I primi 10 giorni di Maroni e Alfano partono dalla sicurezza
13 Maggio 2008
Inasprimento delle pene per i reati di maggior allarme sociale, lotta serrata agli ingressi irregolari degli stranieri, celerità del processo e certezza della pena, anche a discapito dei consolidati benefici penitenziari garantiti dalla famosa (e datata) legge Gozzini.
Il “piano sicurezza” del Governo Berlusconi è già pronto e sembra destinato ad essere discusso e probabilmente approvato, nella forma del Decreto Legge, già nel corso del Consiglio dei Ministri, che si terrà venerdì.
Sembra addirittura che sia stato proprio il Cavaliere, che nel corso della campagna elettorale non ha mai fatto mistero di avere particolarmente a cuore il tema della sicurezza, a predisporre, con l’aiuto del suo avvocato, che da sempre lo assiste anche in Parlamento sulle questioni di Giustizia, l’onorevole Niccolò Ghedini, il testo del provvedimento, che pure ufficialmente porterà la firma di Maroni e Alfano, appena insediatisi alla guida del Viminale e di via Arenula.
Il neo ministro leghista è, in primo luogo, intenzionato a far assurgere l’immigrazione clandestina ad una nuova ed autonoma figura di reato.
Più in generale, Maroni ed il suo partito vogliono impostare, sin dalle prime battute, un lavoro volto in modo deciso a combattere l’immigrazione illegale, andando così a toccare il tema centrale, intorno al quale si misurerà tutta la politica della sicurezza del Pdl. Sulla questione dei clandestini e degli immigrati si concentrano, infatti, le maggiori aspettative dei cittadini, non solo di area leghista, ed occorrerà approntare un progetto estremamente valido per evitare di suscitare perplessità sotto il profilo della compatibilità con l’Ordinamento dell’Unione Europea, anche perchè da Bruxelles è da subito trapelata una scarsissima disponibilità ad accettare compromessi sul tema della libera circolazione dei cittadini comunitari.
Il piano sicurezza prevede poi che la pena minima per il reato di rapina sia portata a sei anni di reclusione e che sia introdotto l’arresto in flagranza per chi guida in stato di ebbrezza.
Sul fronte processuale, si punta all’ampliamento della possibilità di ricorrere al processo per direttissima nei casi di flagranza di reato, mentre su quello carcerario, sono previsti interventi relativi sia alla sospensione condizionale della pena, destinata a perdere il connotato dell’automaticità e ad essere subordinata ad una serie di obblighi, primo tra tutti il risarcimento nei confronti della vittima del reato della pena, sia ai benefici penitenziari, l’accesso ai quali sarà negato ai recidivi e comunque limitato a fronte dei reati che destano maggiore allarme sociale.
Il Decreto legge del Pdl, ha affermato lo stesso Ghidini, non ricalcherà, tuttavia, il pacchetto che, nelle ultime battute, il Governo Prodi non era riuscito ad approvare, perché non ci saranno interventi su custodia cautelare e processi in corso, quindi non saranno toccate le garanzie.
E’ chiaro, però, che proprio dal raffronto con il fallimento sul tema della sicurezza del vecchio esecutivo, incapace di compattarsi anche su questioni così urgenti e sentite dai cittadini, potrà emergere il rinnovato spirito della coalizione guidata da Berlusconi, chiamata a dimostrare una capacità di intervenire finalmente svincolata dalle logiche di compromessi e trattative che hanno ostacolato, negli ultimi quindici anni, il percorso di chi è stato chiamato a governare.
La vera sfida del Cavaliere però è un’altra e gli sta altrettanto a cuore, come dimostrano proprio le parole pronunciate da Niccolò Ghidini.
Il Pdl dovrà riuscire a coniugare il giro di vite sulla sicurezza e sull’immigrazione con l’attenzione nei confronti delle garanzie processuali, con lo scrupoloso rispetto del principio di non colpevolezza e con la lotta all’ingerenza ed al protagonismo dei una certa magistratura: non dovrà, insomma, rinunciare al proprio garantismo, che è da sempre il caposaldo della politica giudiziaria berlusconiana.
Di Pietro e i suoi non tarderanno a parlare di una giustizia forte con i più deboli e debole con i più forti.
Questa volta però sono state le urne a smentirli in anticipo: i cittadini hanno, infatti, dimostrato di avere una visione della società completamente diversa.
Il ceto debole non è composto da chi delinque, ma dalla classe meno abbiente, più esposta ai reati comuni e poco tutelata da politica e magistratura, incapaci di proteggerli perché impegnate in litigi interni o in gare di popolarità sulle reti televisive.
E’ dalla Giustizia che i cittadini si aspettano di ottenere sicurezza e, questa volta, sembra proprio che ci siano tutte le condizioni per partire con il piede giusto, senza condizionamenti e suggestioni.