizzazioni negata da politiche corporative che altre componenti nel Pdl, certamente An e la Lega in modo evidente, hanno ostacolato.

Secondo lei cosa serve?

Io dico, riprendiamo in mano il programma del ’94 ma anche quello del 2008 e diciamo alla gente dateci più forza e lo realizzeremo.

Sì, ma come è possibile riconquistare la fiducia di quella parte di elettorato delusa?

Dici alla gente che questo è il nostro modello di Stato e se otteniamo il 51 per cento dei consensi lo attueremo. Bisogna essere onestissimi su questo. Anche perché con lo spread di nuovo in salita e la borsa che in un giorno perde cinque punti, sono evidenti due cose.

Quali?

La prima: quante balle hanno raccontato i giornali internazionali, nazionali, i critici, gli osservatori, gli analisti, l’opposizione. Secondo: i risultati in campo economico. Il punto è che c’è un gruppo ristretto di investitori mondiali che decidono dove dirottare le risorse e il compito degli Stati e dei governi è creare le condizioni per attrarre gli investimenti. Ed è anche l’amara costatazione che ormai i partiti non contano più granchè.

Sul finanziamento pubblico ai partiti lei in tempi non sospetti ha proposto il modello americano che oggi sembra tornato di moda nel dibattito politico. Ma l’Italia non è l’America.

E’ un modello al quale ho sempre guardato. Sono sempre stato per il finanziamento privato dei partiti come avviene negli Usa. Mi si contesta: ma così si alimenta la corruzione. Risposta: può essere, ma perché oggi in Italia non c’è la corruzione? C’è chi sostiene che si incentiverebbero le grandi aziende che garantirebbero risorse agli uni e agli altri. Risposta: e chissenefrega, lo fanno anche adesso. Potrei fare la lista di cento imprenditori veneti che davano qualcosa a noi del centrodestra perché vincevamo e qualcosa al centrosinistra perché non si sa mai. La differenza sostanziale è che da noi lo fanno di nascosto, in America è tutto alla luce del sole. La realtà è che la mia proposta è molto più radicale: io sono per l’abolizione dei partiti.

 Cioè?

Perché devono essere strutture così pesanti? Perché ci deve essere il radicamento sul territorio? Perché di devono essere le tessere e i congressi dove pesano le tessere? Io dico: torniamo ad ascoltare cosa vuole la gente, fermiamoci a ragionare.

Come giudica l’operato di Alfano alla guida del Pdl?

Sono sempre stato un sostenitore di Alfano. Dico che è il migliore che possiamo schierare perché corrisponde all’immagine di ciò che è stata ed ha significato Forza Italia nella storia del paese.

Che consiglio si sente di dargli?

Essere più coraggioso, più originale, più fuori dall’ordinario. Dovrebbe rendersi conto che la gente chiede qualcosa di nuovo rispetto ai partiti, anche come linguaggio. Vorrei dirgli di essere diverso dai politici tradizionali..

Dica la verità: cosa è successo tra lei e La Russa pochi giorni fa nel ‘parlamentino’ del Pdl?

Al di là di Gasparri che ha definito il mio intervento patetico, a La Russa ho detto, a proposito di come deve essere il partito, cioè inclusivo e non esclusivo, che in 19 anni di militanza in Fi che ho fondato in Veneto, poi nel Pdl, non ho mai usato la parola espulsione. L’unico invito che ho subito è stato questo. Non ho mai detto fuori quelli di An, ma da quelli di An ho ricevuto l’invito ad andarmene.

Le liste Forza ‘qualcosa’ nate a macchia di leopardo sul territorio. Qual è la sua opinione?

Sarebbe bene che un partito serio, aperto, che sa guardarsi dentro e attorno cercasse di capire perché stanno nascendo queste iniziative che non sono il frutto di un disegno, piuttosto il segnale di un malessere. Per aver rilanciato lo spirito del ’94 sono stato bollato come nostalgico, ma non ho nostalgia del passato, bensì delle idee che una volta erano la nostra bandiera e che noi abbiamo abbandonato.

Sì, ma liste alternative al Pdl provocano confusione e disorientamento nell’elettorato. Non crede?

E cosa si pensa di fare, di soffocare la rivolta nel sangue come si diceva per i moti popolari? Lo so anche io che è un male e a Verona hanno fatto bene ad espellere chi ha fondato Forza Verona, dopodiché la mia sollecitazione è a fermarsi a comprendere cosa sta succedendo, anziché invocare l’espulsione o ritenere che quanti la pensano diversamente siano tutti traditori.

Lei a Verona sta con Castelletti, candidato del Pdl, o con Flavio Tosi?

Con Castelletti, assolutamente. Sono però anche interessato a capire perché altri amici hanno scelto una strada diversa per comprendere dove hanno sbagliato loro e dove abbiamo sbagliato noi.

Lei è un bipolarista convinto, eppure lo schema in questi anni ha evidenziato criticità.

La grande innovazione conquistata fin qui è stato il bipolarismo. Ritengo che non sia da affossare ma da riformare. Il principio va tenuto saldo: un grande partito da una parte e un grande partito dall’altra che fungono da polo di attrazione capaci di includere nel proprio schieramento altre componenti. Per questo dico: Casini la smetta di puntare al proporzionale, non distrugga ciò che di buono è stato fatto in Italia negli ultimi 15 anni. E scelga! Non pieghi il sistema alle sue esigenze.  

Lei lo vede un Monti dopo Monti nel 2013?

No. Penso che tra un anno vinceremo le elezioni. Auguro alla sinistra di perderle col 45 per cento dei voti e al Pd di ottenere in quel 45 per cento, il 90 per cento dei consensi. Auguro alla mia parte di vincere col 55 per cento dei suffragi e al Pdl – non so se sarà lo stesso nel 2013 – di avere in quel range il 90 per cento dei voti.

L’alleanza con la Lega è archiviata in modo definitivo?

No. La politica la fa la gente e i nostri elettorati sono contigui. Ecco perché non credo che nel 2013 perderemo le elezioni: con un sistema bipolare lei ce lo vede un commerciante, un artigiano, un piccolo imprenditore a scegliere Di Pietro ministro dell’Industria? Per carità, poi tutto è possibile ma vorrei ricordare che in Veneto Cacciari ha perso con me di 17 punti perché forse è stato fatto qualcosa che varrebbe la pena guardare. L’unica opera pubblica dell’elenco fatto da Berlusconi a Porta a Porta è stata realizzata in Veneto, cioè il passante di Mestre. Come pure l’unico rigassificatore realizzato in Italia e l’opera di ingegneria idraulica più innovativa della storia dell’umanità: il Mose a Venezia.     

Dopo 20 anni in politica Galan che vuol fare da grande?

Vorrei tornare a sognare ciò che sognavo nel ’94 e magari non solo a sognarlo. Vorrei dare il mio contributo a partire dalla mia regione dove, ricordo, nella storia di Fi ha significato qualcosa di sensibilmente diverso dalle altre regioni: in Veneto Fi è stata dominante insieme alla Lombardia e qui come in Lombardia nessuno ha mai pensato di perdere le elezioni come avvenuto tra sconfitte e vittorie da altre parti. Anche questo vorrà pur dire qualcosa.

I rumors di Palazzo raccontano di un Berlusconi al lavoro per fondare un nuovo partito. E’ solo gossip politico?

Spero tanto lo faccia.