I primi 10 giorni di La Russa partono dal Libano
15 Maggio 2008
Appena giunto a Palazzo Barachini si è visto scoppiare come una bomba la questione Libano. Il ministro La Russa non si è scoraggiato e si è calato immediatamente nella parte. Non ha battuto ciglio, anche se il colpo di stato di Hezbollah porta con sé pesanti interrogativi sul futuro e il senso della missione UNIFIL, che adesso si ritrova ad operare in un contesto radicalmente cambiato. Ancora martedì, in un’intervista rilasciata a Rep., La Russa aveva affermato che “i militari italiani resteranno in Libano e non ci sono ragioni particolari per una radicale modifica degli obiettivi e della natura della missione. Non è urgente parlare delle regole di ingaggio visto che non è un problema solo dell’Italia, e anzi continuare a parlarne sarebbe un errore. In Libano non ci sono situazioni di accresciuto allarme, i nostri soldati oggi fanno esattamente quello che facevano un mese fa, per il momento non vedo particolari ragioni per una radicale modifica di obiettivi e natura della missione".
Queste le parole che confermano un orientamento della Difesa e del governo Berlusconi, peraltro già delineatosi sul finire della campagna elettorale, improntato alla prudenza. Ci sono gli alleati da sentire e, soprattutto, un’eventuale modifica del mandato di UNIFIL spetterebbe solo al Consiglio di Sicurezza. Ragion per cui nessun tipo di decisione unilaterale avrebbe una logica. Resta però il problema di una realtà libanese che non è più quella di un mese fa. Il governo Siniora è uscito di fatto esautorato dal confronto con Hezbollah, privo della capacità di far rispettare le proprie decisioni e di usare le Forze Armate per riportare l’ordine. Adesso diventa molto più difficile per UNIFIL raggiungere i suoi obiettivi, che non sono solo d’interposizione a sud del Litani tra Hezbollah e Israele, ma anche di sostegno al governo Siniora e alle Forze Armate libanesi.
Il neoministro La Russa, nei prossimi giorni, forse anche nelle prossime ore, si recherà proprio in Libano: il modo migliore per toccare con mano la situazione delineandone un quadro più preciso. Non sappiamo se il ministro incontrerà anche lo stesso Siniora. La Russa, al rientro dal suo viaggio, potrà riferire al governo e solo dopo di allora potranno essere fatte valutazioni più approfondite su un eventuale ripensamento della nostra partecipazione alla missione UNIFIL.
Naturalmente non c’è solo il Libano nell’agenda del ministro. C’è dell’altro, dall’impegno in Afghanistan alla riforma delle Forze Armate fino ai problemi di bilancio. In Afghanistan, la decisione di rivedere la disposizione e l’organizzazione del nostro contingente – concentrandolo su Herat – è già stata presa dal precedente governo e non c’è ragione di tornare indietro. A partire da agosto, quando scadrà il nostro turno di comando a Kabul, la presenza nella capitale verrà ridotta a circa 500 uomini contro i 1.500 attuali. Questo consentirà di ridislocare nuove truppe nel settore ovest, dove già adesso ha iniziato ad operare il Comando della Brigata Friuli, che a breve quest’ultimo potrà contare su un battaglione con quasi 800 uomini operativi. L’augurio è che a questo battaglione se ne aggiungerà un altro entro il 2008 o al massimo entro l’inizio del prossimo anno, per incrementare maggiormente le capacità operative del dispositivo. Sarebbe pertanto auspicabile che da parte del nuovo ministro giungesse una forte iniziativa d’indirizzo che, magari già in occasione della prossima discussione parlamentare sul rifinanziamento, porti ad un incremento del limite organico della missione fissato dal precedente parlamento.
Tra un mese s’inizierà a discutere anche di DPEF: l’occasione per gettare le basi del prossimo anno finanziario. Sarebbe già un buon punto di partenza riportare la Funzione Difesa all’1% del PIL. Già l’ultimo centro-sinistra, pur con tutti i suoi problemi di compattezza, aveva cercato di arrestare la tendenza al sottofinanziamento dello strumento militare che si era purtroppo affermata con la precedente esperienza del governo Berlusconi. Inutile dire che bisogna continuare su questa strada e porre le basi affinché nei prossimi anni si possa aspirare alla famosa quota 1,5%, comunque sempre abbondantemente al di sotto della media di Francia e Regno Unito. All’incremento dei finanziamenti dovrebbe inoltre accompagnarsi un loro riequilibrio. Ancora nell’ultimo bilancio, il 67% delle spese è stato assorbito dal personale. Troppo se si pensa che una proporzione giudicata ottimale vorrebbe un 25% di spese per il mantenimento, un altro 25% per la modernizzazione ed un 50% per il personale. Anche in questo caso c’è una tendenza da invertire: ne va della modernizzazione dello strumento e, soprattutto, del suo mantenimento in efficienza.
L’altra grande questione è la riforma delle Forze Armate, ormai indifferibile. Sulla questione La Russa non si è ancora espresso, anche se, appena ricevuto l’incarico, ha detto che si batterà per ridurre le forme di precariato che si vanno diffondendo sempre di più anche nelle Forze Armate. Il problema esiste, non c’è dubbio; ma è un problema che deve essere affrontato in stretto collegamento con la vicenda della revisione del modello professionale a 190.000 uomini e non come un capitolo separato.
Da tempo, ormai, ci si è accorti che il suddetto modello non è sostenibile con un bilancio della Difesa al di sotto dell’1 per cento del PIL. Lo Stato maggiore ha già elaborato una serie di proposte per ridurre l’organico a non più di 165.000 uomini. E’ chiaro però che una decisione del genere è squisitamente di natura politica. Il governo Prodi aveva iniziato ad affrontare la questione, ma poi alcune resistenze, insieme alla sua caduta, hanno riportato tutto in alto mare. Ora è necessario riaprire il dossier e sedersi nuovamente ad un tavolo, anche perché Prodi, impossibilitato ad operare una drastica revisione numerica del personale per evitare possibili smottamenti all’interno della propria coalizione di governo, aveva agito indirettamente bloccando i nuovi reclutamenti: 7/8.000 nuovi volontari in meno nelle ultime due finanziarie. Una tendenza che, dovesse consolidarsi, rischierebbe di sbilanciare le nostre Forze Armate a favore delle componenti più anziane, e quindi meno operative. Le tabelle organiche sono sotto gli occhi di tutti: il 40% in più dei marescialli rispetto a quanto previsto ed ancora una sproporzione notevole tra ufficiali e sottufficiali e ruolo truppa.
Se, allora, revisione deve essere, che questa interessi i settori dove realmente sono concentrati gli esuberi. Le proposte – come quelle del reimpiego del personale in uscita in altre aree dell’amministrazione civile dello Stato – ci sono. E’ necessario, tuttavia, che su una questione così delicata, che potrebbe avere delle conseguenze notevoli sul piano sociale, si sviluppi un ampio e, possibilmente, trasparente dibattito politico che coinvolga anche componenti dell’opposizione. A questo auspicio ne aggiungiamo un altro. Ovvero che questo dibattito venga accompagnato dalla stesura di un Libro Bianco, o da una legge di programmazione militare, sul modello di quelle che regolano la politica militare francese, che orienti la politica di sicurezza e difesa del governo Berlusconi per l’intera legislatura. Ministro La Russa: accolga questo auspicio e lo trasformi in realtà.