I programmi di Franceschini e Bersani sembrano presi dal deposito dell’usato

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I programmi di Franceschini e Bersani sembrano presi dal deposito dell’usato

17 Luglio 2009

Una dose massiccia di veltronismo, un pugno di dipietrismo e un soffio di nebbia, confusione e polvere lasciato cadere sulle alleanze. Il tutto condito con il disperato tentativo di indossare, in qualche modo, la casacca del “nuovo”, mettendo in primo piano gli elettori rispetto agli iscritti, ovvero coloro che andranno a votare alle primarie e decreteranno il vincitore di questa lunga maratona per la segreteria dai meccanismi confusi. E’ questo, in sintesi, l’identikit che il candidato Dario Franceschini fornisce di sé, all’indomani dell’illustrazione del suo programma all’Acquario Romano.

Il tentativo era quello di gettare nell’agone del dibattito qualcosa di simile a una sorta di “Lingotto Due”, inteso come seconda puntata dell’innovativo discorso che inaugurò la breve parabola politica di Walter Veltroni alla guida del Pd. Un tentativo fallito.

Il risultato, infatti, è una piattaforma che certo non può accendere la fantasia degli elettori né iscriversi in maniera credibile a quella categoria del “nuovo riformismo” che pure viene più volte evocata. Individuare il nuovo nel discorso di Franceschini è davvero impresa faticosa. Le parole d’ordine sembrano pescate dal deposito dell’ usato garantito.

La necessità di “assicurare la sicurezza collettiva”, la necessità di “regole per l’economia”, l’innalzamento dell’eta pensionabile, la laicità, le accuse alla destra che esalta l’individualismo e l’egoismo sociale. Tutto già visto e sentito. Figuriamoci poi quando si passa al conflitto di interessi e all’affondo contro Berlusconi che offende le istituzioni internazionali. Perfino sulle alleanze le parole di Franceschini restano appese all’indefinito e segnano addirittura un passo indietro rispetto a Veltroni. Il politico ferrarese afferma che non si tornerà indietro alla riproposizione di “un centrosinistra con il trattino. Solo ipotizzarlo significa dichiarare fallita l’esperienza del Pd”. Il problema è che, al di là della dichiarazione di intenti, Franceschini non dice con chiarezza quale sarà il perimetro delle alleanze del Pd, se insomma ci si orienterà verso Di Pietro, l’Udc, la Sinistra radicale o su nessuno di questi. Insomma su questo fronte si naviga a vista e si vedrà in futuro.

Partendo da queste premesse individuare le differenze reali tra Franceschini e Bersani è davvero complicato. Bisogna scendere nei dettagli, o nei tecnicismi a seconda dei punti di vista.

Se l’attuale segretario è a difesa del bipolarismo e contro  una legge elettorale ”che sposti a dopo il voto la scelta delle alleanze, sottraendo ai cittadini il diritto di sceglierle prima”, Bersani annuncia di voler ”riaprire i cantieri dell’Ulivo” per riorganizzare il campo del centrosinistra e dell’opposizione superando l’autosufficienza del Pd. Scegliendo mercoledì scorso l’assemblea di programma della Cgil, Bersani aveva presentato così la sua scelta sul tema delle alleanze: ”Il Pd deve, in primo luogo, darsi un profilo più visibile, più preciso e, secondo, riaprire i cantieri dell’Ulivo nel senso che possono esserci formazioni della sinistra, formazioni ambientaliste, civiche che intendono riprendere un percorso di dialogo con noi”. Un taglio apprezzato da Rosi Bindi, ormai decisa nel suo sostengo a Bersani, l’uomo che “può dire agli italiani: sono in grado di fare un partito che, in nome dell’Ulivo è anche in grado di tornare a governare il Paese”. Differenze permangono anche sulla forma-partito, tra il partito semi-liquido di Franceschini e quello più radicato a livello territoriale e sociale di Bersani. Ma certo non si tratta di temi che scaldano il cuore e la fantasia degli elettori.

A questo punto all’appello per la presentazione della piattaforma politica da parte dei tre candidati alla segreteria del Pd manca solo Ignazio Marino. Mentre Bersani e Franceschini hanno scelto di tenere le loro assemblee a Roma, Marino ha dato appuntamento a giornalisti e sostenitori a Milano per giovedì 23 luglio presso la sede della Camera del lavoro.

 

Martedì prossimo è convocata invece la Direzione del Pd che dovrà fare il punto sulle candidature alla segreteria, sul regolamento congressuale e soprattutto sul termine massimo per iscriversi al partito e poter partecipare al dibattito interno. Marino ha chiesto che questo termine venga spostato al 31 luglio ma finora non ha ricevuto risposte dalla segreteria.

Il confronto, insomma, pur crescendo di tono e temperatura fatica davvero a decollare. Di scosse all’orizzonte non se ne vedono e la fase precongressuale non appare destinata a generare una nuova stagione e varare una nuova leadership ma, più semplicemente, a certificare le condizioni minime per la sopravvivenza del Partito democratico e allontanarne lo spettro della scomparsa politica.