I pirati somali all’arrembaggio di un’altra nave italiana
22 Aprile 2011
È ancora nelle mani dei pirati la motonave italiana Rosalia D’Amato, assaltata giovedì scorso nel mar Arabico da due motoscafi con a bordo una decina di uomini armati di origine somala. Il cargo carico di soia della società armatrice di Napoli “Fratelli D’Amato” era partito dal Brasile per giungere in Iran con un equipaggio di 22 persone, sei italiani (quattro campani, due siciliani) e sedici filippini. I pirati avrebbero costretto il comandante a dirigere la motonave italiana verso le coste somale. “A bordo stanno tutti bene”, fa sapere l’unità di crisi della Farnesina.
Intanto, la procura di Roma ha aperto un’inchiesta sul sequestro del mezzo ipotizzando reati di pirateria e di sequestro a scopo di terrorismo, mentre la Confederazione Italiana Armatori (Confitarma) accusa il Governo italiano di sottovalutare il problema della pirateria. Secondo Paolo d’Amico, presidente Confitarma, “non abbiamo ancora ricevuto alcun riscontro né a livello parlamentare, in merito ai cinque disegni di legge parcheggiati da un anno alla Camera e al Senato e concernenti il possibile imbarco di personale armato sulle nostre navi, né a livello governativo, in particolare dal ministro della Difesa, al quale da mesi ho chiesto un incontro urgente per identificare un’ adeguata strategia di difesa attiva".
Parole dure quelle di d’Amico ma confermate dal fatto che solo da inizio 2011 la Rosalia D’Amato è la seconda imbarcazione italiana ad essere presa in ostaggio dai pirati somali: a febbraio la petroliera Savina Caylyn (anch’essa di proprietà degli armatori D’Amato) era stata abbordata e si trova ancora nelle mani dei pirati che ora hanno in ostaggio due navi di bandiera italiana con 43 marittimi, di cui 11 connazionali. Dal 2009 ad oggi sono state almeno otto le navi italiane attaccate o sequestrate.
L’International Maritime Bureau ha registrato nel primo trimestre del 2011 un incremento delle attività dei pirati somali di oltre un terzo rispetto al 2010 con 142 attacchi in tutto il mondo e 18 navi sequestrate, di cui 15 catturate al largo della costa orientale della Somalia. Quasi 300 persone sono state rapite e l’ultimo conteggio, datato 31 marzo, ha mostrato che i filibustieri di Mogadiscio tengono prigionieri 596 membri di equipaggi mercantili e ben 28 navi.
Il problema della pirateria è una spina nel fianco di tutte le nazioni mondiali, eppure nell’agenda politica del ventunesimo secolo ancora manca una risposta collettiva, soprattutto perché una volta arrestati i pirati non possono essere trattenuti dalle giurisdizioni dei vari paesi. Sicché, ogni nazione reagisce in maniera diversa agli attacchi dei pirati: se a Pechino vengono immediatamente processati e giustiziati via fucilazione, a Ryiad il regime saudita ha scelto di negoziare; la marina indiana, al contrario, è solita aprire tranquillamente il fuoco. Gli Emirati Arabi Uniti doneranno 1,4 milioni di dollari al fondo internazionale per la lotta alla pirateria marittima.
Intanto, in comune si hanno solo gli alti costi da pagare visto che, secondo la BGN Risk, società britannica per le analisi dei rischi aziendali, le spese per difendersi dai dirottatori nel settore del trasporto marittimo potrebbero ammontare a 400 milioni di dollari l’anno. Ogni missione dei pirati, invece, costa soltanto 30.000 dollari anche se per intascare un congruo bottino sono necessarie almeno quattro operazioni congiunte.
L’Unione africana ha esortato le Nazioni Unite a inviare in fretta forze di pace in Somalia per controllare le moderne Île de la Tortüe. E’ infatti la stabilizzazione della Somalia la chiave per sconfiggere una minaccia alla sicurezza, quella della pirateria, che sembra sempre più difficile da contenere.