I pm milanesi vanno avanti, ormai è un processo politico
27 Giugno 2008
C’è un’oscura ossessione che sembra non dare pace a buona parte della magistratura di Milano, soprattutto inquirente: si chiama Abu Omar. Oramai processare a tutti i costi la ex rete della Cia in Italia e i presunti complici all’interno dell’ex Sismi, a cominciare dall’ex direttore Nicolò Pollari, è diventata per loro un imperativo categorico di kantiana memoria.
A costo di spendere milioni di euro, di opporsi a ben tre governi differenti davanti alla Corte costituzionale su una materia delicata come il segreto di stato e magari di mettere a repentaglio le relazioni diplomatiche, militari e di sicurezza che legano Roma a Washington. Non c’è segreto di stato che tenga. Sia che lo abbia apposto l’ex presidente del consiglio Romano Prodi sia che si appresti a rinnovarne l’apposizione l’attuale premier Silvio Berlusconi.
E neppure le future sentenze della Corte costituzionale, che ieri ha preliminarmente ammesso il conflitto di attribuzione tra poteri dello stato sollevato dall’attuale esecutivo contro la quarta sezione del tribunale di Milano (che nel frattempo sta procedendo nel dibattimento), spaventano i giudici di Milano. Anche se questi sanno che tutte le loro “fatiche” potrebbero venire invalidate da una pronunzia nel merito in cui la Consulta potrebbe dichiarare preminente l’interesse dello stato a non rivelare segreti sulle “extraordinary renditions” dei terroristi islamici, specie quando coinvolgono paesi stranieri nostri tradizionali alleati, loro vanno avanti come carri armati.
Perché Abu Omar deve avere giustizia. E’ ormai una questione politica. Poco importa che il signore in questione sia stato sospettato di essere un reclutatore di kamikaze e siano state accertate le sue prediche di odio nella moschea di viale Jenner. Poco importa se in Egitto viene considerato un criminale. E nessuno ha pianto una lacrima sul suo rapimento.
Quello che interessa, o almeno sembra interessare, i giudici di Milano è condannare l’ex capo del Sismi Nicolò Pollari per potere così chiudere la dimostrazione del teorema dei servizi deviati all’epoca del Berlusconi ter. Peraltro tutti sanno che anche la Digos teneva d’occhio Abu Omar per sospetti di collegamento con il terrorismo islamico internazionale. Il filo del terrore che si dipanava attraverso molti frequentatori delle moschee milanesi portava agli attentatori dell’11 settembre, a quelli della stazione di Madrid (vedi Osman Rabei), ai mujaheddin legati ad Al Qaida (tra i tanti l’egiziano Abdelkaer Es Sayed e l’algerino Hafed Remadna, segretario dell’imam di viale Jenner).
Ma di quelle inchieste non sembra essere rimasto niente. Era più importante indagare su chi ha fatto la lotta al terrorismo islamico magari usando metodi spicci. Anche se poi, proprio nelle more del processo Abu Omar, è venuto fuori che le “extraordinary renditions” le aveva inventate Clinton in America e avallate anche il governo di D’Alema in Italia all’epoca dei conflitti nei Balcani.
Così oramai siamo arrivati al terzo conflitto sollevato da un’autorità di governo in Italia per fermare la morbosa curiosità dei giudici di Milano sui retroscena istituzionali e internazionali del caso di Abu Omar. Il primo lo aveva sollevato il governo Berlusconi ter, il secondo quello di Prodi e adesso il terzo, lo scorso 28 maggio, di nuovo Berlusconi. La Corte costituzionale deve ancora decidere nel merito e questo non va a suo onore perché intanto la situazione sta precipitando. Ma i magistrati di Milano, che pure avrebbero potuto, come chiesto dalle difese di Pollari e altri imputati, sospendere il processo in corso, sono invece andati avanti come dei treni.
Non solo: hanno preteso l’audizione di alcuni testimoni caldi dell’inchiesta, che a loro volta potrebbero chiedere al premier di porre il segreto di stato sulla loro deposizione, e hanno anche fatto acquisire i dati sensibili dei rapporti dell’ex Sismi senza gli omissis messi proprio da Prodi. Tutto questo iperattivismo sta irritando non poco gli americani, specie in tempo di elezioni presidenziali. Negli ambienti diplomatici di oltreoceano si chiedono come possa la pur legittima curiosità di un paio di pm milanesi contare di più del presidente del consiglio, della Corte costituzionale, della ragion di stato e dell’alleanza tra Usa e Italia.