I partiti maggiori si mettano insieme e facciano riforme di sistema

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I partiti maggiori si mettano insieme e facciano riforme di sistema

15 Febbraio 2012

In queste ultime settimane, a ben tre mesi di distanza dall’insediamento dell’esecutivo dei professori, si è sentito ripetere con insistenza, soprattutto in ambienti giornalistici vicini al centro destra, che la crisi è stata una trappola tesa a Berlusconi da Napolitano (con la complicità di Tremonti). Simili elucubrazioni complottistiche, che tutt’al più possono servire a blandire ovvero a diseducare una fetta (non sappiamo quanto grande) dell’elettorato, mi paiono decisamente poco produttive.

Intendiamoci la lamentela è, almeno formalmente, non del tutto infondata. Non, ovviamente, nel senso del complotto, ma nel senso che un governo confortato dal voto popolare ha dovuto dimettersi. Tuttavia un simile ragionamento non tiene conto di una elementare legge aurea della politica, secondo cui le decisioni politiche sono il frutto, anche e soprattutto, di determinati rapporti di forza. Se i rapporti di forza sono sfavorevoli diventa inutile recriminare sull’accaduto. Più utile, invece, è cercare di trarre ammaestramento dai fatti. E, i fatti ci dicono che il governo era debolissimo, paralizzato da lotte intestine, incapace di scegliere.

Da un altro punto di vista occorre poi considerare che la soluzione del governo Monti non era la peggiore possibile. In altri termini, il commissariamento della maggioranza (e, ricordiamolo, dell’opposizione) è avvenuto da parte di un organo istituzionale di garanzia che non ha travalicato i limiti della sua azione e ha offerto un margine di manovra anche al PdL.

Non dimentichiamo che le cose potevano degenerare, perché l’offensiva dei settori politicizzati della magistratura era in corso. Con le dimissioni concordate di Berlusconi gli attacchi su quel fronte si sono improvvisamente smorzati. Tuttavia i problemi restano, resta soprattutto una debolezza che non è solo del PdL o del centro destra, ma dell’intera classe politica. Su questo conviene riflettere cercando di capire le ragioni di una simile condizione.

Volendo scarnificare il problema ai suoi termini essenziali possiamo dire che, a partire dal 1994 in avanti,  non si è mai riusciti a fissare un insieme di regole comuni per rafforzare la democrazia dell’alternanza, ma ciascuno dei due schieramenti si è sempre fatto egemonizzare, in termini culturali e politici, dalle componenti estreme. Per questo abbiamo avuto un bipolarismo polarizzato in cui a dettare i tempi e i modi del confronto politico sono state le minoranze rissose, veri e propri "partiti canaglia". Occorre però ricordare che questa condizione non è immodificabile, perché non dipende da una tara congenita dell’antropologia italiana, ma discende da precise condizioni politiche e da mancate scelte istituzionali.

Il recente confronto tra i due schieramenti per discutere di legge elettorale, regolamenti parlamentari e possibili riforme costituzionali condivise, ha fatto sperare, per un attimo, in un’inversione di tendenza. Purtroppo gli esiti di quel confronto si sono subito appannati, visto che si ventila il varo di una legge elettorale proporzionale, senza nessuna garanzia di un legame tra voto degli elettori e governo. In sostanza ancora una volta le forze politiche minori sembrano riuscire a condizionare in senso negativo il confronto tra destra e sinistra. Di fronte a simili sviluppi torna il rammarico per l’occasione persa nel 2009 con il referendum "Guzzetta".

Con la modifica prevista da quel referendum (che assegnava il premio di maggioranza solo al maggiore dei partiti della coalizione), le forze politiche polarizzate di ogni schieramento sarebbero state marginalizzate. Così si sarebbero create delle condizioni ottimali per un serio confronto sulle riforme istituzionali. Forse è giunto il momento di riproporre quel referendum. Poter discutere con serenità, tenendo una pistola puntata alla tempia dei ‘partiti canaglia’, sarebbe un’ottima cosa per la democrazia italiana.