I primi cento giorni di Obama tra Gaza, Iran e crisi economica
12 Gennaio 2009
A mezzogiorno esatto del prossimo 20 Gennaio, Barack Hussein Obama presterà il giuramento che lo incoronerà ufficialmente 44esimo presidente degli Stati Uniti. A dieci giorni dall’Inauguration day, la città di Washington è in fermento per un evento che ha qualcosa di eccezionale. Dalle stime sembra che la capitale degli Usa ospiterà dal milione e mezzo ai quattro milioni di persone. I residenti sono già pronti a fare affari. Sui siti internet come Craiglist appaiono annunci di case in centro in affitto per 15 mila dollari per i giorni dell’inaugurazione.
Intanto gli Obama sono rientrati da un periodo di ferie alle Hawaii e hanno preso alloggio in un lussuoso hotel a pochi passi dalla Casa Bianca. La moglie Michelle, come ogni buona madre americana, la mattina accompagna le figlie a scuola. Quello che la distingue dalle altre è la scorta armata che consente tra le altre cose di saltare i semafori. Così il primo giorno di scuola le piccole Obama – seguite da tutti i media nazionali – sono arrivate in classe con mezz’ora di anticipo.
Nel periodo di pre-insediamento Obama sta mantenendo un profilo abbastanza basso e ha evitato di sovrapporre i suoi interventi a quelli del presidente Bush, ancora in carica. Anche in occasione della crisi di Gaza, Obama ha risposto alla stampa che insisteva chiedendogli quale fosse la sua opinione dicendo che “non può esserci più di un presidente alla volta” e gettando nella delusione i grandi network come
Con motivazioni analoghe, il presidente in pectore ha evitato di fare dichiarazioni su argomenti di politica estera. Peraltro molti osservatori si domandano quanto la politica estera dell’amministrazione Obama potrebbe discostarsi da quella del suo predecessore. A quanti, soprattutto in Europa, avevano visto in Obama una sorta di icona pacifista, non resterà che prendere atto che difficilmente il presidente ritirerà le truppe dall’Iraq, in contraddizione con il patto recentemente firmato con il governo iracheno. E, per quanto riguarda l’Afghanistan, esiste già un impegno ad aumentare il contingente americano in quel paese.
Obama si è concentrato alacremente sulla formazione del prossimo governo, con qualche incidente di percorso. Bill Richardson, governatore dello Stato del New Mexico, è incappato nell’accusa di avere truccato una gara d’appalto e ha dovuto declinare l’importante offerta di diventare ministro del Commercio. Richardson, di madre messicana, aveva giocato un ruolo importante nella campagna elettorale per attrarre verso Obama i voti dei “latinos”.
Obama ha avuto un occhio di riguardo per il sud-ovest degli Stati Uniti, nominando Janet Napolitano, governatore dell’Arizona d’origine italiana, segretario degli Homeland Affairs e Ken Salazar, governatore del Colorado, segretario degli Interni. Ma soprattutto parte dell’elettorato democratico ha applaudito la nomina di Hillary Clinton a Segretario di Stato, che per molti è stata una scelta fatta con determinazione e mostrando sicurezza di sé. I repubblicani, invece, sono stati soddisfatti dalla riconferma di Robert Gates alla Difesa, ma anche dalla nomina del generale James Jones come Consigliere della Sicurezza Nazionale, un’altra mossa che indica come la politica di Obama non sarà molto diversa da quella di Bush.
L’ultima nomina in ordine di tempo è stata quella di Leon Panetta a capo della Cia. In precedenza Obama aveva designato l’ammiraglio Dennis Blair come direttore dell’intelligence nazionale. Nessuno dei due uomini ha un’esperienza diretta nel “Grande Gioco” né con gli ambienti a questo correlati. La mossa di Obama viene interpretata come un segnale di cambiamento soprattutto per quanto riguarda gli abusi che le agenzie spionistiche hanno praticato negli ultimi anni, in particolare – come dicono i media americani – per l’uso della tortura e quello “indiscriminato” delle intercettazioni telefoniche.
Il segno più tangibile del cambiamento Obama lo porterà nella politica economica interna. Nei giorni scorsi il presidente ha fatto una visita a Capitol Hill per caldeggiare l’approvazione della sua proposta di legge tesa a favorire la ripresa economica. Si tratta di un pacchetto da 775 miliardi di dollari che prevede tagli alle tasse dell’ordine di 300 miliardi di dollari. Se approvato, il piano, della durata di due anni, dovrebbe, almeno nelle intenzioni, produrre sensibili e immediati miglioramenti nella busta paga dei lavoratori, rianimando i consumi dello spento mercato interno. “L’economia è molto malata – ha detto Obama – e dobbiamo agire adesso per interrompere l’andamento della recessione”.
Non tutti però credono che la cura proposta da Obama sia quella giusta. John Boehner, capogruppo dei repubblicani al Congresso, ha affermato: “questo pacchetto di misure non potrà mai essere ripagato dalla presente generazione, ma sarà pagato dai nostri figli e dai nostri nipoti”. I contrasti politici, pertanto, sembrano già essere iniziati ancora prima dell’insediamento.