I Pearl Jam non hanno mai voluto essere degli “uomini migliori”

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

I Pearl Jam non hanno mai voluto essere degli “uomini migliori”

I Pearl Jam non hanno mai voluto essere degli “uomini migliori”

27 Settembre 2009

 

Siamo a Seattle, pochi mesi prima del decisivo anno 1990, quando il chitarrista Mike McReady incontra il suo collega Stone Gossard e lo convince a ricontattare il bassista Jeff Ament per formare una nuova band.

Gossard e Ament suonavano insieme da sempre, avevano formato e sciolto i due gruppi storici dei Green River, la cui seconda metà formerà poi un altro gruppo fondamentale nel panorama del rock di allora e di oggi: i Mudhoney; e dei Mother Love Bone, con il cantante e pianista Andy Wood morto per overdose poche settimane prima dell’uscita del disco.

Era stata proprio la morte di Wood ad allontanare Ament e Gossard.

Ma l’imminente nascita del gruppo più importante della storia del grunge li stava riunendo.

I tre arrangiano cinque pezzi che aveva nel frattempo scritto Stone e li consegnano all’amico batterista Jack Irons, ex batterista dei Red Hot Chily Peppers, affinché li aiutasse a trovare un batterista e un cantante.

Irons spedisce la demo a un suo amico di San Diego che per campare fa il benzinaio tra una surfata e l’altra, oltre ad essere il cantante dei Bad Radio. Tale Eddie Vedder.

Quest’ultimo, colpito dalla musica innovativa della demo, scrive di getto i testi di tre canzoni, li incide, e li rispedisce al mittente.

I pezzi erano Once, Alive e Footsteps.

I tre di Seattle rimangono basiti e convocano d’urgenza il “Nuovo Jim Morrison” per assoldarlo nella band.

Nel frattempo anche il batterista Dave Krusen sposa la causa dei futuri Pearl Jam, e il gioco è fatto.

Per tutto il 1990 i cinque si esibiscono con il nome Mookie Blaylock, noto giocatore di basket locale, mentre lavorano all’incisione del primo disco e contemporaneamente a quella di un album in memoria di Andy Wood insieme a Chris Cornell e Matt Cameron dei Soundgarden.

A dicembre però, invitati dalla nonna di Eddie, Pearl, ad assaggiare la sua “magica marmellata”, i nostri rimangono (è il caso di dirlo) allucinati, e decidono di cambiare il nome del gruppo in Pearl Jam (marmellata di Pearl, appunto).

La nonna di Eddie era sposata con un nativo americano e, come da tradizione, aveva preparato la marmellata con il peyote.

Alcuni mesi dopo i dischi sono entrambi pronti, manca solo un titolo. E i nostri, in onore del tradito Blaylock, decidono di chiamarlo Ten, dieci, come il numero della sua maglia.

Ten è uno dei capolavori della discografia mondiale.

A Seattle in quel periodo c’era un grande fermento musicale, era stato girato addirittura un film sul fenomeno, al quale avevano partecipato anche i Pearl Jam sia come attori che come musicisti. Il fenomeno aveva preso il nome di grunge, “trasandato”, rifacendosi sia allo stile musicale che soprattutto all’abbigliamento dei musicisti. Ma in realtà non c’era un vero e proprio stile condiviso tra le band. Era più una questione geografica, e di atmosfere, oltre che di energia.

Fatto sta che Ten è considerato una delle pietre miliari del movimento.

Il sound del primo disco dei Pearl Jam è completamente nuovo, sembra composto da suoni innovativi suonati da dentro una caverna però. È un misto perfetto tra passato e futuro, con assoli continui ed eco su tutti gli strumenti, voce in primis.

Le melodie delle canzoni sono incredibili, dal rock pesante alle ballate, il tutto assemblato da un’atmosfera da falò sulla spiaggia durante un teletrasporto.

Il successo era scritto, e in un anno l’album vince il disco d’oro.

Vengono girati due video, ma dopo il secondo, quello di Jeremy, che vince praticamente tutto investendo la band di un successo inaspettato e in qualche modo indesiderato, Eddie e compagni decidono di non girarne più.

“Tra dieci anni non voglio che le persone si ricordino delle nostre canzoni come video” aveva dichiarato Jeff Ament in una delle poche interviste rilasciate dalla band.

Si crea così una grande attesa intorno al nuovo disco di Vedder e compagni, e, quando ad ottobre del 1993 esce finalmente Vs, i negozi di musica di tutta l’America vengono presi d’assalto.

Il disco vende un milione di copie solo nella prima settimana, e catapulta i Pearl Jam in cima a tutte le classifiche possibili.

Vs è un disco grezzo, di puro rock anni ’90. Lo spessore è incredibile a livello di virtuosismi, suoni e melodie. Il sound del gruppo funziona ancora nonostante il cambio di batterista (Dave Abbruzzese). Niente più caverne e falò, ma sabbia e fango.

Comincia il tour promozionale, da Chicago, a colpi di tutto esaurito. Ma dopo un paio di date la band, indignata dai prezzi troppo alti dei biglietti, scopre che Ticketmaster ci guadagna in nero una percentuale e decide di annullare il tour.

Abbruzzese si dissocia dalla battaglia ai prezzi e per tutta risposta il gruppo lo licenzia, chiamando finalmente Jack Irons, ottimo batterista e amico di tutti.

Il sound di Irons si sposa perfettamente con quello del gruppo, e la formula Gossard e Ament alla composizione dei pezzi e gli altri al perfezionamento, con i testi di Eddie e gli assoli di Mike, è infallibile.

Tuttavia il ’94 è un anno difficile per i Pearl Jam. Si vocifera che Stone e Eddie abbiano litigato. E il disco frutto della discordia è infatti un disco malato, in ogni senso.

Vitalogy esce a novembre del ’94 in un libretto nero con su scritto il titolo in oro.

Il cd è degli stessi colori della copertina, e il booklet è un insieme di testi, diagnosi e radiografie. I testi stessi trattano di morte, dipendenza da alcool, ingiustizie, e, con la famigerata Better Man, prima canzone composta testo e musica da Eddie, i fatti personali del cantante e della madre che avrebbe potuto trovare, appunto, un “uomo migliore”.

Dal punto di vista musicale Vitalogy è fantastico: ancora rock puro e puramente anni ’90, ma con le prime sperimentazioni musicali psichedelico tecnologiche. Ci sono quindi canzoni sperimentalissime come Tremor Christ, Pry To, Bugs, Aye Davanita e Hey Foxymophandlemama, inserite in un contesto di sound unico al mondo, che rende il disco l’ennesima perla regalata dal gruppo alla discografia mondiale.

Anche quest’album schizza subito in testa alle classifiche, e di nuovo i Pearl Jam vincono tutto ciò che era possibile vincere in termini di riconoscimenti ufficiali.

Nel ’95 la band, ormai amica di Neil Young, collabora con lui alla realizzazione di Mirrorball, disco nominalmente di Neil Young, ma solo per problemi discografici.

Esce comunque anche un singolo dei Pearl jam, Markinball, con la stessa formazione di Mirrorball ma con Eddie alla voce e non più ai cori.

Entrambe le canzoni di Markinball sono scritte da Eddie Vedder, che è ormai compositore attivo nel gruppo.

Ma i problemi tra Eddie e Stone pare non si dissolvano nemmeno dopo l’esperienza con Neil Young, e il frutto del nuovo lavoro in studio di registrazione è un capolavoro di disomogeneità, intitolato infatti No Code.

La custodia di No Code è di nuovo cartonata (tutti i dischi da Vitalogy in poi lo saranno), con decine di foto sia in copertina che al posto del booklet e i testi scritti dietro alle foto.

Nel disco ci sono pezzi scritti sia da Eddie che da Mike, oltre che dai soliti Stone e Ament, e variano dal punk alle ballate acustiche, passando per il sound cavernoso di Ten e gli assoli di armonica sulla chitarra acustica figli dell’esperienza con Neil Young.

Una canzone, addirittura, non è cantata da Eddie, ma da Stone.

Il tutto però è tenuto insieme dal sound invincibile del gruppo, che rende comunque No Code ancora un capolavoro regalato dai Pearl Jam alla musica mondiale.

No Code esce il 27 agosto del 1996, e schizza subito in testa a tutte le classifiche.

Dopo l’uscita del disco, finalmente, Eddie e Stone fanno pace e l’atmosfera si distende. Il gruppo torna a lavorare di concerto al nuovo disco e lo fa con un progetto serio.

Yield esce il 3 febbraio 1998 ed è un disco vero. Ma è molto innovativo rispetto al sound che ha contraddistinto i Pearl Jam fino ad allora: è sempre rock, ma un rock quasi pop, a tratti.

Torna la sperimentazione, torna la compattezza, ma l’aver lasciato le sonorità più tipiche del grunge è un “peccato” che alcuni fans non perdoneranno ai Pearl Jam.

Eddie e Mike scrivono più della metà dell’album, e c’è addirittura una canzone di Irons.

Ma la formazione è comunque la stessa, e il sound, nonostante i tentativi di cambiamento, rimane sempre fantastico. Quindi anche Yield, nonostante tutto, è l’ennesima perla regalata dai Pearl Jam alla storia della discografia.

Dopo cinque anni viene finalmente anche girato un video, Do the Evolution, prima canzone in carriera in cui Vedder usi la parola baby, anche se in modo sarcastico.

Ma, nonostante il video, l’album non vende quanto sperato.

Sotto la pressione dei fans in più, per assurdo, i Pearl Jam sono costretti a cedere a Ticketmaster per l’organizzazione del tour: è vero che la politica contraria ai prezzi alti dei biglietti era in loro favore, ma gli stessi fans volevano vedere i propri paladini dal vivo, e tra concerti annullati ed esibizioni in luoghi poco capienti era un’idea condivisa che si dovesse cedere all’organizzatore egemone per godersi un tour in santa pace.

Ma Irons non appoggia la scelta e lascia il gruppo.

Nel frattempo i Soundgarden, altra band paladina del grunge, si sciolgono e il batterista Matt Cameron, già collega dei Pearl Jam ai tempi del disco in memoria di Wood, entra in pianta stabile nel gruppo, cominciando subito dal tour mondiale organizzato da ticket master.

Matt Cameron è un batterista eccezionale e va d’accordissimo con tutti i componenti del gruppo, l’atmosfera ne giova e la band si sente rinata. Ma il suo sound invasivo e martellante, sempre presente, stravolge completamente il groove della band, in un modo che però ai Pearl Jam piace.

E piace così tanto che, dopo anni di attività e di registrazioni illegali che giravano per il mondo, decidono di pubblicare il primo live ufficiale.

Effettivamente il nuovo sound dei Pearl Jam non è male, ma è così diverso da quello passato che moltissimi fans si sentono traditi.

Quello stesso anno la band pubblica un singolo i cui ricavati andranno in beneficenza alle vittime della guerra in Kosovo. Il singolo è Last Kiss, composto di due cover di altrettante ballate degli anni sessanta.

Last Kiss riporta i Pearl Jam sulle vette dell’olimpo del mercato della musica, e forse, di fronte a questo successo, c’era da chiedersi qualcosa.

Nel 2000 i Pearl Jam si rimettono in studio, e Matt Cameron è un compositore attivo a tutti gli effetti.

I tempi in cui Jeff Ament e Stone Gossard erano gli unici a scrivere le canzoni sono ormai la preistoria del gruppo. Ne viene fuori Binaural, un buon disco rock, sempre con sfumature pop. Ma il sound del gruppo è molto cambiato. Il disco non suona come i vecchi tempi, e le vendite ne risentono ulteriormente.

Con l’arrivo di Matt Cameron il sound dei Pearl Jam concede molto alle nuove sonorità del mercato della musica, e propone un rock tecnologico, un “rocknologico” si potrebbe dire.

Ma i Pearl Jam stanno bene e si piacciono, e per regalare ai fans un’altra emozione decidono di pubblicare dei live ufficiali di tutte le date del loro tour mondiale, pubblicando 72 live in un anno e battendo tutti i record di pubblicazione possibili. I live tra l’altro vendono anche molto bene, ed è di nuovo un buon momento per la band.

Il vero cambiamento però è alle porte, e avviene nel 2002, con l’uscita di Riot Act.

Rioct Act di grunge ha veramente poco, e, dopo dieci anni di attività, probabilmente questo è un bene. Il suono è completamente nuovo, anzi, sembra si stia quasi più attenti ai suoni che non a suonare, e questo non piace ai più. Infatti Riot Act dal punto di vista di vendite è il picco più basso della storia della band: non supera le 500.000 copie, vendendo quindi la metà di quanto avevano fatto Vs e Vitalogy solo nella prima settimana.

C’è molta sperimentalizzazione, molta ricerca, e tanta tanta batteria. Ma è comunque un album vero, con un’idea rispettata dall’inizio alla fine, innovativo. Ma la gente non era ancora pronta a riceverlo.

Ament stesso ammette che il sound della band è cambiato e che secondo lui dovrebbero addirittura cambiare nome.

La custodia si presenta con gli stessi colori di Vitalogy, ma addirittura con gli scheletri di un re e di una regina in copertina.

Era stato un anno duro quello che aveva preceduto l’uscita dell’album: Eddie aveva divorziato dalla moglie, e a Mike si era acutizzato il morbo di Crohn, malattia che colpisce l’apparato digerente.

In più, a un loro concerto tenuto in un festival in Danimarca, erano morte nove persone schiacciate dalla folla, e l’evento traumatizzò seriamente l’intera band.

Infatti in Rioct Act non c’è nessun pezzo scritto da Mike, mentre ce ne sono ben tre di Cameron, e i testi di Eddie sono iper depressi e quasi banali. Basti citare i titoli I Am Mine (io appartengo a me stesso) e Love Boat Captain (il capitano della nave dell’amore, con la “o” di love fatta con il cuoricino…) e l’agghiacciante ritornello di You Are: “Love is a tower of strenght to me” (l’amore è una torre di forza per me) che dopo la seconda strofa diventa “You are a tower of strenght to me”…

Qualcosa evidentemente non andava.

Dopo l’uscita di Rioct Act i Pearl Jam si prendono la pausa più lunga della carriera tra un disco e l’altro, pubblicando due raccolte ed alcuni DVD, e solo nel 2006 esce Pearl Jam, album omonimo della band che segna un netto ritorno a sonorità grezze e rock stile anni ’90.

McReady nel frattempo è guarito e partecipa alla composizione del disco con quattro pezzi fantastici, e Eddie, che dal 2004 convive con una modella di fama internazionale e ha avuto da lei una bambina stupenda, è pieno di carica da tirar fuori.

Il sound di Cameron trova finalmente una sua collocazione all’interno del groove del gruppo, e anche dal punto di vista di vendite le sorti si risollevano.

Non mancano gli spazi per delle timide innovazioni, ma Pearl Jam segna in qualche modo un ritorno alle origini per la band.

Ma non era questa la direzione che il gruppo voleva prendere, e finalmente, venerdì 19 settembre 2009 esce in tutto il mondo Back Spacer, nono lavoro della band.

La “rocknologia” di Rioct Act torna a fare capolino, ma con un groove finalmente funzionante e positivamente innovativo. Nei picchi più alti del disco sembra quasi di rivivere le atmosfere cavernose di Ten, ma attraverso vie completamente nuove, fatte di suoni e sonorità modernissime, con le quali finalmente la voce di Eddie si sposa che è una meraviglia, e gli assoli di Mike idem. C’è sempre quella vena “pop” che ha segnato il cambiamento dal 2000 in poi, ma nella sua versione più rock da allora. I pezzi migliori dell’album infatti sono proprio quelli, mentre quelli puramente rock sono quasi inutili, ormai.

Anche le canzoni acustiche di Eddie, figlie della sua esperienza solista per la colonna sonora di Into the Wild, film di Sean Penn, sono poco Pearl Jam.

Questo è il disco della “quasi” maturità.

Ma è giusto anche che sia ancora un quasi, in fondo siamo nel decennio sbagliato ed è il nono disco. Per fare le cose in grande stile aspetteranno il prossimo, che sarà il decimo, pubblicato negli anni dieci dopo che il primo lo hanno chiamato Ten.

Chissà, forse quel titolo era un avvertimento. Magari il nuovo album uscirà il prossimo anno, il 10 ottobre. Cioè il 10/10/10…

Staremo a vedere.